Scheda: Romano Amerio. Della verità e dell’amore,
Marco Editore, Lungro di Cosenza 2005, pagg. 360. € 25.
Introduzione di Mons. Prof. Antonio Livi: Le
disavventure di un filosofo cristiano.
Interventi di don Divo Barsotti, * di
S. E. Mons. Mario Oliveri, vescovo di Albenga e Imperia, e di S. E. Mons. Antonio Santucci, vescovo di Trivento.
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Questa monografia su Romano Amerio è il primo libro in cui viene fatta emergere in tutta la sua portanza e come tesi centralissima del Luganese la nozione che egli chiamerà « la dislocazione della divina Monotriade », o anche « la variazione delle essenze », dove l’amore prende il posto del Verbo, la libertà e la volontà il posto della verità, il valore da dare alla comunità dei cristiani il posto da dare all’adorazione di Dio.
In essa chi qui scrive argomenta, sviluppa e tematizza ulteriormente ciò che aveva già prefigurato al terzo punto della conferenza tenuta a Lugano sul filosofo nel gennaio 2005 (ENRICO MARIA RADAELLI, Romano Amerio. Verità e Tradizione, in AA. VV., Romano Amerio. L’Umanista, il Luganese, il Cattolico, Convegno italo-svizzero nel I centenario della nascita, Giampiero Casagrande - « Cenobio », Lugano 2005, pp. 45-53 di 87), ossia, per passare alla prima persona, la mia personale convinzione, in nulla anticipata o partecipata mai da alcuno studioso o conoscitore o amico o ammiratore o generico estimatore di Amerio, né da alcuno tra gli uomini di Chiesa o le comunità religiose che ne conobbero, condivisero e apprezzarono la dottrina nei lunghi decenni trascorsi dall’uscita di Iota unum, per la quale sostengo che tutto il suo pensiero di tutta una vita fosse stato mosso in ultimissima istanza unicamente o almeno primariamente dalla più acclarata sua persuasione che l’odierna crisi della Chiesa, l’attuale, grave ed evidente « perdita delle essenze », ossia ciò che egli chiamava il loro « cangiamento generalissimo », la cui ricaduta si ha poi su ogni manifestazione del mondo contemporaneo, è dovuta in primissimo luogo, per non dire unicamente, a ciò che il filosofo volle definire con precisa perifrasi « la dislocazione della divina Monotriade », o « il rifiuto del Filioque », che in termini positivi si riassume in « Caritas in Veritate », venendo rispettato l’ordine delle essenze: « il Verbo precede l’amore, e lo dichiara ».
Protesto con ciò la paternità non della scoperta della causa della crisi – la scoperta, in sé, è e rimane ovviamente solo e unicamente di Romano Amerio, da lui solo e da nessun altro circoscritta: determinata e sviscerata come fu fin dal lontano 1937 nell’articolo da lui scritto su Cartesio per « Rivista di Filosofia Neoscolastica », e già solo per questa sua scoperta egli dovrebbe essere riconosciuto il più grande filosofo del secolo XX –, ma rivendico piuttosto la paternità di aver saputo ritrovare, riconoscere, circoscrivere quella sua così decisiva e fondamentale scoperta, di averla poi dissotterrata dai suoi innumerevoli testi che troppo la sommergevano e di averla quindi portata fuori delle profondità di quell’oceano magno che pur è il suo capolavoro conosciutissimo, appunto Iota unum: essa era per così dire nascosta in tre o quattro fogli e non di più, in due punti (nei §§ 147 e 170) poi da me segnalati, in ultimo, proprio nella Postfazione all’edizione di Iota unum realizzata nei tipi Lindau, al § 1, pp. 679.
Molte furono le riviste “antimoderniste” che parlarono di Romano Amerio, che parlarono di Iota, che parlarono di Stat Veritas, ma nessuna diede mai alla « dislocazione delle essenze » la forza causale della crisi odierna della Chiesa; di esse, solo « La Tradizione cattolica » accennò, con un trafiletto, al punto saliente colto dalla mia monografia, trascrivendo pedissequamente il pensiero di don Divo Barsotti che lo scrivente aveva raccolto da questi per l’occasione.
Don Divo Barsotti, di cui qui si ha l’onore di pubblicare l’ultimo testo, non scrisse le due pagine di cui esso è costituito ex corde suo, ossia non scrisse queste pagine in un qualche tempo indefinito della sua lunga vita per poi propormele e consegnarmele al momento in cui, nel 2005, fu da me contattato, con gli uffici di padre Serafino Tognetti, suo assistente e successore alla guida della Comunità dei Figli di Dio da lui fondata; ma, ricercato da me allorché avevo saputo proprio da padre Tognetti quanto la sua stima per Amerio fosse alta e incondizionata, avendo poi lui ricevuto qualche faldone dei capitoli più significativi della monografia che stavo ultimando sul mio Maestro, me ne chiese espressamente una sintesi, per capire bene quale voleva essere precisamente la mia tesi, quale volesse essere il fine formale dello scritto su quel filosofo tanto osteggiato dalla Chiesa, ma da lui invece toto corde ammirato; sicché – memore io della lettera di accompagnamento a Iota unum che proprio Amerio aveva scritto ad amici e uomini di cultura, tra cui il filosofo Augusto Del Noce –, mi premurai di far avere a don Barsotti la sintesi richiesta, in poche righe, per non affaticare la sua vista quasi cieca di ultranovagenario, strette al concetto che sappiamo, strette cioè precisamente alla nozione di « dislocazione della divina Monotriade », al « cangiamento delle essenze », da me enucleata compulsando tutti gli infiniti scritti del Luganese e divenuta da subito il perno di tutto il libro; don Barsotti approvò pienamente la cosa, e, come già Del Noce, subito riconobbe e sottoscrisse la forza primaria e decisiva del concetto proposto, e, ancora come Del Noce aveva fatto sul versante filosofico, rafforzò l’asse di quella nozione con i complementi spirituali e mistici che noi ora possiamo leggere alle pp. 277 sgg. del libro.
* Detto Intervento del venerato mistico pisano è stato utilizzato ora da altri, e scaltramente: senza alcuna autorizzazione, e, quel che più conta, facendolo subdolamente passare quasi per cosa preparata appositamente da don Divo proprio a tal fine, evirando, con ben studiati punti di sospensione, il nome del sottoscritto dai tre passi in cui don Divo desidera far riferimento alla mia persona: al mio posto si trovano tre omissis, tre puntini tra parentesi quadre: “[...]”; ma, come si è visto, l’origine delle brevi ma significative paginette e la loro collocazione è del tutto estraneo a ogni pubblicazione che non sia la mia monografia: la loro origine e la loro veridica collocazione sono solo quelle qui descritte, e ci si può chiedere legittimamente come mai in quella tale pubblicazione non se ne citi la fonte, come comunemente si fa per prassi consolidata, e lo si fa, se non per tatto, almeno per legge.
Se oggi dunque si fa un gran parlare di « dislocazione della divina Monotriade », di « perdita delle essenze », di necessità di dare quindi alla Verità il trono usurpato dall’Amore, al Verbum la primazia rubatagli dalla Caritas, dunque se oggi si vogliono notare e sottolineare una provvidenziale e stupefacente contiguità e una sorprendente analogia tra il pensiero di colui che finora altro non è stato che un filosofo reietto, ostracizzato e sotterrato, con il pensiero invece scaturito dalla augusta penna di Papa Benedetto XVI, riferendosi all’ormai celeberrimo titolo della sua enciclica sociale, Caritas in Veritate, lo si deve solo a queste pagine, alle pagine della presente monografia, per quanto siano state a loro volta ancora poco o punto recensite e a loro volta ancora, e più ancora, sotterrate; inaspettatamente, nessuna delle tre meritorie pubblicazioni che hanno voluto segnalare e riconosciure l’opera compiuta con questo mio studio appartiene all’area religiosa e culturale di Romano Amerio, ossia all’area antimodernista di stretta osservanza, da cui peraltro si aveva ragione di attendere almeno una qualche segnalazione, e anche ben di più; le riviste (cartacee e “on line” che siano) che hanno voluto invece rilevare la cosa sono, in ordine di tempo, « www.chiesa.espressonline.it » (sito di Sandro Magister), « Civiltà Cattolica », e, in ultimo, « Divinitas », e qui si vuole mostrare loro tutta la gratitudine che meritano.
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Infine, passando al libro: perché titolarlo così, semplicemente, “Romano Amerio”?
perché dargli il nome di un uomo e di un filosofo misconosciuto e come uomo e come filosofo? In primo luogo perché dire oggi “Romano Amerio” è decisamente
positivo, proficuo, costruttivo: è porre, come si fa con i cippi sulle vie consolari, un segnale forte di una realtà che c’è: Romano
Amerio c’è: c’è come profondo filosofo, c’è come atletico metafisico, c’è come limpido logico, c’è come
acuto e dirimente filologo.
Va detto che Amerio fu rigettato proprio a causa di Iota
unum. Se fosse stato conosciuto – come Augusto Del Noce lo conobbe – per esempio per il suo perforante pensiero sulla metafisica di Cartesio, oppure
per il suo acuto compendio su Campanella, o per la sua perspicacia sulla filosofia di Manzoni, se ne sarebbe colta ben più serenamente, e pacificamente,
tutta la successiva teologia.
Nella presente monografia io ribalto la situazione: Amerio prima affissa
Cartesio ai suoi errori metafisici, inchiodando il principio dell’errore moderno; prima rileva la densa cattolicità di Campanella, disegnando
sul planisfero metafisico la vera mappa del mondo, proiezione del Cristo a ogni livello; prima coglie lo spessore logico della filosofia del Manzoni, addossando
alla logica la prima responsabilità sugli atti; poi mostra, di queste palpitanti realtà filosofiche, tutta la portanza, poi ancora tutte
le più evidenti e brutali conseguenze: di errori razionalisti quando sono errori, e di alterazioni e dimenticanze quando sono alterazioni e dimenticanze.
“Verità e amore” è la bifacciale
ma unissima realtà che ha vincolato per tutta la vita Amerio a Dio, al Cristo e alla Chiesa. Egli è così il primo a individuare il tallone
d’Achille della filosofia moderna – antiscolastica, antimetafisica e antidog-matica – nel loro soqquadro, combinato da Cartesio.
Della verità e dell’amore, è suggestivo suggerimento
di Antonio Livi, ordinario di Filosofia della conoscenza, per mettere subito in chiaro che dire “Romano Amerio” è la stessa cosa che dire “verità e amore” e dire “verità e amore” è uguale che dire “Romano Amerio”; il risvolto poetico sarebbe stato molto apprezzato dal soggetto dell’eguaglianza; essa ripropone la giusta lettura della realtà metafisica,
in modo che la cultura religiosa e civile possa riassettarsi seguendo l’ordine delle cose (e delle essenze), nella loro più naturale e fluida disposizione.
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(Pagina protetta dai diritti editoriali.)
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