Roma, 23 giugno 2018,
Hotel Bettoia Massimo d’Azeglio,
Fondazione Lepanto.
Romano Amerio:
tanto dogma, tanta chiesa.
POCo dogma, POCA chiesa.
Intervento nella Giornata di studi
“Vecchio e nuovo Modernismo:
radici della crisi nella Chiesa”.
English version.
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Loreto, 9 maggio 2014, Aula Paolo VI,
Delegazione Apostolica della Santa Casa.
Enrico Maria Radaelli:
il sorriso di dio,
il sorriso dell’uomo
Lectio Magistralis, tenuta su invito
dell’Osservatorio Medico
“Ottaviano Paleani”.
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Enrico Maria Radaelli
ANALOGIE TRA BELLEZZA
E VERITÀ IN SAN TOMMASO.
Conferenza tenuta a Roma,
Pontificia Università Lateranense,
Corsi di estetica del Prof. Horst Seidl,
26 maggio 2004.
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Enrico Maria Radaelli
L'ARTE
COME KOINÈ DEL LOGOS DIVINO NELLA STORIA.
Conferenza tenuta a Milano,
Università ambrosiana,
Dipartimento di arte sacra, maggio 2001
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Enrico Maria Radaelli
romano amerio
pone il problema.
romano amerio
dÀ la soluzione.
Conferenza tenuta alla presentazione
dei primi due volumi dell’Opera omnia
di Romano Amerio, Iota unum
e Stat Veritas, nei tipi Lindau.
30 ottobre 2009,
Roma, Sala della Biblioteca Angelica.
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Autori Vari
ROMANO
AMERIO,
IL VATICANO II E LE VARIAZIONI DELLA CHIESA CATTOLICA
NEL XX SECOLO.
Sommario degli Atti del Convegno
del Centro Studi Oriente Occidente
su Romano Amerio nel I decennale
della morte; Ancona, 9 novembre 2007,
editi da Fede & Cultura, ottobre 2008;
(Con inedito di Romano Amerio). |
Enrico Maria Radaelli
in principio era il verbo, non l’amore
(errori
dalla ‘dislocazione
delle essenze trinitarie’.
Ancona, 9 novembre 2007,
Dagli Atti del Convegno promosso
dal Centro Studi Oriente Occidente
su Romano Amerio, I decennale della morte; Fede & Cultura, ottobre 2008.
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Enrico Maria Radaelli
LE RAGIONI DEL SILLABO,
LE RAGIONI DI UN SILLABO.
Conferenza tenuta
al III Convegno di Studi Albertiani,
“ Pio IX, il dogma dell'Immacolata
e il Sillabo”
Milano, Sala degli affreschi di
Palazzo Isimbardi, 27 novembre 2004. |
Enrico Maria Radaelli
ROMANO AMERIO:
VERITÀ E TRADIZIONE.
Dagli Atti del Convegno italo-svizzero
tenuto su Romano Amerio
nel I Centenario della nascita,
Lugano, 29 gennaio 2005;
« Cenobio » - Casagrande Editore,
Lugano - Milano, gennaio 2006.
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Enrico Maria Radaelli
metafisica delle tre
“grandi religioni monoteiste”:
Cristianesimo,
ebraismo e islam.
Conferenza tenuta a a Parma,
Circolo Agostino De Torri,
30 ottobre 2004. |
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INTRODUZIONE.
Hortus conclusus è detto un luogo segreto e arcaico. È il giardino dei monasteri: quadrangolare, a simboleggiare i quattro angoli dell’universo, con al centro un albero che allude alla vita e un pozzo o fontana, eterna sorgente della conoscenza.
La
retorica del discorso scritto, quando ad esempio raccoglie dei pensieri da stendere in un
articolo per una rivista, oltre che alla sostanza delle cose da dire è funzionale idealmente
a convincere, nel lettore, un ricettore predisposto a una valutazione riflessiva per la cui
formazione questi può tornare e ritornare, girando lo sguardo e il pensiero sulle stesse
righe e sulle stesse parole.
Nell’esposizione
oratoria di una conferenza, per contro, la retorica ha necessità di tendersi a un convincimento
istantaneo dell’uditore, poiché l’oratore non può ripetersi se
non per sottolineare un passaggio o per proporre sotto plurimi aspetti un medesimo fatto,
ma giammai può dire e ridire le stesse parole. Dunque nel linguaggio fàtico
il fattore temporale è decisivo, tanto da determinare la forma del discorso: breve.
Dopo venti minuti Cicerone, Quintilliano e Tertulliano sapevano che dovevano aver portato
in aula la materia centrale della argumentatio, pena la sua liquidazione.
Sicché, mentre in
uno scritto sono utili strumenti alla comprensione i titoletti di eventuali paragrafi, il rimando alle note, la
presenza di citazioni,la frequenza dei capoversi, gli stessi caratteri di stampa e la forma tipografica, nella conferenza emergono
alcuni strumenti estranei alla parola, strumenti per così dire scenici: i gesti, gli sguardi, gli abiti, il volto dell’oratore, i quali incidono sulla comprensione
del pensiero talvolta più di quanto possa fare di per sé lo stesso pensiero.
Ecco
perché non sempre grandi scrittori sono grandi oratori e viceversa. E non c’è
chi non veda che, se da una parte lo scritto presenta la parola nella maggiore sua nudità
di parola, per cui si avrebbe in esso una raggiunta purezza, dall’altra è evidente
l’imme-diatezza del pronunciato, e non solo l’immediatezza, ma il suo più
forte imperio a trascinare di fronte agli intelletti giudicanti l’oratore stesso, perché
a tale pronunciato partecipa la persona in tutta la sua visibilità: i suoi gesti, i
suoi occhi, la sua figura, le sue vesti.
Da
qui si ha allora un punto importante da cogliere intorno alla parola: che il legame stretto
tra essa e la persona è tale che la persona fa parola: la proferisce dopo averla
intuita e dopo averla formulata; ma egualmente la parola fa persona: dice la persona,
determina e denuncia la persona, conclude e stringe la persona nel suo atto sommo: il pronunciamento.
E niente è testimone della persona come la sua parola.
La
parola non è pronunciata solo da quella bocca, ma da tutto quel corpo, e più
ancora: da tutti quegli affetti emergenti in e da quel corpo; infine da tutti i pensieri che
hanno portato quel corpo, da fuori e da dentro di esso, a essere quel corpo: la parola è
pronunciata dalla sostanza individua umana che si chiama persona. E così come quella
persona fu formata da una parola, da una decisione, da un progetto a essa precedente, così
quella persona si esprime ed è la parola che dice, tanto che tutta la sua vita viene
giudicata dall’ultima sua parola, e in ogni momento della sua vita essa percorre la
strada percorsa dalla diversità o dalla eguaglianza delle sue parole.
Ecco
spiegato perché allora le conferenze e le orazioni tenute da un uomo possono ben chiamarsi
Segreto Giardino, Hortus Conclusus: perché in esse si può cogliere come
in pochi e rari avvenimenti molto più di un concetto astratto – come spesso si
crede – essendo quell’intima sostanza persuonata in una maschera misteriosa
e in fondo non del tutto controllabile, detta e uscita in un soffio in cui essa è tutta
e tutta vive. Nelle orazioni si coglie l’oratore stesso.
Questa
relazione è in intima analogia con il Mistero dell’Incarnazione, per il quale
l’identità delle due essenze: di parlato e di parlante, è in Cristo identità
di sostanza che si coidentifica anche con la pura verità. Nell’uomo peccatore
invece il rapporto con la verità è relativo al rapporto di fede da lui tenuto
nel Cristo, quindi è un rapporto di partecipazione al Cristo, per cui la coincidenza
del suo parlato con la verità dipende dalla purezza della sua fede.
A riguardo del soggettivismo,
infine, che parrebbe adombrato nell’affermazione: « la persona fa la parola », bisogna dire che essa
è giusta fino a che con ciò non si dice “fa la verità”, perché una cosa è la parola,
altra la verità. Tuttavia, quando vi è identità tra parola e verità, allora la persona fa anche la
verità, come dice la Scrittura: « Qui autem facit veritatem, venit ad lucem » (Ioan., III, 21),
in partecipazione a quanto fa il Cristo. In tale senso partecipativo, per dono di grazia l’uomo, oltre che fare la verità,
in qualche modo fa anche Cristo.
In
questo senso il significato di Hortus Conclusus è anche più denso, assumendo
la pregnanza trascendente che gli è ingenita in quanto termine scritturale. È
in questo senso che anche qui va letto.
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(Pagina protetta dai diritti editoriali.)
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