INTRODUZIONE.
C’è
forse un nesso tra l’arte (la creazione artistica), e il Logos divino? Cosa ha a che fare la Parola trinitaria, il
Principio eterno di ogni discorso che si fa nell’universo, con la sua forma, la sua espressività, cioè con
la sua bellezza, con la sua forma artistica? Il nesso c’è, ed è altissimo: infatti espressione ed espressività
sono due generi, ma due generi che appartengono allo stesso principio, così come Verbo e Immagine sono i due nomi personali
del Figlio. 1 [Cfr. San Tommaso, Summa Theol., I, q. 34, a. 2: Se Verbo sia un nome
proprio del Figlio; q. 35, a. 2: Se Immagine sia un nome proprio del Figlio.]
Sicché l’arte,
nel suo concetto di espressione artistica pura e gratuita, non avrebbe altro scopo che raggiungere la perfezione della forma da
dare a qualcosa, con una determinata materia, per rappresentarne un’altra che altrimenti resterebbe inconoscibile. Forse
l’arte sta al pensiero come questo alla realtà: bisognerebbe studiare a fondo il circuito che lega la realtà
alla parola nella metafora per scoprire i tesori dell’arte.
Sembra poi che, se nel
mondo non esistesse la necessità di comunicare superando l’opaco diaframma della materia, la necessità della
rappresentazione in gran parte cadrebbe. Un’importante condizione della creazione artistica come rappresentazione sarebbe
che per conoscere qualcosa sia necessario rappresentarla con una sua immagine. Cioè a dire che se non ci fosse un dentro
e un fuori, se non ci fossero i muri tra le cose, un corpo a racchiudere le anime, se non vi fosse un qui e un là, cadrebbe
la necessità di rappresentare fuori ciò che è dentro, qui ciò che è altrove, al sole ciò
che è in ombra.
Ma il diaframma della materia
moltiplica l’esigenza dell’immagine, non la crea. Infatti gli angeli e i beati non vivono (anche) di bellezza? E la
vita in Dio non è per definizione massimamente bella? Dunque, tornando al Figlio, i cui nomi personali sono Verbo e Immagine del Padre, si intuisce che rappresentazione mentale (verbo) ed espressione (immagine) sono connessi intimamente,
così da poter dire che l’immagine esprime il verbo, e il verbo dice l’immagine. Ogni pensiero dà luogo
a una immagine e viceversa. Noi non sappiamo come si configuri, nella purezza della trascendenza del purissimo Spirito divino,
il Verbo nell’Immagine: dobbiamo accontentarci di saper intuire la realtà di quell’operazione attraverso le
sue doviziose vestigia profuse nel creato.
Inoltre rappresentare implica immediatamente anche rappresentare bene, cioè compiutamente, e anche subitamente, e semplicemente, e armoniosamente,
e perfettamente, e moralmente e, specialmente, veridicamente: il bello è la sintesi di tutte queste categorie: raggiungendo
esse in un certo modo, tempo e luogo il loro maximum, meravigliano.
Il sublime meraviglia.
L’arte meraviglia. La forma prosaica non meraviglia, non incanta, non giubila. La forma poetica invece, ovvero l’arte
del fare il bello, che è più del fare, rapisce, estasia, e anche quasi un po’, nel giubilo,
stordisce.
Ora, se si pensa al Logos divino come ci è stato rivelato, nel mistero della seconda Persona della santissima Trinità, dobbiamo riferirci
necessariamente, come dice la Scuola, non genericamente a un qualunque pensiero, a una qualunque parola, ma a un pensiero precisamente
d’amore, a un pensiero di caritas, tale essendo il Verbum: 2 [Cfr. San Tommaso, Summa Theol., I, q.
43, a. 5, ad 2. ] il Verbum dice sì al Padre, consente con trasporto ineffabile nella beatitudine della bellezza della volontà del Padre.
Questo assentimento sublime
del Figlio al Padre è la prima cosa che si ritrova poi nelle creature: nei loro verba e nelle loro imagines,
in una variazione infinita che va dalla partecipazione più densa alla più rarefatta. Dalla più ricca, fertile
e splendida alla più miserabile. E come il Figlio propriamente è il progettista e l’artefice dell’universo,
oltreché modello esemplare e analogato dello stesso (irraggiungibile ma pur tutto da raggiungere), così i figli
del Figlio divengono per partecipazione gli artefici e i progettatori di quegli altri assentimenti al Padre che sono i loro verba e le loro imagines: le opere con le quali vogliono cantare le ricchezze trovate nei loro cuori e partecipare a loro volta
ad altri cuori, e prima di tutto al cuore di Dio in somma adorazione, le dovizie meravigliose dell’amore divino riversato
sulla terra attraverso il Figlio.
C’è allora
un nesso tra l’arte, o creazione artistica, e il Logos divino? Il nesso c’è, è sacro, è
sublime: è il Figlio stesso, e tanto quanto l’arte in tutte le nove sue muse dice il Figlio, in quella misura impalpabile
ma pure certissima e sicura l’arte è arte, così che su quella meraviglia e su quel rapimento l’anima
dell’uomo umile artista al sol vederla beato si riposa.
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