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196-210 del libro.) Dove si mostrano alcuni tra i tanti motivi per cui l’uomo, come Dio, è allietato dal proprio
intelletto; dove si vede come la ragione sia al fondo di ogni sua azione, e che l’uomo si riconosce uomo perché
ragiona, e di ciò sommamente si allieta; dove si conclude che la conoscenza non può dunque essere frutto peregrino
di una causa non peregrina; dove infine si nota che l’incontenibile letizia dell’intelletto è letizia regina,
attorniata però – come nel Regno dei Cieli – dalle gioie dei sensi e degli affecta.
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Gioia del Padre. Tale è il Figlio divino. Ma il Figlio è
il Verbum, o, se si vuole, l’Intelletto, la Ratio. Dunque l’Intelletto è la gioia, la letizia,
il gaudio e la delizia della Mente divina che lo pensa, la quale Mente infatti in tal senso si esprime le uniche due volte che
fa sentire la sua augusta voce tra gli uomini: « Questi è il mio Figlio diletto, ascoltatelo ».1
[Matth., III, 17; Marc., I, 22; Luc., III, 11.]
È la quarta volta che lambiamo i confini del mistero della santissima
Trinità: la prima volta (II LECTIO)
abbiamo visto che l’Essere sussistente è infuocato di essere, è l’essere intensivo individuato da san
Tommaso, intensivo perché personale, riconosciuto nella voce del sacro Roveto che dice: « Io sono colui
che sono »; è anzi intensivo e personale perché è proprio le tre Persone: « l’essenza
– dice il Dottore – è le tre Persone », 2 [TOMMASO
D’AQUINO, Summa Theol., I, q. 39, a. 6.] la qual cosa ‘spiega’ in qualche modo quel intensivo
da lui usato per qualificare il concetto di essere essente a riguardo di Dio.
La seconda volta (III
LECTIO) è quando, parlando di splendore, vediamo che l’amore « spira attraverso il
Verbo », e per questo lo splendore del Verbo è uno splendore d’amore: non soltanto lo splendore che di
per sé possiede il nous, lo splendor veritatis, ma particolarmente quello che, vero splendor caritatis,
riluce da quel suo predicamento specifico che è d’amore.
La terza volta (XI
LECTIO) siamo entrati nel Mistero per la necessità di rilevare che il sillogismo, ovvero il ragionamento, il pensiero,
dunque l’intelletto, non è fatto algido, ma, ancora, è marcatamente caratterizzato da una virtus intrinseca
fiammeggiante, una vampa di fuoco; cioè è intenzionato d’amore, è processo che si estrinseca in un’unica
determinazione positiva, potente, sorridente, tanto quanto l’emersione della verità è emersione di essere,
di bene, di bello. Ciò è stato chiarito specialmente allorché la ratio naturale è stata fatta
salire al confronto con le proprietà del Figlio divino, suprema Ratio, e Ratio appunto unicamente in quanto
d’amore.
Dunque tutte e tre le volte, toccando in qualche modo la Trinità, ne
abbiamo toccato medesimamente la pura e somma intellettualità e, di questa, la pura e somma carità.
In tutti e tre i casi, individuandone la lama di luce nello spiritualissimo raziocinio, sùbito di tale luce ne abbiamo
dovuto avvertire – e avvertiamo – anche il calore, quasi l’amorevole suo bruciore.
Sicché ora non ci si dovrà affatto stupire se ricercheremo tutte
le cause che possono concorrere a dare questa proprietà del ragionamento che lo fa letificante: se il ragionamento allieta,
il ragionamento è bello, e noi abbiamo visto che esso è bello propriamente, perché esso è correlativo
a un’immagine, esso ha un volto, anzi è un volto: Verbum = Imago,
Verbum uguale Imago. È importante stabilire le cause per cui un sillogismo allieti, poiché
è da ciò che deriva la letizia poetica: la letizia delle belle arti e la letizia delle belle lettere.
Ma molti studiosi della Filosofia di estetica, [...].
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