(Torna alla p. 3)La pluralità e il movimento costituiscono, nella metafisica di Tommaso, l’esperienza originaria; la dialettica che ne consegue non deve negare ma giustificare il modo con cui l’essere si presenta prima d’ogni processo razionale di mediazione, sia essa categorizzazione (tassonomia) o inferenza (induzione e deduzione).
La dialettica non deve servire a negare che ci siano le cose: piuttosto, deve servire, oggi più che mai, a negare la negazione, servendosi del modello aristotelico di argomentazione “elenctica” (l’elenchos) per eliminare l’assurda teoria che ciò che mi appare non mi appare, e che prima che l’essere mi si manifesti io ho già la sua interpretazione.
Gilson, nella sua opera postuma Constantes philosophique de l’être, ha mostrato con convincenti argomentazioni storico-critiche che in Tommaso la ricerca del principio della metafisica approda all’individuazione di un punto di partenza che comprende tanto il primo giudizio empirico-metafisico quanto il primo giudizio logico-formale. 42 [Cf. É. Gilson, De la nature du principe, in Constantes philosophique de l’être, Paris 1983, 85-105.]
Ma non tutti hanno compreso l’unità del pensiero tommasiano su questo punto.
Alcuni hanno affermato che il principio di non-contraddizione di Aristotele (ripreso senza variazioni da Tommaso) è di tipo esclusivamente logico, e pertanto non può essere collegato immediatamente a quell’altro, che sarebbe di tipo ontologico.
Ciò è falso, perché in Aristotele e in Tommaso non c’è nessuna differenza, quando si tratta del punto di partenza della filosofia, fra logico e ontologico; non c’è alcuna differenza fra la determinazione del pensato (ciò che si pensa) e l’enunciazione del pensiero (il pensiero che pensa ciò), perché il pensiero non è altro che la presa d’atto che il soggetto compie nei riguardi dell’oggetto.
Non ci sono due mondi diversi; quello che c’è è che nell’apprendere le cose il soggetto può anche operare un’universalizzazione delle qualità di un singolo oggetto, e poi lavorare con questi termini astratti; ma la riflessione critica non può mai ignorare che l’astratto è derivato dal concreto, l’astratto serve a capire il concreto per potersi riportare al concreto come avviene nel processo della dialettica aristotelica.
Questo processo intellettivo è strumentale per la conoscenza del concreto che porta a far sì che, come dice un filosofo francese del primo Novecento, si raggiunga la certezza dell’esistenza del sommamente “concreto”, Dio. 43 [Cf. A. Forest, La Structure métaphysique du concret selon saint Tomas d’Aquin, Paris 1931.]
Ci sembra illuminante, a questo proposito, un rilievo di Gilson:
« Pour reprendre à pied d’œuvre l’entreprise métaphysique, il faut se reporter au moment, antérieur à la distinction de l’essence e de l’existence, où l’étant est simplement donné dans la pensée, en fait, comme une notion inévitable et irréductible qui domine l’ordre entier de la connaissance parce qu’impliqué dans toutes ses opérations. L’être est pensé avant d’ être explicitement connu comme tel. Il nous est d’ailleurs impossible de parler de l’être ainsi primitivement donné sans le nommer et en former une notion quelconque. Une fois distinctement reconnu par la pensée, l’ être se trouve introduit partout, même là où luimême n’a pas encore atteint la claire conscience de soi ». 44 [Gilson, Constantes philosophiques de l’ être, 173-174.]
Il fatto che Tommaso accetti il principio di non-contraddizione di Aristotele è significativo; ma ancora più significativo è il fatto che per lui il principio è assolutamente garantito quale principio della scienza, non solo tramite la confutazione dialettica ma anche perché – indipendentemente dal fatto di dimostrarlo agli altri – ognuno sa che l’esistenza degli enti in movimento, che per lui è sempre l’evidenza fondamentale e l’origine della primigenia “meraviglia”, lo è anche per gli altri, lo è ugualmente per tutti, e costituisce il terreno di base per la comunicazione delle conoscenze. 45 [Cf. A. Livi, La ricerca della verità. Dal senso comune alla dialettica, Roma 2003.]
Quest’evidenza esistenziale, assieme all’evidenza delle proprietà trascendentali dell’essere degli enti, è, per Tommaso, una conoscenza omnibus nota, ma naturaliter infusa: 46 [« In intellectu nobis insunt etiam naturaliter quædam conceptiones omnibus notæ, ut entis, unius, boni et huiusmodi [sc. veri], a quibus eodem modo precedit intellectus ad cognoscendum quidditatem uniuscuique rei, per quem procedit a principiis per se notis ad cognoscendas conclusiones » (Tommaso d’Aquino, Quæstiones quodlibetales, q. 8, a. 4). ] non c’è bisogno di alcuna illuminazione divina come pensava Agostino; non c’è bisogno d’una rivelazione soprannaturale; non c’è bisogno di essere filosofo, se le conoscenze che costituiscono il principio della metafisica sono di dominio comune, cioè è di senso comune.
Anche gli studiosi che sembravano meno pronti a cogliere l’importanza del senso comune sono oggi persuasi che la metafisica affonda le sue radici nell’esperienza immediata (fisica, metafisica, etica); come scrive giustamente Mondin, rilevando il ritardo degli studi tomistici a questo riguardo, « un punto non del tutto chiaro nel pensiero dell’Angelico è come egli concepisce la conoscenza dei principi primi. Egli esclude che siano conosciuti mediante un processo astrattivo, dato che non si tratta di sostanze. Tanto meno possono essere frutto del ragionamento, perché stanno all’inizio e alla base di qualsiasi ragionamento sia speculativo che pratico. Le espressioni che egli adopera per spiegare la conoscenza dei principi primi sembrano suggerire una specie di teoria innatistica […]. Però quello di san Tommaso è un innatismo diverso da quello di sant’Agostino; cioè non è di tipo illuminazionistico ma di stampo aristotelico, che prevede anche per la conoscenza dei principi primi il concorso dei sensi […]. Tuttavia sembra che si tratti di un concorso diverso da quello che i sensi prestano nella formazione delle idee universali. Mentre le idee sono ricavate dai dati sensitivi per astrazione, e pertanto in questo caso i sensi offrono il materiale da cui la mente ricava le idee, nel caso della conoscenza dei principi primi invece i sensi sottopongono all’intelletto dei dati nei quali esso coglie immediatamente l’applicazione e la verità concreta dei principi ». 47 [B. Mondin, La metafisica di san Tommaso d’Aquino e si suoi interpreti, Bologna 2002, 232-234.]
In conclusione, quale che sia l’interpretazione dell’apriorismo o innatismo dei principi, quello che conta è che essi hanno, per Tommaso, una base empirica e una funzione aletica: ora, su questa base e con questa funzione non si costruisce se non una metafisica che studia l’essere degli enti per trovare una spiegazione della pluralità, del limite e del divenire degli essenti stessi, ossia per “fondare” razionalmente l’esperienza.
Una metafisica siffatta non ritiene razionale negare la verità del molteplice e del divenire (Severino), oppure trattare quest’evidenza empirica alla stregua di una “contraddizione” da rimuovere (Bontadini), perché sia il negare che il rimuovere la verità del principio non può essere razionalmente giustificabile in base a un qualche criterio anteriore al principio stesso, che per definizione non può esservi; resta aperta solo la possibilità d’una forzatura volontaristica, di un’“opzione intellettuale” che cambia radicalmente il senso del filosofare e ne perde irrimediabilmente la dimensione aletica. 48 [Cf., in proposito, l’acuto saggio di C. Cardona, Metafisica de la opción intelectual, Madrid 2000 [Metafisica dell’opzione intellettuale, a cura di M. Porta, Roma 2003]; e il nostro commento in Sensus Communis 5(2004) 103-107.] (Torna alla p. 1 di 4)