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di Tommaso d’Aquino ha dato adito a diverse interpretazioni e a differenti pratiche filosofiche perché è
una dottrina coerente ma complessa; e la sua coerente complessità – che costituisce una secolare sfida all’esegesi,
sia sul piano filologico che su quello ermeneutico – deriva dalla molteplicità delle sue fonti: dal platonismo,
la filosofia della conoscenza di Tommaso d’Aquino deriva la dottrina della partecipazione, che fa concepire l’intelligibilità
delle cose del mondo (l’esse ut verum) come dipendente dal primum verum, che è l’Intelletto
divino; 1 [Questa è la convinzione di molti interpreti, tra i quali Josef
Pieper (cf. Wahrheit der Dinge, Monaco 1951).] dell’aristotelismo, invece, essa accoglie la dottrina dell’immanenza
dell’intelligibile nella sostanza individuale sensibile, determinando come oggetto proprio e principio della conoscenza
umana il mondo dell’esperienza (quidditas rerum sensibilium); infine, dal neoplatonismo, essa mutua l’esigenza
di riportare la molteplicità della conoscenza empirica degli enti all’unità della sintesi ontologica (l’esse
ut unum). Le dottrine ricavate da queste fonti sono certamente trasformate e trascese in virtù di intuizioni tommasiane
del tutto originali e geniali, prima tra tutte quella dell’esse ut actus: ma queste intuizioni non possono essere
comprese (e per molti secoli non lo sono state) come “forma” della filosofia di Tommaso se non si comprendono le
dottrine ricavate appunto dalle fonti, che ne sono la “materia”. Ciò vale, soprattutto, per l’essenza
della logica e della gnoseologia di Tommaso, che consistono, essenzialmente, in una giustificazione critica del punto di partenza
e del metodo della metafisica.
Anche una studiosa di
scuola fenomenologica, come Edith Stein, seppe individuare con grande acume, nei primi decenni del Novecento, i criteri metodologici
che hanno guidato la produzione filosofica di Tommaso, spesso non sufficientemente rilevati e valorizzati dagli sessi esegeti
tomisti. Ella, infatti, scrive:
«
Abituata al modo di lavorare del fenomenologo, che non usa alcuna dottrina tramandata, ma ricerca piuttosto tutto ciò
che è necessario alla soluzione di una questione ab ovo, rimasi meravigliata davanti ad un procedere nel quale,
per giungere a conclusioni, venivano impiegati ora gli scritti, ora le citazioni dei Padri, ora le proposizioni di vecchi filosofi.
Si ha tuttavia l’impressione che questo non sia un procedere “senza metodo”. Ci si sente presi per man o da
una guida che è sicurissima della sua strada. Dell’attendibilità garantisce la pienezza dei risultati a
cui si giunge per mezzo di essa e cioè le soluzioni di problemi che portano in fronte lo stampo della verità ». 2 [E. STEIN, Atto e potenza. Studio per una filosofia dell’essere,
Roma 2003, 51.]
Si ritrovano, dunque,
nella Stein – sia pure senza riferimenti alla scuola analitica, che ha dato origine a questo indirizzo di ricerca –
le categorie della “logica aletica”, quelle che riguardano l’aspetto materiale del discorso, ossia la sua
verità (the truth-value, der Wahrheitswert) come valore filosofico primario rispetto agli aspetti formali e al
loro uso pragmatico (costruzione di teoremi finalizzati alla ricerca logica o di modelli operativi finalizzati alla tecnologia
o alla prassi politica). 3 [Cf. in proposito il trattato sistematico di A. LIVI, Verità del pensiero. Fondamenti di logica aletica, Roma 2002.] Intravista, dunque, la verità delle
soluzioni proposte da Tommaso, Edith Stein passa poi a cercare la verità delle premesse o “punto di partenza”
(Aufgangspunkt). Il rapporto tra premesse e conclusioni permette di individuare il metodo filosofico di un autore, metodo
che in Tommaso non è esplicitamente dichiarato, e che per questo Stein cerca di rilevare in ciò che è implicitamente
detto:
«
Si scopre […] che le “autorità” vengono impiegate non senza scelta ed esame, e non per il fatto che
venga assunta come valida un’affermazione perché questa o quella autorità l’abbia enunciata; piuttosto,
vi si fa ricorso perché l’affermazione proposta è solida e perché conduce ad un determinato punto.
Ma l’esame, quando non ha positivamente luogo, è perché in massima parte non viene compiuto davanti ai nostri
occhi. Tesi vengono trattate come un sapere valido riconosciuto universalmente da tanto tempo e con quale si può senz’altro
lavorare. Quali sono i criteri che garantiscono la loro verità? Si ha un punto d’appoggio per stabilire ciò
nelle opinioni degli avversari. Se queste sono confutate, è immediatamente dimostrata la loro incompatibilità
con certe tesi; d’altra parte deve accordarsi con esse quanto viene introdotto come valido. Si è così condotti
negativamente ad un terreno solido di verità, le quali servono come criteri per ogni altra cosa ». 4 [STEIN, Atto e potenza, 52.]
Ecco che la filosofa
tedesca si esprime proprio come i filosofi della “logica aletica” e rintraccia in Tommaso le "verità
iniziali" (the starting points for the search of truth) che costituiscono un "terreno solido" (the background)
per la ricerca, in quanto forniscono i “criteri” per ogni ulteriore verità. 5 [Cf., su come la Stein ha letto le opere di Tommaso, e in particolare le Quaestiones disputatae de veritate,
F.V. TOMMASI, La dottrina tommasiana dei trascendentali e dell’analogia nell’interpretazione di Edith Stein,
in Aquinas 46 (2004) 280-296.]
Proprio quest’aspetto
del pensiero di Tommaso è, oggi, sempre di più al centro dell’attenzione degli studiosi: e non più
solo negli ambienti filosofici “continentali” (dove per secoli la tradizione tomista si è mantenuta fedele
ai fondamentali interessi teoretici della scuola, e per questo ha ottenuto dalle altre tradizioni e dalle nuove correnti almeno
una qualche attenzione) ma anche tra i filosofi “analitici” di Oxford, Cambridge e degli Stati Uniti. 6 [La svolta è iniziata dopo la pubblicazione del saggio di A. KENNY, Aquinas on Mind, Londra
1993.] Il motivo di fondo di questa rinnovata attenzione, che riprende e amplia a livello mondiale la discussione svoltasi
negli anni Trenta in ambito “continentale”, 7 [Cf. la sintesi del
dibattito tentata da G. VAN RIET, L’Épistémologie thomiste, Lovanio-Parigi 1946.] è
l’aver avvertito con chiarezza che il metodo tommasiano implica una logica sistemica che può riscattare la filosofia
della conoscenza dalle aporie formalistiche dello gnoseologismo e dall’inconcludenza empiristica dello psicologismo, riportandola
al suo livello proprio, che è quello della metafisica. Non solo: il metodo tommasiano può anche fornire gli strumenti
critici per operare una scelta consapevole fra due opposte maniere di riportare la conoscenza al livello della metafisica; due
sono, infatti, le forme storiche della metafisica, e diversa è, in un caso e nell’altro, la sorte che il metodo
adottato riserva alla filosofia della conoscenza.
Da una parte, esiste da sempre, cioè fin dagli albori della filosofia,
una metafisica su base empirica e che si avvale di un procedimento di tipo anipotetico-deduttivo, 8 [Cf.
G. FAGGIOTTO, La filosofia come sapere anipotetico-deduttivo, in Lo statuto epistemologico della filosofia, Brescia
1985, 41-59; ID., Saggi sulla struttura della metafisica, Padova 1969.] una metafisica che procede a partire dall’esperienza
del mondo e che per questo potremmo chiamare “ermeneutica dell’esperienza”; poi, a partire da Descartes, esiste
anche una metafisica di tipo razionalistico, che relega nel dubbio o nell’insignificanza la realtà del mondo che
è oggetto dell’esperienza, e si rinserra nell’analisi delle categorie del pensato e dei modi del pensiero.
Ben diversa è la sorte della gnoseologia nell’uno e nell’altro caso. Tommaso è il prototipo di un’impostazione
del primo tipo, così come Hegel e il neoidealismo rappresentano la forma più compiuta della metafisica del secondo
tipo. Proprio per questo, Augusto Del Noce ha collocato sullo stesso piano (anche se su fronti opposti) Étienne Gilson,
il filosofo francese del Novecento che ha efficacemente ripreso il realismo di Tommaso e lo ha giustificato come l’unico
metodo metafisico possibile, e un’altra importante figura del Novecento, Giovanni Gentile, il quale, con il suo attualismo,
ha voluto operare una “riforma della dialettica hegeliana”, portando alle estreme conseguenze la metafisica immanentistica
di Hegel. 9 [Cf. A. DEL NOCE, La riscoperta del tomismo in Étienne
Gilson e il suo significato presente, in Studi di filosofia in onore di Gustavo Bontadini, 2 voll., Milano 1975,
II, 455: « La verità del tomismo non appare dopo Hegel, Marx, etc., nel senso di essere completata attraverso
la loro inclusione, ma piuttosto, nel senso che la loro sconfitta lo verifica ed illumina »; cf. anche ID., Giovanni
Gentile. Per una interpretazione filosofica della storia contemporanea, Bologna 1990, 102-103: « A considerare
attentamente l’opera di Étienne Gilson sotto l’aspetto teoretico ci si accorge come rapresenti l’esatto
rovescio, certo inconsapevole, ma proprio per questo tanto più interessante, del pensiero gentiliano […]. L’opera
del tomista Gilson si situa nella storia della filosofia contemporanea esattamente dopo lo scacco dell’attualismo gentiliano ».]
1. L’autofondazione della metafisica.
Alla luce della dottrina
tommasiana e dei suoi sviluppi storici, ma avvalendoci anche dei criteri ermeneutici che possiamo ricavare dalla conoscenza
sempre migliore delle fonti di Tommaso, la filosofia contemporanea va acquisendo sempre maggiore certezza della necessità
d’identificare il problema della conoscenza con il problema dell’autogiustificazione e dell’autofondazione
della metafisica. Personalmente, siamo convinti che la filosofia della conoscenza è sempre stata e sempre sarà
metafisica: ma non una qualsiasi metafisica, bensì solo quella metafisica epistemologicamente fondata, che troviamo nel
quarto libro della Metafisica di Aristotele e nel relativo commento di Tommaso, ovvero quella metafisica che riconosce
e difende il proprio punto di partenza e, pertanto, il proprio “principio aletico”, ossia il principio non derivato
e non derivabile, assoluto, che rende possibile la verità di tutto quello che s’asserisce facendo metafisica. La
metafisica, infatti, è una costruzione, una dialettica, un discorso, una serie di ragionamenti; essa s’articola,
pertanto, in vari processi d’induzione e di deduzione che hanno ognuno la propria intrinseca e concreta validità
logica: ma il tutto fa capo, ogni volta che si vuole valutare la verità di un enunciato, alla fonte di verità
di tutti i possibili enunciati all’interno del sistema, e questo viene chiamato dai moderni “il punto di partenza
della metafisica”.
Le Point de départ
de la métaphysique è, appunto, il titolo dell’opera in quattro volumi che rese celebre Joseph Maréchal. 10 [Cf. J. MARÉCHAL, Le Point de départ de la métaphysique.
Leçons sur le développement historique et théorique du problème de la connaissance, 5 voll.,
Bruxelles-Lovaun-Paris 1926-1947.] Il gesuita belga tentava, con questo lavoro, un’impresa suggerita dalle preoccupazioni
neoscolastiche del tempo (ormai superate, ma di grande interesse storico): si trattava di “attualizzare” la metafisica
tommasiana, inserendola nella struttura gnoseologica di Kant (altri neoscolastici avevano tentato di “attualizzare”
il tomismo riproponendolo in termini cartesiani). Il progetto, visto oggi con la prospettiva critica di quasi un secolo, si
può considerare fallito: non nel senso che non si continui a procedere in questa direzione (perché hanno continuato
a fare così molti e prestigiosi autori, non ultimo Karl Rahner), ma perché si è visto che non è
così che si può immettere nuova linfa nel vecchio tronco del tomismo, mentre invece si contribuisce ad estendere
ancora di più l’egemonia metodologica di Kant. Tutto questo lo ebbe a rilevare, già allora, Étienne
Gilson. 11 [Cf. É. GILSON, L’impossibilité du réalisme
critique, in Réalisme thomiste et critique de la connaissance, Paris 1939, 156-183.] Si dibatteva, a quell’epoca,
la questione del “kantiano-tomismo”, e il problema era di determinare che cosa fosse esattamente il “tomismo”
e come potessero dialogare i pensatori tomisti con le correnti filosofiche più rilevanti nelle cultura europea del tempo
(neokantismo, neoidealismo, neopositivismo, vitalismo, esistenzialismo, fenomenologia, marxismo).
Ma, al di là di tutto
questo, la cosa interessante è che nel progettare un “kantiano-tomismo” il tema cruciale era se e come salvare
la metafisica. Nessuno – meno che mai Maréchal, esperto di storia del pensiero 12 [Cf. J. MARÉCHAL, Précis d’histoire de la philosophie moderne. De la Renaissance à
Kant, Louvain-Paris 1933.] – fingeva d’ignorare che l’assunto fondamentale di Kant è che
la metafisica non è possibile “come scienza”, e per questa ragione l’impiego della metodologia kantiana,
per costruire una metafisica che conservasse qualche elemento qualificante di quell’elaborata dagli antichi e dai medioevali
(in particolare da Tommaso), non poteva che comportare il rischio di un totale fallimento del progetto concordista. Infatti,
o veniva meno il reale inserimento della componente kantiana, o veniva meno la permanenza della componente tomista.
Quello che
però è giusto riconoscere a Joseph Maréchal è che egli aveva capito l’importanza di determinare
criticamente la legittimità filosofica del punto di partenza della filosofia, il che porta a individuare quella “prima
verità” che può generare e sostenere le successive verità, ossia un giudizio che deve essere considerato
assolutamente “vero”, se come veri sono considerati i giudizi che da esso dipendono.
Maréchal, in altri termini, ha intuito il procedimento della logica aletica, quale oggi viene ampiamente praticato, e in particolare la figura logica della “presupposizione”. 13 [Cf. in proposito S. Blackburn, Presupposition, in The Oxford Dictionary of Philosophy, Oxford 1994, 300-310; R. Bertolet, Presupposition, in The Cambridge Dictionary of Philosophy, Cambridge 1995, 641-642; Livi, Verità del pensiero.] Inconsapevolmente, così come precorre gli sviluppi attuali della filosofia analitica, Maréchal si riallaccia a un’importante tradizione speculativa della modernità di lingua francese, e in particolare alla polemica anticartesiana avviata da Blaise Pascal e culminata nella dottrina delle vérités premières di Claude Buffier, autore che esercitò un influsso determinante sullo scozzese Thomas Reid e la sua scuola del common sense. 14 [Cf. C. Buffier, Traité des premières verités et de la source de nos connaissances (1690) ???; cf. A. Livi, Il senso comune tra razionalismo e scetticismo. Vico, Reid, Jacobi, Moore, Milano 1992.]
La prima verità che interessa la logica aletica non è un punto di partenza qualsiasi, quale si può agevolmente stabilire (quasi sempre per via di convenzione metodologica) in qualsiasi indagine scientifica. Ovviamente, in qualsiasi discorso di un singolo che si rivolge agli altri o di molti che si mettono attorno a un tavolo per discutere, si parte da qualche cosa, perché il discorso richiede un certo spazio un certo tempo, e necessariamente gli interlocutori cercano di mettersi d’accordo su qualche principio che si ritiene comunemente ammesso da tutti o almeno su circostanze di fatto da tutti conosciute e valutate in un certo modo.
Questo punto di partenza arbitrario – che non garantisce il discorso dal punto di vista del contenuto di verità ma solo lo regola dal punto di vista dell’argomentazione – può servire talvolta nelle discussioni politiche, ma non può servire nella ricerca, soprattutto non va mai bene per la metafisica; qui infatti c’è bisogno di un punto di partenza che sia una verità riconosciuta come fonte effettiva, ossia come causa efficiente attuale del valore di verità di tutto il resto del discorso.
Ora, l’importante di Tommaso sta proprio in questo, nell’aver costruito un sistema nel quale la prima verità è consapevolmente scelta come l’unica possibile. Tommaso deriva dai filosofi che costituiscono le sue fonti più cospicue (il neoplatonismo cristiano di Agostino e di pseudo-Dionigi, l’aristotelismo logico di Boezio e poi quello metafisico degli arabi) la tecnica ben consolidata di costruire una metafisica conscia del suo punto di partenza e pertanto capace di difenderlo.
Ciò spiega come la metafisica tommasiana abbia potuto costituire, agli occhi dei ricercatori della verità filosofica, un’alternativa valida a tutte le metafisiche che si sono succedute nel resto della storia: quella scotista, quella cartesiana, quella spinoziana, quella sottesa al sistema di Kant, quella dell’idealismo trascendentale di Fiche, di Schelling e di Hegel, quella dei neoclassici italiani come Gustavo Bontadini, quella del neoidealismo italiano di Giovanni Gentile e quella del neoparmenidismo di Emanuele Severino.
Tutte queste metafisiche hanno la caratteristica di esprimere il discorso alternativo a quello della metafisica classica, che culmina con la metafisica di Tommaso d’Aquino, la metafisica dell’actus essendi. Certo, queste metafisiche alternative non occupano tutto lo spazio storico dell’epoca moderna, perché la modernità ha prodotto anche correnti di pensiero che rifiutano la metafisica (Habermas le riunisce sotto l’etichetta del nachmetaphysisiche Denken) e che sembrano oggi dominare la scena; ma non è affatto scomparso, dal modo di fare filosofia oggi, l’influsso di quelle correnti di pensiero che la metafisica la praticano, e la praticano in chiave immanentistica e razionalistica.
L’alternativa di cui dicevo è dunque attuale, e non sarebbe giusto (da un punto di vista teoretico, ma anche storiografico) pensare che il problema della scelta tra i due tipi di metafisica è un problema superato, in quanto sarebbe “superata” la metafisica di Platone, di Aristotele e di Tommaso. Già agli inizi del Novecento il neopositivista Lucien Lévy-Bruhl, fermo ancora alla teoria dei tre stadi di Auguste Comte, parlava della metafisica come di una materia per archeologi, pensando che la data di morte della metafisica fosse quella della pubblicazione della Kritik der reinen Vernunf.
Siccome, invece, questa metafisica di Platone, di Aristotele e di Tommaso non è mai morta, si ritrova nelle forme moderne della metafisica di Giambattista Vico, di Antonio Rosmini e di Henri Bergson, e viene praticata e riscoperta dai contemporanei con innegabili esiti positivi. 15 [Cf. A. Livi, Metafisica, in G. Tanzella-Nitti - A. Strumia (edd.), Dizionario interdisciplinare di scienze e fede, Roma 2002, 939-957.] Questa metafisica è viva, ma per continuare a vivere ha bisogno di fare lo stesso lavoro che ha fatto Tommaso d’Aquino: individuare, riconoscere e difendere il punto di partenza, il primo principio aletico.
2. La logica aletica.
Tommaso d’Aquino parla del principio primo della conoscenza come di un criterio per il giudizio sulla verità o la falsità di ogni ulteriore ipotesi:
« Illud in quo omnia alia cognoscuntur, e per quod de aliis iudicamus, est primo cognitum a nobis ». 16 [Tommaso d’Aquino, Summa theologiae I, q. 88, a. 3.]
Il metodo di Tommaso d’Aquino si può considerare un’originale, ma fedele, applicazione della logica dei principi, che si trova nel V libro della Metafisica, lì dove Aristotele precisa il senso epistemologico del temine “principio”:
« Inoltre chiamiamo “principio” anche il termine primo in base al quale si può conoscere una cosa; e anche questo si dice “principio della cosa”, per esempio nel senso in cui si dice che le ipotesi sono principio delle dimostrazioni ». 17 [Aristotele, Metafisica V, 5, 1013 a, 10-16.] (Vai alla p. 2)