ROMA, 6 giugno 2011
– Il prossimo mese di luglio Benedetto XVI incontrerà di nuovo degli artisti, meno di due anni dopo il precedente incontro nella Cappella Sistina.
Che l’arte, assieme ai santi e più ancora della ragione, sia «la più grande apologia della fede cristiana» è una tesi che Benedetto XVI ha sostenuto più volte.
Per lui la bellezza è «la via più attraente ed affascinante per giungere ad incontrare ed amare Dio».
Ma questa tesi non ha affatto vita facile oggi, cioè almeno da quando, un paio di secoli fa, «si è spezzato il filo dell'arte sacra»: come ha titolato lo storico dell’arte Timothy Verdon un suo saggio su «L’Osservatore Romano» del 28 marzo 2008.
Enrico Maria Radaelli, filosofo dell’estetica, nel suo ultimo libro (vedi La bellezza che ci salva) pone una domanda paradossale:
«Che cosa imparerebbero i milioni di fedeli che visitano la Cappella Sistina se le sue nobili pareti e la sua celebre volta, invece che da Michelangelo, fossero state dipinte da un Haring, un Warhol, un Bacon, un Viola, un Picasso?».
Il nuovo saggio di Radaelli ha per titolo: La bellezza che ci salva. E il sottotitolo è tutto un programma: La forza di ‘Imago’, il secondo Nome dell'Unigenito di Dio, che, con ‘Logos’, può dar vita a una nuova civiltà, fondata sulla bellezza.
Sono trecento pagine di alta metafisica e di teologia, avvalorate da una prefazione del filosofo del «senso comune» Antonio Livi, sacerdote dell’Opus Dei e professore alla Pontificia Università Lateranense.
Ma sono pagine anche di critica sferzante alla deriva che ha travolto un fecondo rapporto durato secoli tra arte e fede cristiana. Senza risparmiare le alte gerarchie della Chiesa, che Radaelli accusa di aver abdicato al loro ruolo magisteriale, di faro della fede e quindi anche dell'arte cristiana.
Per invertire la rotta, Radaelli scrive che non basta qualche sporadico incontro tra il papa e gli artisti. A suo giudizio è necessario convocare nella Chiesa «un dibattito universale, non meramente artistico, ma teologico, liturgico, ecclesiologico, filosofico, un simposio pluriennale e multidisciplinare, il cui nome potrebbe essere il semplice ma chiaro ‘Stati generali della bellezza’».
Radaelli fa i nomi di coloro che da lui interpellati, in Vaticano e fuori, hanno aderito all’idea: il cardinale Mauro Piacenza, prefetto della congregazione per il clero; il cardinale Albert Malcolm Ranjith, arcivescovo di Colombo ed ex segretario della congregazione per il culto divino; l’abate Michael John Zielinski, vicepresidente della pontificia commissione per i beni culturali della Chiesa; Antonio Paolucci, direttore dei Musei Vaticani; Valentino Miserachs Grau, preside del pontificio Istituto di musica sacra; Timothy Verdon, presidente dell’ufficio per la catechesi nell’arte dell’arcidiocesi di Firenze; Roberto de Mattei, storico, vicepresidente del Centro Nazionale delle Ricerche; Nicola Bux, consultore della congregazione per il culto divino e dell’ufficio delle celebrazioni liturgiche pontificie; Ignacio Andereggen, membro della pontificia accademia di san Tommaso d'Aquino.
Con piglio polemico, Radaelli osserva che «ci vuole più coraggio» a organizzare questi ‘Stati generali della bellezza’ che un Cortile dei Gentili. «Perché – spiega – dialogare fuori del tempio col mondo profano sarà anche giusto e meritorio, ma prima ancora le gerarchie della Chiesa dovrebbero provvedere a far sì che la cattedrale della dottrina non vada in rovina, piena com’è di inconsci ma non meno veri luterani, ariani, gnostici, pelagiani».
Ma non è detto che nel Cortile dei Gentili la questione messa a fuoco da Radaelli sia taciuta. Nel primo di questi incontri di dialogo voluti da Benedetto XVI e attuati dal cardinale Ravasi, tenuto a Parigi nel marzo del 2011, c’è stato un oratore che l’ha proposta all’attenzione di tutti in forma bruciante.
Questo oratore è Jean Clair, storico dell’arte di fama mondiale, membro dell’Accademia di Francia e conservatore generale del patrimonio artistico francese.
Inoltre, il 2 giugno, festa dell’Ascensione di Gesù al Cielo, su «L’Osservatore Romano» il teologo Inos Biffi ha sviluppato il tema della «bellezza della verità di Dio» con accenti consonanti a quelli del saggio di Radaelli: altro segnale di attenzione autorevole alla questione.
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