Nei
presenti Atti del Convegno promosso dal Centro Studi Oriente Occidente su Romano Amerio ad Ancona il 9 novembre 2007 (nel
decennale della morte del Luganese) è contenuto un importante inedito del filosofo luganese, il cui tema costituì il cardine
e la sintesi di tutto il suo pensiero, proposto in particolare in Iota unum. Studio delle variazioni della Chiesa cattolica
nel XX secolo (Riccardo Ricciardi Editore, Milano - Napoli 1985, oggi ristampato da Lindau, Torino 2009, a cura e con Postfazione di Enrico Maria Radaelli) e in Stat veritas. Sèguito a Iota unum (idem,
1997, anch’esso oggi ristampato da Lindau, Torino 2009, a cura e con Postfazione di Enrico Maria Radaelli).
Si tratta della
relazione da lui tenuta al Convegno teologico di « Sì sì no no », svoltosi l’8-10 dicembre 1994
ad Albano Laziale, a lui proposta e poi affettuosamente sollecitata dall’amico professor Enrico Maria Radaelli, il quale,
registrato il dettato in diversi incontri con lui, avvenuti nello studio del Professore ormai semicieco in via Cattedrale a Lugano,
ne curò la sbobinatura e lo rilesse poi all’Autore, permettendone così la revisione e la necessaria messa
a punto; quindi, così definito, lo portò e lesse personalmente al suddetto convegno in Albano, in una comunicazione
estemporanea permessa dall’abbé Emanuel Du Chalard, moderatore dei lavori.
La relazione, tradotta
liberamente poi in francese, trovò posto in: AA. VV., Actes du Congrès Théologique
de « Sì sì no no », Publications du Corrier de Rome, Parigi 1995, pp. 137-44.
In seguito, per
una stesura approvata dallo stesso Autore, utile a ogni futura pubblicazione, il Curatore si incontrò ancora una volta
appositamente con il Professore a Lugano, stendendo, con correzioni minime, la presente versione, che ha trovato posto, per sua
gentile concessione, nella presente pubblicazione (ma poi anche, in ampi stralci, su « L’Osservatore Romano », 10 novembre 2007 (v. commenti, riportato dopo l’intervento di Sandro Magister)..
Dalla Introduzione ai lavori di Sandro Magister:
RIDISCUTERE IOTA UNUM, UN ATTO DOVUTO.
Il
convegno che si apre oggi ad Ancona è il primo in Italia su Romano Amerio, a dieci anni dalla scomparsa di questa straordinaria
figura. Ed è il primo in assoluto che riguardi il pensiero di Amerio su « il Vaticano II e le variazioni della
Chiesa cattolica nel secolo XX ». Un precedente convegno tenuto nel 2005 in Svizzera, a Lugano, la città in cui
viveva, verteva soprattutto sulla sua opera di filologo e filosofo, di curatore e commentatore delle edizioni critiche di autori
come Tommaso Campanella, Alessandro Manzoni, Giacomo Leopardi, Paolo Sarpi, Cartesio, Epicuro.
I relatori che prenderanno
oggi la parola analizzeranno i giudizi di Amerio sulla Chiesa del Novecento sotto varie angolature, evidenziandone la permanente
attualità. Ma credo utile – prima – gettare luce sul singolare percorso di questo autore, nel teatro del cattolicesimo
degli ultimi decenni.
La novità
di questo convegno, infatti, è anzitutto questa. Esso restituisce finalmente piena visibilità a uno dei pensatori
cattolici più significativi del Novecento, incredibilmente cancellato per decenni dalla pubblica discussione.
Il tabù che
ha oscurato la sua presenza non ha mai avuto appigli plausibili. Amerio era cristiano integerrimo, studioso inappuntabile, fedelissimo
alla Chiesa. Era il rappresentante più colto e autorevole della critica alla Chiesa del secolo XX in nome della grande
Tradizione cattolica.
Troppo colto e autorevole.
La censura si abbatté su di lui, forse, proprio perché i suoi argomenti erano forti ed elevati. Era impossibile
liquidare le sue critiche con la sicumera con cui si ridicolizzavano le derive anticonciliari dei lefebvriani, dei sedevacantisti,
della variegata galassia antimodernista sulla quale Amerio non poteva essere appiattito. E
allora su di lui si taceva. Tacevano anche gli organi cattolici ufficiali e le autorità della Chiesa, consapevoli di non
poter sconfessare un autore così solido e nello stesso tempo timorosi di discuterne le tesi, nella paura di esporsi a un
sovrappiù di invettive della dominante e rumorosa corrente progressista postconciliare. Una positiva recensione di Iota
unum scritta per « L’Osservatore Romano » nel 1985 dall’allora prefetto della Biblioteca Ambrosiana
monsignor Angelo Paredi – su richiesta del direttore del giornale vaticano, Mario Agnes – non fu mai pubblicata.
Iota unum era appunto
il titolo del gran libro pubblicato da Amerio in quello stesso 1985, per i tipi eleganti dell’editore Riccardo Ricciardi,
con sottotitolo: Studio delle variazioni della Chiesa cattolica nel scolo XX. Le parole latine del titolo, “Iota
unum”, sono quelle di Gesù nel discorso della montagna: « Non pensate che io sia venuto ad abolire la
Legge o i Profeti; non son venuto per abolire, ma per dare compimento. In verità vi dico: finché non siano passati
il cielo e la terra, non passerà neppure uno iota o un segno dalla legge, senza che tutto sia compiuto »
(Matth., V, 17-18). Lo iota è la più piccola lettera dell’alfabeto greco.
Quel libro non era
il contraccolpo improvvisato della tempesta del Concilio e del dopoconcilio. Amerio aveva cominciato a scriverlo nel 1935. La
sua meditata stesura occupò cinquant’anni filati.
Il libro uscì
come clandestino, nel generale silenzio. Parlarono però… le pietre, ossia gli anonimi lettori che, in numero superiore
alle attese, ne fecero anno dopo anno un “long seller” internazionale.
Iota unum, con le
sue 658 pagine impegnative, fu ristampato tre volte in Italia per complessive settemila copie e poi tradotto in francese, inglese,
spagnolo, portoghese, tedesco, olandese. Raggiunse decine di migliaia di lettori in tutto il mondo. Oggi rimane in commercio la
sola edizione inglese, mentre le altre sono esaurite. Ma presto in Italia potrebbe tornare nelle librerie, in una nuova veste
editoriale, assieme al suo seguito, Stat Veritas, uscito in Italia nel 1997 poco dopo la morte del suo autore, libro anch’esso
attualmente esaurito.
Sono passati 22
anni dall’uscita di Iota unum, ma chi lo rilegge oggi lo trova più che mai attuale. Talmente attuale che da
questo libro sembra sprigionarsi una forza capace di far cadere a pezzi, finalmente, la censura che per tanto tempo lo ha imprigionato.
E così, inesorabile, Amerio ritorna sulla scena pubblica, come merita.
Del convegno di
Lugano del 2005 ho detto. L’anno dopo su Amerio è uscito un libro, il primo, che tratteggia la sua opera complessiva.
Ne è autore il suo discepolo Enrico Maria Radaelli. Il volume, stampato da Marco Editore, ha per titolo: Romano Amerio.
Della verità e dell’amore. Ha un’introduzione di mons. Antonio Livi, professore di Filosofia alla Pontificia
Università Lateranense, e una postfazione di don Divo Barsotti – altra grande personalità cattolica che esigerebbe
una più approfondita comprensione – il quale spiega in che senso la questione capitale del cristianesimo d’oggi
è davvero quella còlta appieno da Amerio: la restituzione del primato alla “veritas”, da cui
sola discende la “caritas”, come lo Spirito che procede “ex Patre Filioque”, dal Padre “e
dal Figlio” che è il Logos, il Verbo di Dio.
Al saggio di Radaelli
– e quindi per suo tramite al pensiero di Amerio – ha dedicato una recensione colma di apprezzamenti, lo scorso mese
di aprile, « La Civiltà Cattolica », la rivista dei gesuiti di Roma che si stampa con la revisione
previa e l’imprimatur delle autorità vaticane.
Ai vertici della
Chiesa è dunque caduta l’inibizione a discutere i contenuti di Iota unum. Ma questo, azzarderei, era ormai
un atto dovuto, da quando è Papa Benedetto XVI.
Perché è
evidente a tutti che al centro del magistero di questo Papa ci sono proprio le stesse grandi questioni sollevate da Amerio.
[...].
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(Pagina protetta dai diritti editoriali).
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