Il punto saliente di questa Postfazione a Stat Veritas nella nuova edizione Lindau (seguita all’emerita Ricciardi, da tempo esaurita) è: lo scetticismo e il relativismo denunciati da Amerio come i più terribili lacci inibitorii della forza della ragione, che verrebbe così staccata rovinosamente dalla stabilità vivificante della Verità (Stat Veritas), danno luogo, proprio per tale loro micidiale insania, al più assoluto e terrificante misoneismo (‘orrore assoluto e universale per qualsivoglia novità’), e, sul piano dell’espressione artistica e del linguaggio, al misoneismo nell’arte – sacra o profana che sia –, con grave, mortale ricaduta nella prassi liturgica, nella dogmatica, nell’etica (sia sul piano strettamente religioso che nei suoi riverberi sociali), a partire dalla individuazione stessa dei valori veritativi, di cui si è perso lo “stat Veritas”.
In altre parole, il punto saliente della Postfazione è la messa in relazione tra (da una parte) lo scetticismo e il relativismo sistematico nati da Cartesio, che hanno dato luogo all’ameriana e ormai celebre « perversione del dogma trinitario » chiamata dal Luganese « la questione del Filioque » o « distorsione della divina Monotriade », e (dall’altra) l’atteggiamento che qui si dice “misoneistico”, l’atteggiamento nato cioè dall’‘orrore assoluto per qualsivoglia novità’.
Lo scettico, il relativista, cioè l’agnostico, rifiutando la capacità della ragione di giungere a conoscere in ogni atto conoscitivo la realtà (e dunque anche di conoscere sé), non realizza il novum di sé, non conclude il progetto costituito in ogni tempo (e in ogni conoscenza) dal nuovo uomo che egli stesso dovrebbe divenire, non porta a termine la viva novità data proprio dal proprio Io, novità che di continuo egli fa (dovrebbe fare) di sé e della realtà di cui è (di cui sarebbe) gran conoscitore.
Il suo intelletto, continuamente frustrato dallo scetticismo e dal relativismo sistematico, azzoppato nella sconoscenza programmata e assoluta, guarda nella conoscenza se stesso sconoscente, e, vedendo anche se stesso così rattrappito, illogico e brutto, prende orrore del mostro senza occhi, senza orecchie, senza lingua e senza mani che lo guarda, e da questo orrore mostruoso e assoluto fugge – tenta fuggire – senza saper dove e senza saper come, così fabbricando dovunque la propria immagine deturpata e sconoscente, idolo muto.
Sicché, invece di elevare intorno a sé le bellezze date nei secoli dalla conoscenza, dal Verbum cioè e dalla Imago discesi nel mondo per la carne del Cristo appositamente per questo, conoscenza perpetuamente aggiornata in ogni oggi (come in Fidia, in Volvinio, in Giotto, in Michelangelo e nell’apax assoluto di Caravaggio), questa sconoscenza ridotta a generale misoneismo riempie il mondo delle maliarde e seducenti mostruosità, suggestive nei volti deturpati e sconoscienti alla Francis Bacon, in verità brutture incongrue e vane, totalmente perse nei nulla di una qualsiasi delle infinite invenzioni e ‘installazioni’ che ingorgano oggi il mondo dell’arte, del linguaggio e della bellezza, ancora una volta mostrando quanto la bellezza dipenda dalla verità, l’arte dalla filosofia, il linguaggio dalla metafisica, e da esse, nel bene e nel male, poi strettamente dipenda l’etica, la convivenza sociale, la politica e la sana conduzione delle società. Ma più di tutte dipenda la Liturgia.
Nella Postfazione si mostra con i più rigorosi argomenti che se non si attua il « metodo della vita » fortemente indicato da Amerio con la restituzione al Logos del trono universale che gli spetta sottrattogli dalla volontà, dall’amore, dalla libertà, la Chiesa (e con essa il mondo) resterà nel pantano irresolvibile della propria crisi, che è in primo luogo metafisica, poi teologica e filosofica, poi liturgica, e da qui linguistica, artistica, pedagogica ed etica.
BREVE COMPENDIO DELLA POSTFAZIONE.
Idealmente, questa Postfazione fa corpo unico con l’analoga Postfazione scritta in esergo a Iota unum nella nuova veste Lindau, e la segue.
D’altronde, anche Stat Veritas segue Iota unum. Sicché molti concetti qui esposti si daranno per conosciuti.
Per capire Stat Veritas bisogna capire il suo nome: cosa vuol dire “stat”, cosa vuol dire “Veritas”, cosa vuol dire infine il sottotitolo “Seguito a « Iota unum »”. Si scopre così che la Verità di cui parla Amerio non è unidimensionale, astratta, come oggi la congetturano anche molti cristiani, ma è una realtà di cui, se pur arcana, una cosa è certa: è una realtà di persona. Mi soffermerò su questo.
La metafisica della Verità di Amerio è una metafisica trinitaria, dove le tre Persone divine spargono le loro peculiari qualità: bisogna chiarirlo. Tutto il discorso di Amerio sul Magistero acquista da qui un senso ben più articolato e vasto di quanto possa sembrare a un primo sguardo.
L’originale critica con cui Amerio trafisse nel ’37 Cartesio permette di stringere oggi la cultura odierna nel ridotto del misoneismo, e così faccio.
Il suo richiamo all’immobilità, infine, porta a un’apertura alla vita nel senso più centralmente cristiano ed escatologico.
Da qui possono venir calibrate e ritarate le sue ultime e più inaspettate parole: «Amice, siste fugam, pone te in centro»: pochi se le attenderebbero da un metafisico puro, da un autore che allora però dovrà essere apprezzato, appunto, a causa del chiarimento che voglio mettere a conclusiva luce: la fonte di tutta la tensione critica ameriana è l’unità: unità con Dio, si intende, e poi, per mezzo suo, tra gli uomini, come Amerio stesso precisa in Iota unum, al § 332: «Fonte metafisica della crisi».
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“STAT VERITAS”: BREVE DESCRIZIONE DELL’OPERA.
Pubblicato postumo nel 1997, Stat Veritas analizza e commenta in 55 chiose la Lettera apostolica « Tertio Millennio Adveniente » indirizzata il 10 novembre 1994 da Giovanni Paolo II all’episcopato, al clero e ai fedeli in preparazione del giubileo dell’anno 2000, per definire gli orientamenti pastorali per la Chiesa del nuovo millennio.
Insieme a Iota unum, Stat Veritas è l’opera fondamentale di Romano Amerio, il massimo rappresentante dei fautori della continuità della Chiesa.
Amerio contesta all’insegnamento cattolico nato dal concilio Vaticano II di aver trascurato la Verità metafisica del Logos divino – che non è unidimensionale né astratta, come oggi la ritengono anche molti cattolici, ma è una realtà di persona –, e di essersi concentrato sul tema della Carità, riducendo la Chiesa a mero soggetto storico, sociale e culturale che si confronta con le varie opzioni filosofiche e morali proposte dalla società moderna.
Deprivato del suo principio più specifico – la sovrannaturalità, la fede, la dottrina perfettamente « impersonata » dal Logos –, il messaggio cattolico ha così smarrito la sua identità rispetto alle altre religioni e si è dimostrato impotente di fronte al diffondersi, anche all’interno del mondo cristiano, della secolarizzazione e del relativismo.
Come scrive Enrico Maria Radaelli nella postfazione al volume, « Stat Veritas. La Verità sta, ossia è ferma, solida, irremovibile. Anzi – meglio di ogni traduzione letterale –, dobbiamo dire la Verità è: come una vera amica la Verità è, ci precede, poi ci sta davanti, e poi anche ci attende. Per non farci perire nel nostro Io, senza un Amico accanto ».
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“STAT VERITAS” PRESENTATO DALL’AUTORE.
« Il concetto fondamentale su cui si basa, da cui principia e a cui tende la filosofia moderna è la soggettività. Mentre il concetto fondamentale della filosofia cristiana è che la parola sta: Stat verbum. Infatti l’intelletto non fa, quando intende, che un’operazione puramente recettiva. La parola sta vuol dire che, quando noi percepiamo una verità, il nostro intelletto è attaccato a qualche cosa che non può mutare e che era prima dell’intelletto. Stare significa una preesistenza della verità: una verità che non stesse prima non sarebbe una verità. Anche l’uomo sta, se si attacca alla parola mediante l’adesione che avviene per evidenza. Ma se l’uomo non si attacca alla verità, non vi aderisce, l’uomo non sta più, l’uomo muore ».
Romano Amerio
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(Pagina protetta dai diritti editoriali.)
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