Ringrazio il Presidente professor Giovanni Totti, il Vice presidente professor Camizzi, la gentile professoressa Galleani, che mi onorano dell’invito a parlare in un luogo topico della cultura cattolica parmense, il Circolo Tradizionalista Agostino De Torri.
1. MONOTEISMI. Del tema dei tre Monoteismi si può parlare a partire da diverse prospettive: esegetica, storica, teologica, antropologica, morale, persino politica. Noi qui oggi ci limiteremo alla prospettiva strettamente metafisica, in guisa tale da poter dare qualche contributo – se pur modesto – a un migliore acclaramento per le altre indagini.
A partire dagli anni sessanta del secolo scorso viene insegnata nella Chiesa la dottrina che il Dio adorato dai cristiani, la Trinità rivelata dal Cristo, sia lo stesso Dio adorato da quelle che vengono comunemente chiamate « le altre due grandi religioni monoteiste », o « le altre due religioni del Libro ». Oggi ci faremo in proposito alcune domande, e vedremo di offrire dei fondamenti nozionali perché chi di dovere poi possa dare delle adeguate risposte.
Possiamo rilevare per esempio che la Chiesa non ha dato finora a tali nozioni il supporto di una dottrina specifica e argomentata, di una teologia e di una filosofia della conoscenza adeguate. Né che abbia rassicurato le greggi dei fedeli con un pronunciamento dogmatico conclusivo, essendo solo questa l’unica risposta necessaria al quesito se sia di fede, e sottolineo di fede, che « le tre grandi religioni monoteiste adorano lo stesso Dio ».
Né la Chiesa ha risposto alla domanda ulteriore: per quale motivo da quarant’anni essa insegna una dottrina precedentemente mai insegnata, anzi sempre detestata e rigettata come eretica da suoi grandi Padri, Dottori e Papi? E ancora: se è di fede l’affermazione che il Dio dei cristiani, dei giudei e dei musulmani è il medesimo, dunque che l’espressione « le tre grandi religioni monoteiste adorano lo stesso Dio » è vera e irrefutabile, quali sono i luoghi della Scrittura e della Tradizione della Chiesa che inconfutabilmente e con inequivocabile continuità la indicano, insegnano e obbligano?
In altre parole: è vero che c’è un Dio che ad alcuni si mostra in tre Persone e ad altri in una? È vero che in un primo tempo Dio, a quelli che si chiamano ancora oggi ebrei (ma san Paolo li chiama giudei), si sarebbe rivelato come uno, non trino, successivamente ai cristiani uno e in tre Persone (trino), ma poi, con terza rivelazione, agli islamici ancora come uno, ma assolutamente non trino?
È vero che l’espressione: « le tre grandi religioni monoteiste » identifica in un unico Dio l’adorazione di tre Numi, se pur differenziata in tre modalità « autentiche », difformi tra loro solo storicamente? È possibile individuare tra esse una disparità, o invece le « tre voci » sono univoche in quanto all’oggetto e differenti solo in quanto alla sua conoscenza?
A queste domande risponde il mio IL
MISTERO DELLA SINAGOGA BENDATA, per tutto quello che non ho modo dire ora, e che è il più, ma alle quali qui do risposte sotto l’angolazione più strettamente metafisica.
Nel caso affermativo si renderà necessario che la Chiesa, in onore all’unico Dio riconosciuto da tre differenti monoteismi, dissolva al più presto i confini dottrinali e cultuali tra tre credenze da riconoscere presto quanto meno sorelle (come sta succedendo); in caso negativo, rivelandosi esse nozioni a lei ostilmente antagoniste (come scrive Antonio Livi nell’introduzione al libro) sarà necessario che quei confini la Chiesa li rimarchi maggiormente, rigorosamente, inconfutabilmente e definitivamente.
Perché antagoniste? non basta dirle erranti? non basta dirle false? Che nemici può mai avere – si direbbe oggi con l’ecumene accomunante – una religione nata proprio dal Verbo divino d’Amore?
Le due credenze di cui parliamo nascono come ostili antagoniste direttamente dall’albero della Rivelazione: l’ebraismo farisaico (poi talmudico) sgorga come aceto nell’ora stessa in cui il ceppo benedetto finalmente realizza in Cristo il compimento profetato, atteso e sperato da Mosè e dai Profeti; la seconda, spreme con l’islamismo altro aceto a seicento anni da questa sacra fioritura, proprio quando la Chiesa mostra il suo consolidamento sulle rovine della paganità, e, nel culto e nella dottrina ormai solidamente trinitari, riposa vittoriosa sulle molteplici eresie che da ogni parte la contrastavano, mostrandosi ai popoli come possente albero, dal fogliame popolato da tutte le genti che guardano il Mediterraneo fin dalle lontane Orcadi. Sembra quasi che l’invidia del diavolo sappia cogliere i momenti di riposo della Sposa di Dio.
Bisogna capire che ogni traviamento dottrinale, ogni perversione del pensiero in filosofia e in teologia, ha la sua radice ultimissima in un’egoistica e previa disponibilità a compiere il male, a peccare, cioè a non sottostare alla realtà. Come dice san Gregorio, « le eresie hanno radice nella vanagloria »: 1 [GREGORIO MAGNO, 31 Moral., cap. 45.] al fondo di un errore teoretico vi è sempre in agguato la malizia del peccato, per esempio una sopravvalutazione delle proprie forze.
Per cui, quando nella storia del piano salvifico predisposto da Dio per ridare all’uomo la grazia si compie nel Cristo il suo fastigio, e nel Cristo quindi scende la dottrina, la verità, l’amore, la pace, l’amicizia, la grazia del rapporto reale con Dio e con le sue creature nell’insegnamento trinitario, la stessa vita divina per trasformare sé e le relazioni con il prossimo, ecco che alcuni corrono al Cristo e lo accolgono ponendo fede alle sue parole che spiegano risolte in lui tutte le Scritture e ai suoi miracoli che lo dicono Dio. Il monoteismo arcano e misterioso insegnato nell’Antico Testamento prende in Cristo consistenza trinitaria.
Altri poi, cioè le due polle di aceto antitrinitario, corrompendo le Scritture con due diverse modalità, nascono e si sviluppano invece entrambe proprio per dire no alla santissima Trinità attraverso il no dato al Cristo, e dirle no attraverso un concetto comune a entrambe, semplice, basico, senza peraltro dover essere un concetto esaustivamente vero, ma solo massimamente verosimile: questo concetto è appunto il monoteismo assoluto, o monoteismo secco: il monoteismo secco offre al massimo grado tutte le caratteristiche dell’Essere divino (unicità, bontà, onnipotenza, infinità, eternità), senza concedergli però la sua più intima prerogativa, quella che ne fa l’Essere reale che è: la processione trinitaria delle Persone.
2. MONOTEISMO ASSOLUTO, MONOTEISMO RELATIVO. Tale nozione di monoteismo assoluto si differenzia da quella insegnata nella Legge prima da Mosè e poi da Cristo, perché questa è profondamente e perennemente definita da un monoteismo aperto, o arcano, fin dai tempi della Quercia di Mambre, dove ad Abramo si presenta l’inequivocabile angelo che ora è uno e ora è trino – e Padri e Dottori ne ravvisano la presentazione velata della Trinità al Padre della fede –; esso sfoca la realtà divina in un Dio inafferrabile e davvero trascendente: docente prima di un’inequivoca nozione di unicità, poi, all’interno di questa unicità assoluta di essenza, di un’altrettanto inequivoca trinità di Persone.
Il monoteismo mosaico è infatti assoluto in quanto all’unicità, per sgominare le nozioni animiste e politeiste, ma è relativo, o arcano, in quanto alla definizione interna a tale unicità. Si potrebbe dire: Dio è uno; ma che Dio uno è? Dio è uno, ma come è uno?
Quando il cristiano prega il Dio unico, uno nella sostanza e trino nelle Persone, come gli è stato rivelato da GESÙ Cristo, prega secondo la Rivelazione e cioè prega l’Unità sottintendendo la Trinità, come chiarisce sant’Ambrogio: « [Dire] DIO UNO non esclude affatto la sostanza divina della Trinità, e per questo [dicendo DIO UNO, o DIO, o UN SOLO DIO] ne viene lodata la natura ». 2 [SANT’AMBROGIO, De Trin., II, 1, 18.]
Tutte le volte che il cristiano dice Dio senza dire Trinità non dice una cosa diversa dalla Trinità, ma dice una cosa che la implica, perché questa è l’accezione scelta nella fede in Cristo. Essendo una la natura, uno è Dio: dunque il politeismo è escluso. Non è escluso invece che quel Dio uno, quella una e unica natura, o sostanza, sia le tre Persone, cioè un’unica natura o sostanza di tre Persone, come dice san Tommaso: « Il nome DIO di suo sta a designare l’essenza; perciò, come è vero che l’ESSENZA È LE TRE PERSONE, così è vero che Dio è le tre Persone ». 3 [TOMMASO D’AQUINO, Summa Theol., I, q. 39, a. 6.]
La cosa è ancora più chiara quando l’argomento diventa la creazione. San Tommaso, infatti, nel De Creatione della Summa si chiede Se creare sia proprio di qualcuna delle Persone. 4 [IBIDEM, q. 45, a. 6.] Naturalmente no: essa infatti, spiega, è « opera comune di tutta la Trinità ». Egli non risponde: “Non è opera delle Persone, ma dell’essenza”; e neppure: “È opera di Dio in quanto essenza, non di Dio in quanto Persone”; egli risponde: « È opera comune », cioè non propria a solo una delle tre Persone, ma opera in cui agiscono tutte e tre, « ciascuna – specifica il Dottore – con un suo proprio influsso causale », per cui viene ben individuato sia un moto di Dio in quanto Essenza, per il fatto che esso è « comune », sia un moto di Dio in quanto tre Persone, in virtù del personale e singolare « effetto causale » di ciascuna.
Avendo visto che l’essenza non è qualcosa di diverso dalle tre Persone, ma « È le tre Persone », dopo la Rivelazione noi credenti concludiamo che la creazione è effetto non di una natura divina secca, assoluta, cioè natura di una sola Persona, ma di quella deità la cui essenza, o natura, è tre Persone, giacché, dice san Tommaso, « le Persone divine hanno un influsso causale sulla creazione in base alla natura delle relative processioni ».
Dunque, stando al Dottore, sul piano metafisico si dovrebbe dedurre che, se dire Dio, cioè essenza di Dio, fosse dire una sola Persona, come ritiene l’eresia talmudica, tali imprescindibili « influssi causali » non si avrebbero; cioè non si avrebbe creazione.
Per l’Aquinate ha ragione chi dice che la creazione è data da Dio, intendendo da un solo Dio (monoteismo), e ha torto chi dice che la creazione è data da Dio, intendendo da una sola Persona: a chi dice che il creatore è una sola Persona, l’Angelico risponde che ciò non può essere, perché « le Persone divine hanno un influsso causale sulla creazione in base alla natura delle relative processioni », e con ciò il Dottore prende le debite distanze sia dagli ebrei postcristici che dagli islamici.
Non è a caso che san Tommaso pone il Trattato De Creatione non dopo il De Deo uno, ma dopo il De Trinitate: la creazione cioè, sembra dire il Dottore con questa meditata collocazione, si spiega certamente con l’essenza, ma solo per essere « azione comune alle tre Persone », cioè con la previa chiarificazione che dire essenza è dire le tre Persone, cosa che può avvenire solo dopo la conoscenza di Dio fatta col De Trinitate.
Sicché si potrà certo affermare che la creazione è effetto del Dio uno, dunque di una realtà monoteistica, ma non in quanto realtà monoteistica secca, assoluta, ma in quanto realtà monoteistica aperta, relativa: aperta e relativa alla realtà trinitaria.
Infatti, quando Mosè scrive: « Dio creò il cielo e la terra » 4 [Gen., I, 1], non dobbiamo intendere che egli, dicendo Dio, parli necessariamente di una Persona sola e solitaria, ma piuttosto, come rilevano Padri e Dottori, di una natura personale, in quanto la natura divina è pensiero e volontà sussistenti: Mosè è di fronte a un’essenza personale che esclude l’essere universale di Parmenide, rivendicando una sostanza spirituale viva e sussistente, razionale e volitiva, rispondente a un nome proprio, il Nome dei nomi di Dio: Io sono colui che sono di Exod. III, 14.
In tale rivelazione l’arcano rappresentato dal nome Dio si presenta al Profeta compiendo contemporaneamente tre operazioni: con una distrugge nell’unicità di ‘un solo Dio’ ogni tendenza anche minimamente politeista, o animista, che è la prima a nascere e la più dura a morire; con un’altra distrugge nella realtà personale di ‘Io sono’ ogni intellettualismo astratto e, in esso, ogni tendenza deista e panteista latente e patente nel mondo con il dio dei filosofi, dei taoisti e dei buddhisti; con la terza costruisce il mistero Dio intorno alla fondamentale ambiguità – che dovrà durare per tutto l’Antico Testamento – per l’appunto di una Persona metafisica inafferrabile, di cui si sa che in quanto alla natura è una, ma non si sa come è tale natura, se non che è personale, avendo anche « volto »: 5 [Espressione ricorrente nelle Scritture, in riferimento a Dio, dietro la quale, scartato il significato antropomorfico, con forza si palesa l’accezione personale da cogliere nell’essere divino; ma il significato antropomorfico riprende pieno valore alla luce del Evangelium, se si identifica nel Cristo teandrico, nuovo Adamo, l’incarnazione della seconda Persona, il Figlio, « immagine del Padre », come da sé si definisce; Imago ascesa al Cielo e dunque realtà non solo spirituale ma per l’eternità in GESÙ Cristo anche materiale, anzi di materia redenta e perfetta. Cfr. Summa Theol., I, q. 35, a. 2.] ammesso pure nell’espressione un evidente metaforico antropomorfismo, resta il significato espresso dal segno antropomorfico, e il significato dell’espressione volto è indubitabilmente quello di persona.
Da qui il rilievo di sant’Ambrogio, il quale molto finemente evidenzia che da un arcano personale non si può escludere nulla sulla quantità delle Persone: gli indizi ricavabili dall’Antico Testamento sono al proposito ambigui, velati, in qualche modo enigmatici, e ciò sta a dire che l’uomo deve prendere atto che c’è un mistero anche nei termini squisitamente monoteistici, giacché la fede non inizia dalla Trinità, ma dal monoteismo, Dio essendo un Deus absconditus e trascendente l’uomo fin dal suo essere uno: Deus absconditus all’uomo dunque per natura. Come poi sia questo indubitabile uno, ci penserà Dio a rivelarlo, come e quando vorrà, essendo anche, e più, un Deus ostensus.
I tre costrutti posti da Dio nel nome ‘Io sono’ sono tutti importantissimi, ma il terzo è di gran lunga il più rilevante.
[...]
7. SINTESI CONCLUSIVA. Da tutto ciò si mostra quanto sia utile un’analisi sul piano metafisico delle nozioni insite nei monoteismi per chiarire se anche quelle non cattoliche abbiano provenienza divina, come vorrebbe l’ecumenismo.
« Chi non è con me, è contro di me », dice il Signore. Ora: quale dei tre monoteismi è stato rivelato? o sono stati rivelati tutti e tre? Il compito è di comprendere il motivo per cui quel detto del Signore, « Chi non è con me, è contro di me », si attagli perfettamente in primissimo luogo a quei due monoteismi di cui stiamo discutendo quella che parrebbe semplicemente una pura finzione, compiuta sostanzialmente – se pur in due modalità differenti – sulla falsariga del modello del monoteismo biblico in nuce trinitario, ma senza le sue più importanti proprietà, che lo fanno ricco di nozioni quali quella di essere, di persona, di partecipazione, di amore, di persuasione, etc.
In tal modo l’impertinenza dell’ecumenismo fondamentalista mostra la realtà che è: un incompossibile tentativo di avvicinare e anzi far coincidere delle nozioni rozzamente materiali e naturaliste alla più sublime metafisica accessibile fondamentalmente intorno al concetto di partecipazione.
Rifiutando il Cristo è rifiutata la relazione, la partecipabilità metafisica della Persona divina alla persona umana, sicché, mentre la realtà Dio, ovviamente, resta salva, la realtà gnoseologica che l’uomo ha di lui viene vulnerata, corrosa fino a perdere di senso; dall’invalidamento della nozione Dio persona nei cieli all’invalidamento sulla terra dell’analoga nozione persona nell’uomo, il passo è breve, giacché dalla nozione che l’uomo ha di Dio dipende ogni altra nozione.
L’abbiamo visto: se l’uomo ha di Dio una nozione tirannica, anche la sua scienza riguardo le cose sulla terra gliele mostrerà tiranniche e il suo stesso agire sarà tirannico; se egli ne ha una nozione relazionale e partecipativa anche la sua scienza delle cose terrene gliele mostrerà partecipanti – quindi intelligenti, pacifiche, libere, amorevoli – e il suo stesso agire sarà egualmente partecipante, cioè di caritas.
Perché questo? Perché l’universo è distinto in persone e cose, e le cose sono per le persone, non le persone per le cose. Ma quando la persona è amorosamente avida di Dio, si fa Dio; quando è egoisticamente avida delle cose si fa cosa.
Ma Dio ha creato l’universo per essere adorato. L’essenza divina ‘Tre Persone’ ha creato una persona umana. Tutto, quindi, ma proprio tutto, nell’universo, è fatto affinché si attui la più perfetta relazione tra l’Io divino e l’Io umano.
Ma può esservi una relazione non personale, cioè impersonale? No: la relazione può essere unicamente personale. Qual è questa relazione? È la relazione d’amore, cioè intelligente, sorridente e libera. Se uno dei due termini della relazione non vuole la relazione, essa non si realizza, ma quel termine, in un certo senso, si cosifica. Il che è appunto ciò che avviene quando l’uomo rifiuta Dio nei modi visti, in particolare nelle nozioni monoteiste eretiche maomettana e giudaica, o talmudica. In queste due nozioni l’uomo si figura un Dio depersonalizzato, cosificato e rinsecchito nei modi visti, al fine inconfessabile di conformare sé e la propria etica su quell’alto Modello: tale il Dittatore, così noi; tale il Disattento, così noi.
* * *
Enrico Maria Radaelli
* Docente di Filosofia dell’estetica e direttore del Dipartimento di Estetica
della Associazione Internazionale “Sensus Communis” (Roma), collabora alla cattedra di Filosofia della Conoscenza
(sezione Conoscenza estetica) della Università Lateranense.
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