I.
L’assunto di questo libro di Enrico Maria Radaelli mi ha prima incuriosito e poi affascinato. A ben vedere –
se lo si legge con attenzione e lo si giudica con serenità – quello che Radaelli espone in queste pagine è
un problema attuale e molto serio: lo smarrimento, nell’ambiente culturale cristiano, del senso della verità in rapporto
al mondo creato da Dio e in rapporto a Dio che ha creato il mondo.
Il pragmatismo –
ben chiaramente teorizzato da gran parte della filosofia contemporanea, e inconsapevolmente recepito da tutti gli altri ambiti
della cultura, non esclusa quella cattolica – ha sepolto progressivamente la coscienza del primato che la verità
ha in ogni momento e in ogni aspetto della vita umana.
Poco importa, oggi, che
siano vere le teorie scientifiche (o quale di esse, se contrapposte l’una all’altra, sia vera): all'opinione pubblica,
per quello che appare, basta che le teorie più insistentemente propagandate (dall’evoluzionismo alla psicanalisi,
dal materialismo dialettico all’animalismo) siano funzionali a scelte etiche e politiche che sempre di più si allontanano
dalla legge morale naturale e dalla dottrina morale della Chiesa (si pensi all’influsso di questo paradigma epistemico persino
tra i teologi moralisti, ai quali Giovanni Paolo II ha rivolto severi ammonimenti parlando proprio di primato della verità
nell’enciclica Veritatis splendor).
Così, per parlare
di ciò che qui ci interessa, poco importa che le tre cosiddette “religioni monoteistiche” siano, come tali,
incompatibili l’una con l’altra, reclamando ciascuna per sé la qualifica di “religione vera”: basta
che l’accostamento dell’una all’altra, sulla base di elementi estrinseci e secondari, consenta l’affermazione
sempre più imperiosa di un’ideologia politica, quella del pacifismo, che è sostanzialmente indifferente al
problema religioso (il problema della salvezza come dono di Dio tramite la Rivelazione) e addirittura ostile a qualsiasi ipotesi
di soluzione di questo problema in termini dottrinali.
Partendo dalla premessa
(falsa) che di per sé ogni religione, se ritenuta vera, produce intolleranza, fanatismo e conflitti, si insiste nel costringere
le confessioni religiose negli angusti e innaturali spazi di un “minimo comun denominatore”, che (guarda caso) coincide
con il Dio del deismo settecentesco, quello che è invocato dalla Massoneria a garanzia di un ordine politico nel quale
la religione non deve avere alcuna influenza pratica.
In tal modo il pragmatismo
politico, animato dall’ideologia del pacifismo, utilizza oggi la categoria sociologica (non teologica) del “monoteismo”
come strumento concettuale per imporre l’indifferentismo, mostrando un atteggiamento di tolleranza solo per una religione
che non si ritenga vera (depositaria di una verità divina) ma soltanto etnicamente e storicamente rilevabile, e pertanto
giustificabile se ricondotta a un generico “senso religioso” di stampo deistico, che esclude l’ipotesi di una
Rivelazione divina e pertanto il dogma.
Il dogmatismo diventa così
l’avversario ideologico principale: e infatti ritorna sempre nella propaganda ideologica l’equazione (falsa) “dogmatismo
= intolleranza e guerra”. Una religione che osi presentarsi come l’unica vera, a differenza di altre che pure sono
“monoteistiche”, va condannata, combattuta, se possibile eliminata.
E ai nostri giorni l’operazione
politica dell’ideologia pacifista ha buon gioco nel suo progetto di omologare a sé anche la cultura teologica, perché
l’indifferentismo e il relativismo dogmatico sono già penetrati in ampi settori dell’opinione pubblica cristiana,
anche tra i cattolici, tanto che la Chiesa ha dovuto intervenire (senza molto successo, purtroppo, almeno per ora) con il documento
chiarificatore intitolato Dominus Iesus. 1 [1 Cfr
Congregazione per la Dottrina della Fede, “Dominus Iesus”: dichiarazione circa l’unicità e l’universalità
di Gesù Cristo e della Chiesa, 5 settembre 2000.]
II.
Ora, l’assunto di Radaelli – se ho ben compreso la sua argomentazione – è proprio questo:
l’opinione pubblica all’interno della comunità dei credenti dovrebbe rendersi conto della manovra ideologica
nella quale è stata implicata; deve prendere di nuovo coscienza del primato che spetta alla Rivelazione divina –
come unica verità salvifica, in quanto culmine e compendio della storia della salvezza – nell’àmbito
religioso; deve tornare a vivere la vita cristiana come vita di fede autentica, una fede che sia adesione di tutta la persona
alla verità rivelata, orientando la propria vita al Dio uno e trino che si è rivelato in Gesù Cristo, subordinando
alla verità divina tutti gli altri interessi e valori in gioco, a cominciare proprio dalla politica (perché la religione
non diventi di nuovo, come in altre tristi epoche, “instrumentum regni”).
Insomma, la comunità
dei credenti, anche a livello di pubblica opinione, deve riscoprire la specificità della fede cristiana, incentrata sul
dogma della Trinità. È la Trinità che noi adoriamo, è da lei che ci attende la nostra personale salvezza
e tutto ciò che vi è connesso (compreso il bene comune temporale), è da lei che ci attendiamo di essere un
giorno beatificati potendola contemplare faccia a faccia. (Vai
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