Ringrazio
il Centro Studi Oriente Occidente, il suo Presidente dottor Possedoni e l’ospitale Università di Ancona per l’occasione
che ci offre di parlare del nodo centrale del pensiero di Amerio e poter così esporre alcune osservazioni che potranno
contribuire all’ulteriore vacillamento delle teoriche relativiste.
* * *
1.
IL CRITERIO GENERALE DELLA ADÆQUATIO. Come si sa, vi è un asse cardinale intorno a cui muovere la nostra
vita: l’asse cardinale è il criterio della adæquatio 1 [Secondo
il principio generale posto da TOMMASO D’AQUINO (Summa Theol., I, q. 16, a. 1), per cui: « Veritas est adæquatio
rei et intellectus », la verità è l'adeguamento della cosa e dell'intelletto.] che l’uomo
deve compiere verso la realtà per « fare la verità ». 2 [Ioan.,
III, 21; I Ioan., I, 6.]
Cos’è la adæquatio?
Altro non è che la conformazione, l’intima adesione alla realtà, ravvisata da Aristotele e compiuta
poi in pienezza dalla Natura divina presente in Cristo; è la sacra “obbedienza” all’esserci del
reale; e l’obbedienza, ricorda Amerio a pagina 28 di Iota unum, è il principio del Cattolicesimo.
Il criterio di adæquatio
governa persino la ss. Trinità: il Figlio, l’Intelletto (il Logos), raffigura perfettamente la Mente del Padre
da cui è generato: ne è lo Specchio, l’Imago, ed è natura sua a Patrem adæquatus:
conforme al suo Principio e Genitore. 3 [Adæquatio che, anche tra
le Persone divine, è vicendevole: anche il Padre approva il Figlio, la Mente cioè assente al proprio Verbo riconoscendo
e gradendo la “testimonianza” che esso le dà anche ad intra.]
Se l’uomo (attraverso
la conoscenza, ossia al Figlio Verbum/Imago) si eguaglia alla realtà che lo circonda – prima
materiale, poi spirituale –, l’uomo giunge a Dio. Nel mio libro di Corso: Ingresso alla bellezza. Fondamenti a
un’Estetica trinitaria, 4 [Il libro è uscito per i tipi di Fede & Cultura a Verona nel luglio 2007.] ne svolgo diffusamente il percorso, in specie alla V Lectio.
Detto ciò, se pur
succintamente, si può procedere a capire quali conseguenze potrebbero invece aversi se il moto per noi vitale che compiamo
di continuo con l’operazione intellettiva, spinto dal meccanismo della adæquatio, avanzasse con un criterio
opposto a quello dato dalla realtà, con un criterio falso, che Amerio individuò nella “dislocazione
della Monotriade”.
2.
LA RECENSIONE SU « CIVILTÀ CATTOLICA ». Nel marzo scorso uscì su « Civiltà Cattolica
» un’interessante recensione alla mia monografia Romano Amerio. Della verità e dell’amore, 5
[Pubblicata da Marco Editore, Lungro di Cosenza, nel 2005.] in cui l’autorevole rivista, oltre
frangere finalmente l’indegna damnatio memoriæ decretata sul filosofo col micidiale metodo del “silenzio
silenziosamente concordato”, mostrava di saper cogliere con acume gli snodi principali del lavoro, in specie l’intenzione
di far rilevare che tutta la tensione che Amerio ebbe per tutta la vita era tensione per il Logos, per il Verbum,
per il razionale, divino « principio di ogni cosa », come ricorda san Paolo ai Colossesi: di ogni cosa, compreso
l’amore.
Secondo « Civiltà
Cattolica », però, sarebbe " opinabile il tentativo di spiegare le attuali difficoltà del cristianesimo
quasi solamente come esito di una deviazione dal dogma del Logos, del declassamento della Verità al secondo posto dopo
l’amore. La realtà – sostiene – è più complessa e non si può ricondurre tutta
a un solo aspetto: in questo caso c’è il rischio di riduttivismo filosofico ». Non escludo che «
Civiltà Cattolica » possa aver ragione, ma in una certa misura potrebbe rivelarsi necessario correrlo, questo
rischio, giacché in verità parrebbe proprio questo l’errore apicale, la causale universale di ogni
odierno errore: disconoscere che la realtà, pur complessa, deve la prima spinta che l’ha completamente bouleversée
come un guanto all’aver tolto di mezzo il Logos da « principio di ogni cosa " per soppiantarlo
con l’amore, invertendo così l’universale principio delle cose con ciò che è solo
l’universale loro fine. L’inversione pone una questione di metodo, quasi che commutando la causa con
l’effetto il prodotto non cambi: ma il prodotto – l’uomo, il mondo, l’oggi –
invece cambia, e oltre il prodotto cambiano anche le essenze coinvolte: cambia la conoscenza, cambia l’amore,
e cambia il concetto che noi abbiamo di Dio.
3.
TESI GENERALE DI AMERIO. Amerio non dice che ogni errore dipenda dalla distorsione, perché vi sono errori
per esempio causati dalla sola enfatizzazione dell’intelletto, altri dal rigetto del principio dell’essere;
Amerio, e io con lui, dice che la distorsione delle essenze è all’origine degli errori che hanno dato luogo all’odierno
stato di cose. Questa è la tesi generale di Amerio, in particolare di Iota unum, anche
se lì fu espressa unicamente nelle pagine sul pirronismo (il nostro scetticismo): « Alla base del presente
smarrimento – vi scriveva – vi è un attacco alla potenza conoscitiva dell’uomo, e questo attacco
rimanda ultimamente alla costituzione metafisica dell’ente e ultimissimamente alla costituzione metafisica dell’Ente
primo, cioè alla divina Monotriade. […] Come nella divina Monotriade l’amore procede dal Verbo, così
nell’anima umana il vissuto dal pensato. Se si nega la precessione del pensato dal vissuto, della verità dalla volontà,
si tenta una DISLOCAZIONE DELLA MONOTRIADE ». 6 [ROMANO
AMERIO, Iota unum. Studio delle variazioni della Chiesa cattolica nel secolo XX, Riccardo Ricciardi Editore, Milano - Napoli,
1985, pp. 296-97 (la marcatura è nel testo).]
Questo, sottolineo, è
poi l’unico concetto steso da Amerio nelle righe con cui annuncerà Iota unum agli amici; esso delinea la tesi
che da tempo ho fatto mia; ciascuno potrà racimolare da Iota, da Stat veritas e dalla mia monografia sul
Luganese l’elenco delle distorsioni segnalate e potrà rintracciare negli Atti del Convegno di Lugano del 2005
7 [AA.VV., Romano Amerio (1905-1997). L’Umanista, il Luganese, il Cattolico,
Atti del Convegno italo-svizzero nel primo centenario della nascita, « Cenobio » - Giampiero
Casagrande Editore, Lugano, 2005.] le modalità con cui Cartesio perpetrò secondo Amerio l’inversione;
qui esporrò qualche falsificazione della realtà, qualche inadeguata adæquatio, la cui eterogeneità
dovrebbe confermare l’universalità della tesi.
4.
LA QUESTIONE DEL FILIOQUE. A due anni dalla morte, Amerio mi chiese di tenere per parte sua ad Albano quella che di
fatto fu la sua ultima conferenza, intitolata appunto La questione del Filioque, ovvero la distorsione della Monotriade,
con la quale mostrava chiaramente la persistenza e la radicalità assoluta del suo convincimento.
« La celebrazione
indiscreta che la Chiesa e la teologia ammodernata fanno dell’amore – così si esprimeva Amerio in quell’occasione
– è una perversione del dogma trinitario, perché, come spiega il Concilio di Firenze nella Bolla Lætantur
cœli, la nostra fede porta che in principio sia il Padre, il Padre genera il Figlio, che è il Verbo, e, dal Padre
e dal Figlio, si genera lo Spirito Santo, che è l’amore. L’amore è preceduto dal Verbo, è preceduto
dalla conoscenza ». 8 [ROMANO AMERIO, La questione del Filioque, ovvero
la distorsione della Monotriade, Conferenza tenuta per registrazione ad Albano Laziale, 1997.]
« Non si
può fare dell’amore un assoluto », come, aggiungo io, si può invece e si deve fare della verità:
« Se se ne fa un assoluto – riprende Amerio – si cade nell’errore degli Orientali, che
rifiutano il Filioque. Gli Orientali dicono che lo Spirito Santo procede solo dal Padre, mentre la fede dice che l’amore
procede dal Padre e dal Figlio », cioè che l’amore procede dall’essere e dalla conoscenza,
tanto che sant’Agostino può sentenziare: « Non si ama ciò che non si conosce ».
5.
L’OPZIONE FONDAMENTALE. LA ‘LOGOFAGIA’. È una questione di metodo, dicevo: mettendo infatti
l’amore a fondamento della conoscenza, della vita e di tutte le cose, si concreta l’odierna opzione fondamentale
con la quale da un lato si realizza un distorto e crudele avvaloramento dell’amore e di ogni altro valore assimilabile,
nella Trinità, allo Spirito Santo: volontà, libertà, azione, progressismo, amicizia,
comunità, pace; dall’altro l’opposta riduzione del discernimento e di ogni altro valore assimilabile,
nella Trinità, al Logos: intelletto, ragione, legge, ordine, dogma, disciplina,
traditio. È una vera e propria logofagia.
« Quindi
– conclude Amerio – questo avvaloramento indiscreto dell’amore implica una distorsione del dogma trinitario.
Questo del Filioque, che pare un teorema di astratta teologia, è un atteggiamento formidabilmente pratico, perché
il mondo è pervaso dell’idea che il valore vero sia l’azione, il dinamismo ». E con ciò si
distorce anche l’azione, anche il dinamismo, cioè si distorce anche l’amore.
Il pensiero moderno, impiantato
sulla metafisica di Cartesio, che fu la prima a pervertire l’ordine delle essenze trinitarie, è una negazione della
ragione: questo lo si vede anche nell’imponente fenomeno della politica. Quali sono gli Stati che regolano la politica sulla
ragione, o sulle ragioni? Gli Stati emanano delle ordinazioni cui soggiace la vita umana; ma il motivo, la giustificazione di
queste ordinazioni è l’ordinazione in sé, e non, come dovrebbe essere, un’ordinazione esterna
a sé e superiore. Gli Stati si sono dati le Costituzioni e sopra le Costituzioni per gli Stati non c’è
più nulla. Non c’è la legge naturale. Ma sopra la legge dello Stato dovrebbe esserci quella di Dio.
6.
LA LEGGE NATURALE. ROBERT GEORGE. Questo lo dice anche Robert George, il famoso professore di Princeton: anche il filosofo
Robert George rileva nei suoi libri come la natural law sia oggi sfrattata dalla politica. Oggi, perché gli Stati
premoderni invece l’avevano in gran conto e tutte le loro leggi germinavano e riposavano sulla natural law.
Il fatto è che gli
Stati, la comunità, l’amore (= ‘la Comunità che si riconosce unita in uno
Stato’), vogliono essere legge a se stessi, vogliono essere legge alle proprie pulsioni, dunque per prima cosa cancellano
qualsiasi legge che li sovrasti, che sovrasti la Storia, che sovrasti la Comunità, ossia cancellano la legge naturale.
Ebbene: distrutto ogni riferimento a una legge superiore alle Costituzioni, è distrutto Iddio. Distrutte le forme platoniche
preesistenti alle cose, tra le quali la legge naturale, la natural law, è distrutto il Logos, e, con il Logos,
Iddio, così da poter avere mano libera e mettersi in proprio.
Le Costituzioni vanno bene,
la democrazia, diciamo, va bene, ma sopra le Costituzioni, sopra la democrazia, così come una volta sopra il Re, c’è
qualcosa che le precede e che è la ragione costituita dalla legge naturale, ossia in ultimo dal Logos.
7.
IL GOVERNO UNIVERSALE DELLA VERITÀ: LA LOGOSCRAZIA. Col rigetto della legge naturale la minoranza agnostica
della polis occidentale vorrebbe rigettare come falsa realtà di prepotenza ciò che è il cardine
della Chiesa: di essere essa il depositum della legge naturale, cioè della Logoscrazia universale,
dell’universale Governo della verità, e divina verità; anzi di essere essa, all’opposto
di ciò che vorrebbero i suoi nemici, la divina e terrena Società depositaria e promotrice dell’unica Logoscrazia
possibile, dalla quale la stessa società riceverebbe solo benefici.
Oggi pare un abominio che
qualcuno si dichiari portatore di verità, come se il Logos non si fosse rivelato, non avesse insegnato Se stesso,
non avesse costituito sua vicaria la Chiesa, e tutto ciò proprio perché si estenda su tutta la terra la sua Logoscrazia.
Ma negare queste realtà, questo mi sembra l’abominio.
8.
LA LIBERTÀ D’ESPRESSIONE. La libertà d’espressione è la figlia diletta dell’uomo
moderno. Qui la “dislocazione” è evidente: la libertà di esprimere qualsiasi cosa, anche oscena, anche
blasfema, è sotto gli occhi di tutti, vetrina impura delle nuove città desacralizzate, così da sopraffare
la legge naturale che vincolerebbe ogni uomo a elicere il bene e sotterrare il male. Non ci si addentra in questa degenerazione
perché si dovrebbe tenere una conferenza apposita (si pensi solo al problema dell’arte, del linguaggio, della censura).
Non si può però passare sotto silenzio il recente tentativo di un ministro cattolico della Repubblica di
presentare un disegno di legge per punire « le espressioni discriminatorie tra gruppi sociali – si
legge –, anche di semplice incitamento, motivate dall’identità di genere o di orientamento sessuale ».
« Se tale legge fosse applicata in modo coerente – si domanda il professor De Mattei –,
un insegnante di religione potrebbe ancora presentare la famiglia naturale come ‘superiore’ alle unioni di fatto
etero o omosessuali? Un’istituzione ecclesiastica potrebbe ancora rifiutarsi di accogliere nelle sue fila un religioso che
pratichi o propagandi l’omosessualità? ». Quando la libertà prende il sopravvento, alla fine succede
che la ragione da cui principia la libertà è messa sotto accusa, e ricusata.
9.
RADICI CRISTIANE NELLA COSTITUZIONE EUROPEA. Molti chiedono che nella cosiddetta Costituzione Europea vengano ricordate
le radici cristiane della civiltà occidentale. Ma invocano le radici di un passato remoto senza invocare il fusto, le foglie
e i frutti del presente che impelle. A che serve allora l’invocazione? ad avere un troncone di radici morte? a che serve
poi questo troncone se poi vi troviamo innestati oleastri, alberi marci, piante sterili da gettare solo nel fuoco?
Poi vi è l’estrapolazione
pubblica della libertà di coscienza.
« Lo
Stato difenda la libertà di NON essere religiosi », titolava sul « Corriere
della Sera » il portavoce della Comunità ebraica di Milano. 10 [YASHA
REIBMAN, « Corriere della Sera », 15 maggio 2007, p. 42.] La parola magica è ‘libertà’.
Ma la libertà può essere intesa in due modi: o come affrancamento della ragione dalle emozioni (di ogni tipo: anche
dalle preoccupazioni e persino dalle sante amicizie) per ragionare e operare secondo la logica aletica, l’adæquatio
alla realtà, l’imperio del dovere dato dal fine escatologico verso cui la società ha l’obbligo
di condurre l’uomo; 11 [L’essenziale (e spirituale) macchinario per
cui la ragione si muove nell’ambito della libertà è analizzato in Ingresso…
cit., in particolare nelle Lectiones VIII
- IX -
X - XI .] oppure come rigetto
di ogni vincolo adeguativo, per poter fare ciò che si vuole, con l’unico vincolo – parrebbe – del “rispetto
degli altri”: tutti dovrebbero rispettare gli altri tutti nella libertà di fare tutti ogni cosa
liberamente. In realtà molti sono solo costretti a fare ciò che vogliono pochi.
Qui la distorsione della
Monotriade è flagrante: nel primo caso abbiamo infatti la precedenza del Logos che impera sulle passioni, sull’amore;
nel secondo invece, rigettando nello sfogo passionale ogni vincolo razionale, abbiamo il suo rigetto.
10.
STATO E LIBERTÀ DI COSCIENZA: LE DUE ACCEZIONI DI LIBERTÀ. E sembra persino convincente, questo appello
in difesa della « libertà di NON essere religiosi ». Infatti, che lo Stato
debba garantire questa libertà è vero, come all’Io razionale la garantisce Dio, dandogli la libertà
di compiere un’azione anche irrazionale e immorale: di peccare. Ma se tale garanzia straripa dal privato dell’Io
al pubblico della polis la libertà o diritto irragionevole di non essere religiosi cozza col retto
e razionale diritto universale di poter perseguire invece il dovere di esserlo, come la libertà di rubare l’altrui
cozza col diritto di proprietà e quella dell’impurità col diritto altrui alla purità. E questo è
il punto.
I muri delle case e dei
palazzi delle città o sono puliti o sono imbrattati; voglio dire che qui si fronteggiano due assoluti: o il dominio dell’oggettività
e della libertà nella legge di natura, o il dominio del soggettivismo e la licenza di ateismo e di libertinaggio. Due gli
assoluti, due i dominî; ma uno è naturale, l’altro artificiale; uno riposa sulla retta adæquatio
con la realtà, l’altro la violenta e la distorce secondo le passioni più irrazionali.
Relativisti e libertini
sostengono che fare leggi per loro non lede la libertà di chi non accorda con loro, ma questo non è vero: le leggi
non solo permettono o vincolano, ma anche educano; cioè hanno, oltre il valore prescrittivo, un intimo
valore propedeutico, magisteriale, di materia cui conformarsi. Se uno Stato riposa su una legge, quello Stato è
quella legge, e insegna quella legge, perché una comunità è le relazioni che fa e che insegna,
è cioè le relazioni che tramanda di generazione in generazione.
11.
LA ‘RELAZIONE’, FULCRO DELL’AMORE, È IN REALTÀ UNA LEGGE, ED È LA PRIMA DI TUTTE LE LEGGI.
Ed ecco l’asse cardinale: la ‘relazione’ è alla base della comunità, dell’amore,
dello Stato, e del suo futuro. La ‘relazione’ però non è affatto vegetativa, né
stolida e incosciente: la ‘relazione’, che è il fulcro, il perno dell’amore, della
pace, della comunità, è, prima ancora, il sommo dell’intelligenza, perché la prima e
perfettissima relazione è quella ‘di generazione’ tra la Mente del Padre e il Pensiero del Figlio, che
ne è lo Specchio e il Volto.
La relazione è
di per sé una legge: è un’eguaglianza tra due enti, è un confronto, p. es. tra Mente e Verbo, e come
tale si vede, si riconosce, si valuta e si soppesa. Sicché tutti coloro che vogliono, nella
relazione tra i diversi Io coinvolti nello Stato, calcare sul valore della comunità, dell’amore, della
libertà, devono fare attenzione, perché devono fare tutte queste cose utilizzando uno strumento decisivo, delicato
e insostituibile, che di per sé non è affatto né libero, né irrazionale, né antidogmatico,
né sentimentale, né passionale, ma è decisamente e unicamente legante, dogmatico, veritativo, fermo, puro:
è la Legge della relazione, matrice di ogni altra e di tutte le leggi, matrice persino del principio di non contraddizione.
12.
NATURA STRETTAMENTE TRINITARIA DELLA ‘RELAZIONE’: ESSA NASCE SOLO DALLA TRINITÀ. E non solo essa
è legge di natura divina, ma io dico che è legge di natura schiettamente trinitaria, giacché
la si può riscontrare ed estrarre unicamente frugando nella Trinità: è una legge che nasce dal Figlio, come
mostro in Ingresso alla bellezza,
i cui Nomi non sono uno solo, ma due, per cui uno dichiara la sostanza noetica, di essere cioè l’essenza
del Figlio tutta l’Idealità e la Ragione, l’altro esprime in pari potenza ed estensione il secondo
aspetto della sua essenza, tutto a ridosso del primo, che è essere Egli il Volto, l’Imago, ossia tutta la
Rappresentabilità della Ragione, il suo Teatro, perché la Ragione per definizione non è cosa
informe, ma ordinata, chiara, perfetta, di cui si può godere la visione, ed è per ciò che la Trinità
ne gode, giacché tutta la Ragione che si sprigiona dal primo Principio è Ragione di cui si vedono bene la
bellezza e l’armonia: è Ragione amabile, è Ragione ardente, e straripante per questo tutto l’amore
di cui l’Essere essente è carico.
Come potrebbe il Padre
gioire del Verbum generato, se non potesse vedersi perfettamente rappresentato nell’Imago? La relazione
nasce qui: dalla generazione dalla Mente del Padre di un Figlio che ne è Verbum e Specchio perfetti. Ma forse,
prima ancora, nasce dall’intimo legame proprio tra il Nous, la Notizia che è il Figlio e l’imprescindibile
sua Imago, la sua Illustrazione.
Se la società recepisse
queste cose – le potenze racchiuse nella Trinità –, potrebbe più facilmente rintuzzare « l’attacco
alla potenza conoscitiva dell’uomo » denunciato da Amerio.
13.
IL FIDEISMO, UN MOSTRO NEMICO DI TUTTE LE LEGGI: SIA DEL VERBO CHE DELL’AMORE. E qui, per contrasto, emerge un
punto decisivo, il fideismo. Il fideismo è uno dei mostri più fieramente avversi al Figlio. Laicisti e libertini,
se potessero, chiuderebbero tutti i cattolici nel suo recinto: una bella fede senza argomenti, un bel misticismo senza figure,
un bell’ascetismo che sale verso il cielo e lascia libera la terra a peccare e a fare i propri comodi, un bel culto pieno
di prediche e di avvincenti perorazioni a guardare le cose di lassù lasciando lo Stato a occuparsi a mani libere di quelle
pratiche, all’insegna di quel pravo motto (ma guarda: sembrerebbe però tanto una legge!): « Libera Chiesa
in libero Stato ». Il fideismo è un errore straripato ormai in tutti gli strati della Christianitas. Lo
si vede dai peana alzati a maestri di cultura e di religione come Ermanno Olmi, che insegnano che tutti i libri del mondo non
valgono una tazzina di caffè con un amico, cioè che non l’insegnamento ma l’affetto abbraccia il mondo,
non la ragione ma l’amore lo salva, non l’ordine ma l’amicizia lo vale. È il sogno di Rousseaux: l’uomo
buono esiste, e per scoprirlo basta prendere insieme un caffè.
Ma appunto in questo sta
invece l’amicizia, l’amore: nella concordia. E su cosa riposa la concordia se non sul battito all’unisono dei
cuori? E come mai battono all’unisono dei cuori, se non perché pensano le medesime idee, hanno gli stessi pensieri,
credono le medesime cose, in perfetta relazione di ragione, analogamente alla divina relazione vista nella Monotriade tra
il Pensiero/Specchio del Figlio e la Mente che gli è Genitrice?
14.
FIDEISMO, LITURGIA, ESTETICA E ARTE. Che la Chiesa sia imbibita di fideismo lo si vede poi nell’edificazione
delle nuove chiese, dove si è persa anche la minima intenzione di decorare pareti, soffittature e volte con le realistiche
storie dei santi e le pressanti visioni dei cieli, preferendo loro il nulla ascetico, il vuoto mistico, il bianco
ecumenico.
Mentre i muri delle città
vengono imbrattati di brutture e per così dire di ‘affreschi’ probativi solo del disordine mentale della società
e stipati da vetrine che mostrano nudità in ogni dove come se la peste fosse sanità, in paradossale
contrappunto i muri liturgici si svuotano di significato, si sbiancano in un nulla semantico alla Corot che garantirebbe, nella
generale logofagia, che anche la Chiesa non avrebbe più idee, specie soprannaturali, né segni con cui manifestarle,
per non offendere chi ha quelle false, naturalistiche, semiariane e semiislamiche.
15.
LE FIDEISTICHE NUOVE VETRATE DI GERHARD RICHTER NELLA CATTEDRALE DI COLONIA. Esemplare il caso della vetrata della
cattedrale di Colonia, dove Gerhard Richter ha « appositamente lasciato che la disposizione dei cristalli fosse determinata
dal caso, intervenendo a cambiare solo quando i diversi colori formavano per sbaglio un’immagine riconoscibile »,
mettendosi così in tale opposizione con la grande tradizione cattolica che persino un cardinale, il cardinale Meisner,
la dichiarò degna di una moschea e certo non di una chiesa: la Curia di Colonia approvò di innalzare un’opera
in evidente opposizione al Logos proprio perché non vuole dire, mentre il Logos vuole, essendo
Parola e Immagine (= Teatro di quella Parola).
Il fideismo attacca frontalmente
il Figlio, come i protestanti e gli islamici, che dicono: « La fede non ha argomenti », che è l’opposto
al motivo per cui Cristo insegnava, compiva miracoli e perdonava. Tre cose che, se non si basassero su razionali
argomenti, non avrebbero senso e toglierebbero ogni senso alla fede.
Che la fede sia oggi negligente,
molle come a Laodicea, lo si vede anche dai raduni oceanico-liturgici come Colonia e Loreto, dove la sacralità
ha ceduto alla socialità, cosa che non avverrebbe se le masse di fedeli avessero coscienza dei miracoli che si compiono
tra loro: i miracoli del perdono, della Parola che si sparge e della Transunstanziazione. Ma tutti vedono
la continuità tra quelle “liturgie” e i concerti che poi le seguono.
16.
NOVUS ORDO MISSÆ E FIDEISMO. BENEDETTO XVI. La liturgia della Chiesa ammodernata, descritta in Iota unum
quasi snervata dei segni più indicativi del soprannaturale – non ho detto privata, ma snervata –,
è, come scriveva l’attuale Papa quando era il Prefetto custode della fede, « una liturgia degenerata in
show, nella quale si tenta di rendere la religione interessante con l’aiuto della stupidità, della moda e di massime
morali provocanti, con successi momentanei nel gruppo dei fabbricatori liturgici » 12 [JOSEPH
RATZINGER, Prefazione a La réforme liturgique en question, di KLAUS GAMBER, ed. Sainte Madeleine, Le Barroux,
1992.] .
I rapporti tra liturgia
ammodernata e fideismo sono tutti da acclarare, e forse qui basta rilevare che così come il fideismo è radicato
nella mentalità protestante, rinunciataria per definizione a ricercare gli argomenti alla fede fortemente sollecitati da
san Pietro, 13 [I Petr., III, 15: « Pronti sempre a dare soddisfazione
a chiunque vi domandi ragione della speranza e della fede che è in voi »; petrina disposizione che pare fatta
apposta contro il fideismo; cfr. anche TOMMASO D’AQUINO, Summa Theol., II-II, q. 10, a. 7: Se si debba disputare
pubblicamente con gli increduli.] così il Novus Ordo, avendo a scopo primario (affermato da quegli stessi
promotori che il cardinale Ratzinger con spregio chiamava « fabbricatori ") di « scartare ogni pietra
che potesse costituire anche solo l’ombra di un rischio di inciampo o di dispiacere […] per i fratelli separati
», 14 [Così il vescovo ANNIBALE BUGNINI, incaricato da Paolo VI di
presiedere i lavori della riforma liturgica che avrebbe portato al Novus Ordo Missæ, in un articolo su « L’Osservatore
Romano », 11 marzo 1965.] fu studiato per smussare, edulcorare, snervare ogni segno che potesse avvalorare la Fede
attraverso la Liturgia. 15 [Esemplare l’abolizione delle due preghiere rivolte
specificamente alla ss. Trinità, poste a conclusione una dell’Offertorio e l’altra dell’intera
Messa, abolizione che ha portato la Chiesa a pregare il sommo oggetto del suo culto non più in ogni Messa e in
ogni giorno dell’anno ma solo una volta l’anno, nella festa della ss. Trinità. Molti poi vorrebbero
abolire anche quest’ultimo argine con chi, essi dicono, “in fondo, adora lo stesso Dio”.]
17.
QUÆSTIO ÆSTHETICA, QUÆSTIO GNOSEOLOGICA E QUÆSTIO LITURGICA. Alla desertificazione di argomenti
sul piano gnoseologico corrispose un’identica desertificazione sul piano æstheticus, cioè liturgico,
e la cosa è tanto più di somma gravità se si considera che la ‘Quæstio Æsthetica’,
decisiva per la ‘Quæstio Gnoseologica’ è in primo luogo una ‘Quæstio Liturgica’.
Le scomposte reazioni al
Motu proprio di vescovi e prelati sono per ora tutte contrarie all’obbedienza cristiana di cui si diceva. I prelati,
i dotti e gli intellettuali che hanno in mano diocesi e seminari sono scollati dal Papa e dal popolo – non hanno cioè
né soffitto né pavimento – perché ancorati alla mistica ideologica dell’ecumenismo, ancorati
cioè al motivo principe per cui fu scritto Iota unum, alla falsificazione massima che può avere il Logos
per il sovvertimento dell’amore.
18.
L’EVOLUZIONISMO. KURT GÕDEL. Poi vi è il caso delle teorie parascientifiche, ossia delle indimostrate
e indimostrabili ipotesi del cosiddetto “evoluzionismo”. Amerio, all’Aforisma 688, nota in primo
luogo che, dato che il meno non può dar luogo al più, vi è « una impossibilità
metafisica che dalla pietra venga per evoluzione l’uomo », e su questo anche il matematico deista Kurt Gödel
concludeva scrivendo a un collega: « L’affermazione che il nostro ego consista di molecole di proteine mi sembra
una delle più ridicole mai sentite ». 16 [KURT GÖDEL, La
prova matematica dell’esistenza di Dio, Bollati Boringhieri,
Torino, 2006, p. 7.] Anche se non condivido tutte le opinioni di Gödel, questa mi pare indovinata. Amerio, poi, aggiungeva:
« Quello che consideriamo è un quadro di forme statiche, ma il sistema lo trasforma in un quadro dinamico per
cui le forme non stanno ferme, ma si trasmutano una nell’altra attraverso infinite piccole variazioni. […] Se l’evoluzionismo
fosse vero il mondo dovrebbe essere pieno di forme intermedie fra specie e specie che non si vedono affatto. Queste variazioni
non si vedono perché non esistono ».
Oltre a ciò, andrebbe
se pur di tangente fatta una breve considerazione riguardo al problema che viene particolarmente messo in luce dalla prospettiva
del cosiddetto innatismo, ossia dalla considerazione che alcune qualità astratte, per nulla direttamente materiali, vengono
considerate dalla scienza (da Aristotele a Chomsky) qualità innate: il pensiero aristotelico-tomista professa che
l’anima è immessa nell’uomo tabula rasa, corredata solo di quella luce e di quella tensione che le saranno
utili a compiere l’adæquatio con la realtà che si diceva e così giungere alle sacre nozze col
suo Creatore.
19.
NOAM CHOMSKY: TEORIA DELLA INNATEZZA DELLA STRUTTURA GRAMMATICALE. Per Noam Chomsky però questo non basta: è
noto che egli vede necessariamente innata anche la struttura grammaticale, la grammatica generativo-trasformazionale. Ora, una
cosa innata è sostanziale; ma in quale momento, nella dinamica evoluzionista, subentrerebbe tra le molecole animali una
cosa che per loro non è sostanziale, ma che per l’uomo lo è? Ha ragione Gödel a trovare sommamente ridicolo
che il nostro ego consista di molecole di proteine. Perché un conto è possedere un’anima, e con l’anima
un logos razionale, e col logos razionale la libertà di esprimerne nel linguaggio – nel sorriso
– le sue riflessioni; altro è pensare che delle forme spirituali possano inserirsi in una materia quando questa è
giunta a un certo stadio.
A quale stadio? E se lo
stadio non è determinabile per l’anima cristiana, non lo sarà nemmeno per la struttura grammaticale, sempre
immateriale, sempre razionale, di Chomsky.
La divinazione scaccia
la scienza e il Logos è cacciato dallo spasmo della libertà: un universo nato dal caos, le cui leggi dipendono
in tutto da un determinismo irrazionale, dal caos, permette all’uomo di agire similmente, cioè caos nel caos.
Questo ci permette di tirare
le conclusioni sulla nostra breve carrellata di errori inadeguativi alla Realtà monotriadica.
20.
I DUE SACRI NOMI DEL FIGLIO DI DIO E LA CARITÀ DEI BEATI. La carità che i beati hanno nella beatitudine
del Cielo è effetto della visione, è effetto dell’essere il Verbum pariteticamente Imago,
Volto, per cui tutta l’intellezione di carità propria del Figlio si vede e nei beati essa cresce al
crescere della visione, per via della perfetta adæquatio al reale vista all’inizio e la cui attuazione è
compiuta a opera dello Spirito Santo.
La carità, l’ardore
dei beati, è proporzionale alla visione intellettiva, conoscitiva: è la loro gloria, partecipata a quella «
gloria del Padre e del Figlio che – come dice san Gregorio di Nissa (Omelie sul Cantico dei Cantici) –
è lo Spirito Santo ". Dio avvalora la nostra conoscenza e questa conoscenza si infiamma per il suo stesso
Santo Spirito, per quel suo Dono che è il Lumen gloriæ.
21.
LA CRISI DEL CONGIUNTIVO. BEPPE SEVERGNINI. Per cui, per quanto io convenga certo con « Civiltà Cattolica
» di non voler addossare tutti i guai di questo tempo barbaro alla distorsione monotriadica (tracollo dell’indissolubilità
del matrimonio e della famiglia, collasso delle vocazioni, imbarbarimento del gusto nelle arti, nel linguaggio, nella moda e nella
vita di tutti i giorni, continua mistione della Chiesa con le comunità eretiche e della cultura cattolica con la cultura
anticattolica, eccetera), non posso tuttavia non osservare che persino quisquilie linguistiche come quella che Beppe Severgnini
chiama « la morte del congiuntivo » 17 [BEPPE SEVERGNINI, L’italiano.
Un manuale contro i misfatti verbali per riabilitare una lingua bistrattata, « Corriere della Sera », 28 Agosto
2007, p. 37; sue anche le citazioni successive.] potrebbero in realtà essere effetto della sopraffazione che dico:
« La crisi del congiuntivo – nota il famoso italianista – ha un’origine chiara: pochi oggi ‘pensano,
credono e ritengono’; tutti ‘sanno e affermano’ ». Sicché sembrerebbe proprio che la potenza
dell’atto asseverativo valga più della pacifica cautela di un buon dubbio ipotetico: « Mi sembra
si tratti… », « Credo che sia… », come usa in Gran Bretagna, dove tutti ti rispondono:
« “I believe… (io credo) anche prima di comunicare l’ora esatta: l’orologio potrebbe essere
fermo ».
22.
CONCLUSIONE. Per concludere: siccome « la volontà di dominio – come scrive Dario
Sacchi nel suo Lineamenti di una metafisica di trascendenza – che ormai si va manifestando del tutto apertamente
e senza remore nell’odierna civiltà della tecnica, con il suo nichilistico progetto di totale manipolabilità
del reale » 18 [DARIO SACCHI, Lineamenti di una metafisica di trascendenza,
Edizioni Studium , Roma, 2007, pag. 16.] è appunto una
volontà che pone un a priori sulla teoresi di conoscenza del reale per distruggerla, quasi che oggi valgano più
i meccanici che i filosofi e i poeti, le va opposta in ogni dove la volontà propria alla conoscenza, quella di ‘conoscere
per conoscere’; alla falsificazione tecnicistica va opposto il metodo del Logos, la razionalità del Logos.
Il consiglio, a questo
punto, è per tutti di non cadere nel riduttivismo filosofico; ma, rischio per rischio, prima di scartare il metodo ameriano,
si provi a vedere se le cose possano funzionare meglio mettendo loro a capo il Logos: chissà, magari sì.
* * *
Enrico Maria Radaelli
* Docente di Filosofia dell’estetica e direttore del Dipartimento di Estetica
della Associazione Internazionale “Sensus Communis” (Roma), collabora alla cattedra di Filosofia della Conoscenza
(sezione Conoscenza estetica) della Università Lateranense.
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