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118-142 del libro.) Dove si mostra, nella ‘economia della salvezza’ dell’uomo, il magnanimo imperio universale
di Cristo – Verbum e Imago – sul Mondo e sulla Storia, attraverso lo sviluppo delle civiltà,
e l’acquisizione dei due strumenti capicanoni della conoscenza, della sua espressione e della sua letizia: sillogismo
e proporzione aurea. Ipotesi di due culture a confronto, trasversali alla storia: quella del sì obbediente
e quella del no ribelle, sulle quali si estende la sovranità divina che si diceva; armonia classica e armonia
nuova: Claudio Monteverdi come apice divaricatore eppur legame tra le due.
* * *
Fallandomi la memoria, credevo di ricordare che il critico d’arte Philippe
Daverio in una sua trasmissione in televisione avesse sostenuto un certo concetto, che mi pareva anche molto interessante. Fatti
poi i debiti accertamenti, constatai che in realtà avevo imprudentemente accostato e integrato in un’unica trasmissione
due sue distinte considerazioni, che di per sé, però, non era poi così arbitrario avvicinare. Sicché,
chiedo scusa a Daverio per la mia avventatezza, ma il frutto non poi così indegno della mia crasi egualmente lo propongo,
perché, lo volesse dire o no, esso mi pare una conseguenza pertinente sul piano logico, dunque cosa vera su cui si possa
riflettere.
Ecco le parole che mi hanno tratto in inganno: le prime sono quasi a incipit
di una trasmissione intitolata Nudi alla meta (mentre viene inquadrato il critico che mostra due statuette di quelle fatte
in migliaia di copie): « Due immagini del nudo: una assolutamente kitsch e di dubbio gusto [(a): è il rivestimento
in plastica di un accendino, come fosse la scultura colorata di un torso di donna, del tipo di quelli che si possono trovare in
certi negoziacci di Amsterdam], l’altra sempre un po’ kitsch perché è riprodotta, ma priva di vergogna:
esaltante [(b): è la riproduzione in scala del David di Michelangelo]. Ci sono praticamente due visioni diverse
del corpo: una positiva [Daverio mostra il David (b)] e una punitiva [mostra l’accendino (a)]. Oserei
quasi dire, o interpretare: una mediterranea [mostra (b)], perché priva del senso del peccato, l’altra barbarica
[mostra (a)], che vede il corpo come ricettacolo del piacere; per questo motivo contemporaneamente lo esalta e lo esecra. Si
potrebbe dire: l’una tipica dei popoli stanziali, e l’altra invece dei popoli nomadi che tendono – per motivi
di costante spostamento – all’abolizione della figura. [...] A questo proposito a Bologna c’è
una mostra [...] 1 [“Il nudo fra ideale e realtà. Una storia dal
Neoclassicismo ad oggi”, Bologna, 22 gennaio 2003 - 9 maggio 2004.] e per tutta la mostra ci inseguirà
d’ora in poi il senso di colpa; nessuna esaltazione positiva: mancano i nudi picassiani gioiosi che evocano il Mediterraneo,
manca lo spirito etrusco e liberato di Arturo Martini [...] ». 2 [PHILIPPE
DAVERIO, « Passepartout », puntata XI, Nudi alla meta, Raitre, prod. Vittoria Cappelli, 2003-04.]
Le seconde parole di Daverio sono colte a metà di una trasmissione
che polarizza in due mondi antitetici l’arte di due grandi pittori europei del seicento, Rembrandt e Rubens. Daverio affiglia
il secondo alla cultura spagnola, di cui infatti si imbeve fin dalla giovinezza; il primo invece a quella olandese, che della
spagnola è irriducibile antagonista, e conclude: « Al sud [abbiamo] un mondo ispanico, aristocratico e
cattolico […], nei Paesi Bassi una nuova borghesia, calvinista e mercantile, fiera e rigorosa ». 3
[Ibidem, puntata XV, Rembrandt vs Rubens, Raitre, prod. Vittoria Cappelli, marzo 2003.]
Ecco: mi è parso di poter trarre – dalla sintesi tra le due considerazioni
– un’ulteriore valutazione più generale, accorpante in un’unica opposizione fatti che in ogni caso non
escono dall’ambito europeo, o di sue evidenti derivazioni.
Sembrerebbe che il mondo occidentale si possa dividere in qualche modo da
sempre in due grandi prospettive culturali: una nordica, nomade, barbara, e forse anche intimamente protestante, se così
si può dire, intendendo con ciò un interiore nerbo fortemente individualistico, recalcitrante alla sottomissione,
nelle cui opere artistiche più esemplari, per esempio, di nudo (si pensi a Van Dyck, a Cranach, a Klimt, a Duchamp), si
rinviene quel senso del peccato di cui parla Daverio: una maliziosa spavalderia esibizionista, un’estetica che alla provocazione
da sé costituita, da sé risponde con la mostra di mondi spesso tenebrosi, grigi, angoscianti. Una cultura poi mediterranea
(dai Minoici ai Romani, dagli Etruschi a Rubens, da Picasso a De Chirico), stanziale – dice Daverio –, armoniosa,
gioiosa, colorata, con una naturale spinta a darsi un ordine, un canone, una misura: solarmente peccatrice, ma tranquillamente
redenta, o almeno certa della propria redenzione.
[...].
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(Pagina protetta dai diritti editoriali.)
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