Il 26 febbraio 2020 il Cardinale Giovanni Battista Re, Decano del Sacro Collegio, ha scritto una Lettera a tutti i Cardinali sulla posizione del Cardinale Zen, Vescovo emerito di Hong Kong, colpevole a suo avviso di criticare l’accordo segreto attuato tra il regime cinese e la Santa Sede.
Preliminarmente va notato che, di tutti gli attori principali coinvolti – i Papi Wojtyla, Ratzinger e Bergoglio e i Cardinali Re e Zen –, a suo tempo Mons. Ratzinger partecipò al Concilio Vaticano II come perito del molto influente Cardinale Joseph Frings, Arcivescovo di Colonia e Primate di Germania, e fu voce anche molto ascoltata; il Cardinale Joseph Zen Ze-kiun, al contrario, all’epoca era solo un prete di Torino, non partecipò all’Assise e non influì in alcun modo all’indirizzo ultramodernista dei suoi Documenti, che caratterizzarono da allora la condotta religiosa, morale e politica della Chiesa.
Nel 2013 Papa Ratzinger scrisse un’importante Lettera ai cattolici cinesi al cui § 4 cita per intero il § 76 della Gaudium et Spes, che stabilisce: « Nel proprio campo, la comunità politica e la Chiesa sono indipendenti e autonome l’una dall’altra. Però tutte e due, sebbene a titolo diverso, sono al servizio della vocazione personale e sociale dei medesimi uomini. Esse svolgeranno questo loro servizio a vantaggio di tutti in maniera tanto più efficace quanto meglio entrambe coltivano una sana collaborazione tra di loro, considerando anche le circostanze di luogo e di tempo ».
Questa direttiva coglie con precisione il vertice dell’errore conciliare e il centro problematico del duro scontro attuale tra i due Cardinali.
È precisamente da qui infatti che, nella Chiesa nascostamente ultramodernista del Vaticano II, è originato l’ereticale orizzonte ecumenista, quel perverso orizzonte che disegna in modo tutto nuovo i rapporti tra Chiesa e Stato, tra Papa e Cesare, lo disegna cioè come fossero ognuno indipendente e autonomo uno dall’altro, senza alcun vassallaggio, servitù, dipendenza, giacché per i Padri conciliari entrambi sarebbero per virtù propria chiamati e proiettati « al servizio della vocazione personale e sociale dei medesimi uomini », quasi fossero entrambi autocoscienti – e sottolineo: i Padri conciliari stanno parlando delle comunità politiche di tutto il mondo, e magari anche di tutta la storia, o almeno di quella moderna – degli altissimi fini cui sarebbe proiettato l’uomo sua sponte: autocoscienti del proprio bene materiale, morale e spirituale.
E tutto ciò esso sia e nella sua dimensione individuale e personale, e in quella sociale, culturale, nazionale, teleologica e financo mondiale.
Puro flatus vocis, ipocoristico e adulatorio modellamento di un idealistico, idilliaco e iper-uranico modello sociale di marca prettamente platonica, anzi rinascimentale, anzi liberale, anzi massonica. Anzi atea.
Dunque irrealistico. E irrealistico al massimo. E questo è il problema. Una stoltezza come questa, la Chiesa ultramodernista coagulatasi col Vaticano II intorno ai suoi molto ereticanti Pastori e ai suoi ancor più ereticanti Documenti finali non poteva congetturarla, infarcita com’è di falsità, spropositi, omissioni e illogicità di ogni tipo.
Anche contestualizzandola, nella pericope della Gaudium et Spes vanno rilevate tre gravi omissioni. La più grave è che manca il personaggio determinante: manca Dio. Che è come se alla terra mancasse il sole, quel sole che le dà vita, ristoro, salute, caldo, acqua, fuoco, tutto.
Ora, che sia Cesare, lo Stato, la società laica, o comunque si voglia chiamare l’insieme materiale e civile di un popolo, a omettere il bene primario e indispensabile al proprio stesso essere, uno dice: è un errore inaccettabile, è comunque un’assurdità filosofica, ma se uno proprio vuol fare il kantiano, l’autolesionista, l’irragionevole e l’indipendente a tutti i costi, pace: lo faccia.
Ma che a omettere Dio sia la Chiesa, il Papa, anzi: un intero Concilio in unione col Papa, è come se il raggio che scende dal sole alla terra, anzi tutta la solare raggiera, non dica, non annunci, non faccia sapere, nasconda alla terra che il sole c’è, e che dunque i buoni rapporti da tenere tra loro: tra la raggiera del sole e la terra, devono fondarsi in mutua autonomia, indipendenza, libertà eccetera, dimenticando il fattore decisivo, l’attore principale, il protagonista che però è anche l’autore e il costruttore di tutto, perché voglio proprio vederli, un raggio di sole, anzi la sua intera aureola, la sua più bella e fiammante raggiera dorata, e poi una terra, il mondo, il nostro pianeta, ecco: voglio proprio vederli, senza il sole, senza il loro datore di vita, di essere, di tutto, cosa mai si metteranno a fare, su che cosa mai concorderanno.
Non solo: due autorità, una accanto all’altra, se pur una preposta a una sua specifica sfera di competenza, l’altra a tutt’altra, chi ha mai detto che andranno d’amore e d’accordo? Nessuno, perché la storia dimostra tutto il contrario: la storia dimostra che Cesare e Papa furono mille volte in guerra, e furono rari i momenti di concordia.
Ma qui invece, al n. 76 di Gaudium et Spes, si dice proprio questo: che « Esse svolgeranno questo loro servizio a vantaggio di tutti in maniera tanto più efficace quanto meglio entrambe coltivano una sana collaborazione tra di loro, considerando anche le circostanze di luogo e di tempo ». Un quadretto delizioso, delizioso davvero, ma che, per aversi, deve presupporre un fatto, una realtà, che è proprio quella “dimenticata”.
“Dimenticata” da Papi, Cardinali, Vescovi e teologi che poi volutamente “dimenticano” un’altra realtà non meno decisiva, e siamo alla seconda omissione, quella che ricorda che i popoli non credenti, dai loro più alti notabili ai più umili sudditi, sono popoli peccatori, son popoli empi, son popoli nemici di Dio e nemici dei credenti in Dio, dei cristiani appunto, come insegnano le Sacre Scritture, i Profeti, i Salmi, i Vangeli, e come ricorda oggi in Cina il Cardinale Zen Ze-kiun.
“Dimenticata”, infine, l’opera della Redenzione, solo con la quale si può pensare che i popoli possano farsi l’idea dei fini da raggiungere, in primo luogo spirituali, e i mezzi per farlo, ossia Gesù Cristo.
Senza la coscienza, che almeno la Chiesa deve mostrare, di tale indispensabile e attiva opera di Dio a che i popoli gli si convertano, non è pensabile porre ad assunto di un protocollo d’intesa tra Cesare e Papa concetti quali quello che asserisce che « nel proprio campo, la comunità politica e la Chiesa sono indipendenti e autonome l’una dall’altra »: i popoli, che siano nel loro insieme sociale o nella singolarità degli uomini che li costituiscono, non sono e non possono essere ritenuti dissociati, schizofrenici, quasi potessero in campo politico stabilire p. es. di non permettere a ogni nucleo famigliare di avere più di un figlio, dunque di perseguire una rigida, dura e disumana politica di controllo delle nascite da attuare con ogni mezzo, aborto compreso, anzi soppressione cruenta di neonati e di puerpere compresa, e nello stesso tempo formare, per via della religione che dovrebbe sussistere indipendente e autonoma dai decreti politici, delle belle famigliole i cui sposi offrono a Dio la propria numerosa e viva progenie, come insegna la Chiesa, « a vantaggio di tutti in maniera tanto più efficace quanto meglio entrambe – comunità politica e Chiesa – coltivano una sana collaborazione tra di loro, considerando anche le circostanze di luogo e di tempo ». Sì: post obitum.
Nella sua Lettera ai cattolici cinesi sono quindi tre le realtà “dimenticate” dal n. 76 di Gaudium et Spes raccolto da Papa Ratzinger, che così si fa portatore d’acqua per travasare il catastrofico processo di ecumenica scristianizzazione dal Concilio ai rapporti Chiesa-regime cinese.
Sono le tre realtà più imperdibili di tutte: l’esistenza di Dio, l’esistenza dei popoli nemici di Dio, l’esistenza della Redenzione di Cristo per convertire i nemici di Dio in suoi amici, anzi in suoi figli.
Su questo gioco a rimpiattino la Chiesa ultramodernista che sgoverna se stessa e il mondo da più di mezzo secolo sta lasciando andare al massacro milioni di fedeli con un cinismo degno solo dell’Anticristo.
È su questo gioco cinico ed efferato che si impernia l’attuale diverbio tra un santo Cardinale che non vuole inchinarsi a un Impero spietato e crudele prima che quell’Impero non si inchini a Dio e un Papa che a sua volta in realtà a quell’Impero nemico di Dio, e nemico come pochi gli sono mai stati, si è già inchinato, e non vuol far sapere a nessuno né come, né perché, né a prezzo di quale e quanto sangue.
Gli Imperatori che regnarono a Roma per i primi tre secoli, come sappiamo, ossia fino a Costantino il Grande, sapevano benissimo che esiste un’Autorità divina, si considerarono essi stessi emanazione divina di tale Autorità e, pretendendo che i cristiani come tale li adorassero e quindi li incensassero, visto che invece si rifiutavano, li perseguitarono in tutti i modi, come si sa, sia confiscando loro ogni bene, sia vessandoli con ogni crudeltà, sia sterminandoli atrocemente e con una ferocia inimmaginabile. Il concetto è: “Chi comanda, qui, non è Dio: sono io. E perché comando io? Perché Dio sono io: sono io Dio!”.
Ma mi sono sbagliato: i fedeli cinesi la ferocia romana la possono benissimo immaginare, avendo subito e tuttora stando subendo effrazioni e ferocie anche ben più perverse, cui sopra si è solo accennato.
In Giappone poi, come si sa, verso il 1600 nacquero fiorenti comunità cristiane intorno a rigogliose missioni di gesuiti, francescani e domenicani, che proprio per aver portato in quelle terre un Imperatore più potente di quell’Imperatore – era persino risorto! –, furono presto massacrate, annientate con una determinazione e precisione che non lasciava dubbi interpretativi. Due autorità su un unico popolo erano anche qui troppe. Ma, anche qui, la lotta non è tra due autorità, ma tra due Numi: il “Tenno” del Sol levante, che come tutti gli Imperatori è di origine e schiatta divine, e Gesù Cristo, il Figlio del Dio vivente.
La Storia è costellata di theomachie. Di sanguinose, terrificanti, fuorvianti e quanto mai inutili e specialmente disumane theomachie.
Non parliamo poi di tutte le guerre, battaglie, invasioni, persecuzioni avvenute in Europa tra Impero e Papato nel corso dei secoli, come sappiamo bene, a cominciare dalla famosa lotta per le Investiture.
Ma, a metter le cose a posto e a dire chi comanda un popolo non c’è solo la ferocia: oltre al fatto che i due poteri sono contigui, tutti avranno notato che la lotta avviene per un preciso motivo: perché uno dei due tenga il comando, l’altro obbedisca e si adegui.
Ma questo si può ottenere anche con mezzi assolutamente pacifici, come ci dimostra John Fitzgerald Kennedy, primo Presidente cattolico degli Stati Uniti, che a una domanda di un giornalista rispondeva, sicuro così di dimostrare la sua integrità di americano e di cattolico in tutto il suo fulgore, « Io prima sono americano, poi cattolico ».
Il che pone tra Cesare e Papa una scala gerarchica precisa: prima Cesare, poi il Papa, ossia prima la carne, poi lo spirito; prima il mondo, poi Dio; prima le convenienze politiche, poi la verità, prima se stessi, poi la croce di Gesù; prima il proprio piacere, poi l’obbedienza a Dio.
In un’altra occasione Kennedy affermò invece qualcosa che sembrava prefigurare il paradigma contrario, ma non era altro che una versione ammorbidita della stessa scala gerarchica: « Se mi chiedessero di violare la mia coscienza – disse – o di violare l’interesse nazionale, io rinuncerei alla mia carica », cioè: se il mio dovere di americano confliggesse col mio dovere di cattolico, restringerei il mio dovere di cattolico alla sfera personale, mi raccoglierei nel privato: davanti alle esigenze del pubblico, del politico – che so: una legge che permetta il divorzio, o l’aborto, o l’unione civile, o l’unione tra omosessuali, o la procreazione eterologa eccetera, la religione va messa da parte, non va fatta uscire di casa.
E questo sempre per lo stesso motivo, sempre per lo stesso falsissimo modello ideologico inchiodato sulla porta della Gaudium et Spes: « Nel proprio campo, la comunità politica e la Chiesa sono indipendenti e autonome l'una dall’altra ». Che è modello non cattolico, ma radicalmente protestante, perché la fede richiede di per sé un impegno profondamente politico, sociale, culturale, insomma pubblico, politico, come prescrive l’Apostolo: « Col cuore si crede per ottenere la giustizia e con la bocca si fa la professione di fede per ottenere la salvezza » (Rm 10,10).
Il cuore è endogeno: è la coscienza di sé, di non nascondere a se stesso niente, di essere veritiero, puro, limpido come cristallo; la bocca invece è esogena: è la manifestazione del proprio sentire, è la messa in gioco del proprio io obbediente a Dio, quindi della propria fede, del proprio esistere così come chiede Dio: è il coraggio di essere, dunque, così come richiesto da Dio, ed esserlo davanti a tutti e davanti a Dio.
Interno ed esterno, pur chiaramente distinti in due precisi ambiti, come dice il nome, sono però vincolati tra loro come la fonte alla foce, tutto al contrario di ciò che sulla fede scrive Mons. Charles J. Chaput, Arcivescovo di Denver, che, nel suo saggio Render unto Cæsar, sostiene che la fede « riguarda il vivere e diffondere l’amore di Dio », con l’esempio, il contegno, la vita; infatti « la fede cristiana – specifica – non è una lista di precetti etici o di dottrine. … La vita cristiana comincia in una relazione con Gesù Cristo; e porta frutti di giustizia, misericordia e amore che noi mostriamo agli altri a motivo di questa relazione ».
Insomma: per un Vescovo americano tra i più ascoltati, la fede, essere cristiani, è un fatto privato, è “un vissuto”, un “dare l’esempio”, e la cosa si chiude lì, con buona pace dei martiri di tutti i tempi e luoghi.
Ma Dio richiede precisamente il contrario: « Se mi amate, osserverete i miei comandamenti » (Gv 14,15). Dio cioè pretende proprio ciò che Mons. Chaput con tanto vigore nega: l’amore per Dio va portato nei fatti, nella vita, privata o pubblica che sia, come si vede da tutti i suoi dieci comandamenti, e ancor più, se possibile, dai Salmi cantati e pregati tutti i giorni dalla Chiesa nella Liturgia delle Ore.
La vita cristiana, la fede, è un fatto tanto religioso quanto politico, è un fatto individuale e sociale insieme. E Dio è l’autorità che unisce Papa e Cesare in un unico complesso che va ripartito, distinto, ma non diviso – come la moneta da dare a Cesare –, in due ambiti di governo dove la carne, Cesare, la Carta Costituzionale dello Stato, è al servizio dello spirito, del Papa, di Dio, e segue con amore, attenzione e impegno le sue linee guida generali, le ottime leggi fissate da Dio nella natura, lette con l’amorevole e saggia interpretazione che ne dà la Chiesa.
Non a caso il popolo d’Israele, davanti ai due terribili e decisivi corni che gli proponeva Pilato: crocifiggere o Gesù Cristo o Barabba, scelse all’unisono: « Crocifiggilo! Crocifiggilo! » (Gv 19,6), riferendosi a Gesù, e non a Barabba, perché tra spirito e carne, fini celesti e convenienze terrene, non c’è compromesso che tenga, e il chiodo da svellere, il centro di ogni lotta, è sempre Gesù. È sempre e solo lui: il Cristo.
Chaput, Kennedy, Ratzinger, Paolo VI, Giovanni Paolo II, Andreotti, Ruini, Re, Parolin, tutti i Pastori e i politici catto-modernisti che si sono susseguiti dal Concilio Vaticano II a oggi, da allora hanno governato la Chiesa e gli Stati della ex-cristianità conformandosi tutti non a Dio, ma a Cesare, al mondo, all’Imperatore, cioè a satana,
Tutti costoro, voltate in tutti i modi le spalle a Dio, hanno obbedito proni e ossequienti ai voleri del Nemico di Dio codificati e santificati con le loro stesse mani da un inchiostro intinto nella falsa sacralità di un Magistero Conciliare quasi indelebile, ma provvidenzialmente non indelebile, cioè non dogmatico, così da auto-assolversi e anzi rivestirsi di finta santità pur di non avere noie dal mondo, come le hanno tutti i martiri della Chiesa, da santo Stefano al Cardinale Zen, dai milioni di martiri dei primi secoli nell’Impero, ai milioni di altri martiri oggi in quest’altro ancor più feroce, materialista e anticristico Celeste Impero.
Dunque è storicamente falso e teoreticamente insostenibile che « nel proprio campo, la comunità politica e la Chiesa sono indipendenti e autonome l'una dall’altra ».
Ne discende che gli accordi tra regime cinese e Santa Sede sono costruiti da sempre sul nulla, su basi cioè del tutto fasulle, erronee, basicamente non cattoliche, destinate a dare risultati disastrosi, e darli solo attraverso vie tortuose, contorte, segrete e compromettenti – e avete mai visto degli accordi presi col nemico, cioè con perverso, irriducibile e sanguinario nemico, presi con delle note segrete, ma portatrici di inattese grazie, di bontà, di letizia e di soprannaturale gioia? –, dai quali falsi risultati e dalle cui perverse vie la mano di Dio in ogni caso si sarà ritirata, Cristo ne rifuggirà, e i Vescovi probi se ne terranno ben lontani.
Ma cosa dice in proposito il Salmo?
Il Salmo (uno dei mille Salmi in proposito) dice: « Il Signore annulla i disegni delle nazioni, rende vani i progetti dei popoli » (Sal 32,10).
E ditemi se Dio non fa politica, qui.
Per far vincere Dio, bisogna che sia Dio ad agire. E che la Chiesa, la Chiesa per prima, lasci lui, Dio, agire.
E lo preghi con tutte le forze, il cuore contrito e le più grandi penitenze, che il suo braccio presto e col suo vigore, come sa lui, agisca.
Intercessori non le mancano: Cristo, la Vergine, il Cielo intero.
C’è bisogno d’altro?
E. M. R. |