(Torna a p. 1) Il vero problema, per chi voglia procedere con una certa sicurezza verso la salvezza offerta dalla Rivelazione, è stabilire
quale dei due Dottori (o delle due scuole) fosse più interno al Dogma, più centrale alla verità (perché
è indubbio che qualche Dottore lo è di più e qualcun altro di meno, essendo molti e diversi
i troni nei cieli), va risolto con sovrana semplicità: chi meglio riconosce il Cristo, e più di altri ravvisa le
sacre vestigia della Trinità nel creato, questi sarà l’intelletto più inoltrato verso il centro del
divino Mistero.
7. LA GNOSEOLOGIA: UN VESTIGIO DELLA TRINITÀ?
E, a riguardo della gnoseologia,
si può concludere così: solo la ss. Trinità offre all’uomo questa mirabile composizione, per cui in
essa si ha l’essere (il Padre ingenerato), il pensiero (il Verbum), l’amore (lo Spirito
Santo) in tre Persone che sostanziano l’unico Dio; è impossibile pensare che nella storia si dia una dottrina della
conoscenza più vera e forte di quella che Dio insegna al cristiano, perché solo il cristiano partecipa, da un Dio
trinitario, il legame forte, intrinseco, tra l’essere della realtà, il pensiero di essa realtà,
e il legame stesso (amore) tra pensiero e realtà perché se le persone sono le loro relazioni il legame
è nell’essere stesso delle persone. 1 [Summa Theol., I, le
qq. 28, 29, 30, in particolare 29, 4: Se il termine persona (in Dio) significhi relazione.] L’esse, nosse, velle
di Agostino: il Padre, il Figlio-Verbum e lo Spirito dei Due, trasfondono per analogia la loro imperscrutabile e indivisibile
trinitarietà nel vestigio della conoscenza che può avere l’uomo, per cui esserci, conoscersi
e amarsi sono tre operazioni strettamente correlate: vi è una e solo una storia, una e solo una verità conoscitiva, per quanto complessa e, in Dio, infinitamente insondabile, e, tra le due, c’è una e solo una corrispondenza.
Ma questa considerazione
è desumibile solo a partire dalla teologia trinitaria di Tommaso. Questo punto va chiarito: come Agostino, Tommaso riconosce
che alla Trinità sono pertinenti essenzialmente non solo le persone divine ma, coessenzialmente, le loro stesse interne
relazioni. Ciò che nel creato è accidentale in Dio è essenziale: le relazioni sono Dio. Ma la peculiarità
tommasiana è che l’Angelico, come nota F. Cairé, usa nel suo trattato una sola immagine, che però risulta
la più pertinente al discorso gnoseologico che continuamente preme l’Aquinate: la mente che conosce e che ama, «
compiendo due operazioni specifiche e immanenti dell’anima umana, intellezione evolizione, pur nell’individualità
dello spirito umano […], portano a una dualità sul piano operativo. Ora quando l’anima propone alla propria
conoscenza, non un oggetto esterno, ma se stessa, ed a se stessa si rivolge con amore, si ha un soggetto pensante, che nel verbo
mentale o idea di se stesso si contempla e si ama con una totale adesione di sé a sé. Il soggetto pensante diventa
così un oggetto pensato, e tra i due termini, si stabilisce una linea di congiungimento, che è l’amore. Anche
in Dio, per via di analogia, si possono considerare, come perfettamente immanenti però, due operazioni, intellezione e
volizione, che senza intaccare l’essenziale semplicità si identificano con la stessa sua natura ». 2 [Enc. Catt., v. Trinità, col. 536, a cura di Pietro Parente.]
Dalla scienza teologica,
svelamento per approssimazione, ma approssimazione sicura e non opinativa del dogma, deriva che, confessando solo i cristiani
il mistero trinitario, solo essi colgono nel Nume creatore un dato che non può essere colto da nessuno tra tutti gli altri
uomini, adoratori o no che siano di altri dèi: questo dato è la relazione. 3 [A dire il vero, l’adoratore e discepolo della Trinità può dalla teologia trinitaria
cogliere anche altri dati fondanti, quali il concetto di persona, di ragione, di amore, tutti e solo precipuamente cristiani,
anzi: ‘trinitariani’. ] Ed è
qui che si fonda la solidità specialissima della gnoseologia cristiana. Sull’analogia che si è vista tra essere
reale-essere logico creati e persone del Padre e del Figlio increati, analogia per la quale la relazione sussistente tra le persone
divine elargisce un vestigio eloquente nella relazione univoca di conoscenza tra conoscente e conosciuto nel creato.
Non solo: il cristiano
dalla Trinità coglie anche un ulteriore aspetto nel creato, che è quello che gli dice che reale concreto e reale
logico sono ambedue, appunto, enti reali, allontanando da sé la falsificante concezione che attribuisce al
pensiero un’irrealtà d’astrazione del tutto impropria. Romano Amerio dice che « ogni pensiero in ultima
analisi è atto e quindi riferibile alla ragion di azione ». 4 [Romano Amerio, “Iuvenilia”: La religione e la sua valutazione nel pensiero
moderno, « Pagine nostre », aprile 1924, p. 457.] Ma non viene più
avvertito nella cristianità lo spessore storico, reale, del pensiero, malgrado la teologia dogmatica insegni che la fede
è un atto: l’atto di fede; anzi: essa è la prima delle opere, atto eminentemente intellettivo scaturito
da un sillogismo, che è un’operazione. Le operazioni sillogistiche muovono enti invisibile nelle menti (i fantasmi
e le astrazioni universali) dando luogo così ad atti invisibili, i giudizi, che poi, muovendo la volontà, fanno
la storia visibile. 5 [Anche la teologia morale indica con forza la attualità del pensiero nella sua peccaminosità,
per esempio quando insegna che un’intenzione maliziosa è rea di colpa. Ora, se un peccato è un atto, anche
il pensiero, es-sere logico, essendo peccabile è un atto, malgrado il volontarismo tenda, nel generale sentimento dei suoi
in-flussi sulla cristianità, a fare del pensiero, dell’essere logico, un’astrazione preattuale, un’astrazione
inutile quindi alla storia, alla vita eterna, all’uomo. È ben vero il contrario.]
Questo aspetto primario
della filosofia della conoscenza resiste solo se non si compie la distorsione della divina Monotriade implicita nella dottrina
dell’azione, poiché solo considerando il mistero dell’Incarnazione nell’ambito trinitario si lumeggia
la consistenza dello spirito (dell’intelletto) che misteriosamente ma realmente si fa carne. Tutte le eresie trinitarie
e tutte le filosofie che ne derivano abbondando nei secoli fino ai nostri giorni scardinano alle radici prima di ogni altra cosa
il valore conoscitivo dell’uomo, rovinandolo nello scetticismo, nel materialismo, nel pessimismo esistenziale, nella nullificazione
più perimente del suo stesso essere: impossibilitato a conoscere per la perdita di ogni sicura relazionabilità con
il reale, l’uomo non possiede più senso di quanto ne abbia un cavallo e la sua vita è condannata al caos del
puro naturale, data, in ultima analisi, la mancanza di nesso certo tra pensiero e realtà.
Dunque parrebbe essere
Tommaso, Dottore della Trinità più di ogni altro, il Dottore più vicino al centro del Mistero dogmatico,
e così lo riconoscono i Papi, intronizzandolo nei concilii senza far torto né ad Agostino né a Bonaventura
(né agli altri grandi Dottori e Padri), perché Tommaso li raccoglie tutti, alla luce della sua gnoseologia realistica.
Il vero divario tra scuola francescana e domenicana è che nella prima è congenito un volontarismo, una preferenza
all’azione concreta, un’opzione pratica dalla quale invece la seconda si sottrae, e ben a ragione. Difatti: quanti
errori si sono compiuti storpiando l’agostinismo platoneggiante di Bonaventura e discepoli? Se da Platone si era formato
l’apollinarismo, poi il subordinazionismo di Ario, quindi Nestorio e la conseguente visione musulmana incapace di afferrare
i due Misteri, da Agostino, non corretto da Aristotele proprio sui versanti della conoscenza e del rapportotra spirito-carne,
germoglieranno le concezioni aberranti (tutte materialiste, incapaci di cogliere la qualità spirituale) di Ficino, Pico,
Eckart, Lutero, Calvino, Sarpi, Spinoza, Malebranche , Giansenio, Berkeley, Blondel…
Quanti invece gli errori
da una qualche storpiatura del tomismo razionale che da Aristotele ha vagliato il realismo? Nessuno. Perché storpiare il
tomismo è molto più difficile: l’idea forte di Tommaso, convinto che è la verità che deve orientare
l’agire, pone l’azione dopo la dottrina, in analogia allo Spirito di Dio che fa Pentecoste dopo la Rivelazione
del Verbum: è idea di sostanza e di metodo sotto la quale ci si salva e fuori della quale tutto è pericolosamente
falsificaibile.
Si dice: « Segui
il precetto: ama il tuo prossimo come te stesso » (Lev., XIX, 18; Gal., V, 14). Ma, come si vede, per
tutta l’estensione della sacra Scrittura (essa stessa parola che insegna l’agire per il bene), è appunto
esposto un precetto, una legge, una dottrina. Non si può prescindere dalla dottrina. Prescindere dalla dottrina
è prescindere dal Logos, come fanno gli Orientali, che elidono il Filioque, e così spezzano la processione
dello Spirito dal Logos, che è come dire l’agire dal pensare, la volizione dall’intelletto, la libertà
dalla conoscenza, l’amore dalla dottrina; ma così si porta al Cristo un’ulteriore e grave ferimento: lo si
esclude, ritenendo (appunto: con una falsa dottrina, sed dottrina) di muoversi all’amore, all’azione per il
bene, direttamente con la mozione dello Spirito Santo. 6 [Per la disamina della distorsione della divina Monotriade, si veda, di Romano Amerio, Stat veritas... cit., pagg 100
segg., e il nostro recente studio: Romano Amerio. Della Verità e dell’Amore, § 11 e: La libertà religiosa e
la distorsione della divina Monotriade, pagg. 111 segg.]
Purtroppo però nei
secoli il volontarismo e il concretismo di chi vuole scavalcare la necessità di pensare prima di amare porterà a
gravi errori: il misticismo cristiano infatti non si può appiattire a un misticismo tout court, né a quello
proposto da insegnamenti (da religioni) non cristiani, non trinitari. Il sovvertimento dell’azione sulla dottrina implica
direttamente un sovvertimento trinitario che elide il Logos e, con tale elisione, finisce con il non attribuire nemmeno
allo Spirito Santo la sua essenza specifica, Amore oblativo, abbandonandola nel genere amore: ma il genere amore è genere
larghissimo, che va da quello animale a quello crucifero; quale il trinitario? e quale l’umano?
Chi divarica Bonaventura
da Tommaso stacca in qualche modo l’Amore (il misticismo) dal Verbum (l’argomentazione razionale); invece i
due santi vanno tenuti stretti nella medesima Chiesa, così come l’amore oblativo, l’estasi e la contemplazione
mai possono aversi fuori del vero, del pensiero, del Verbum. Enfin: è proprio la ragione, l’intelletto,
che va in estasi! O pensate che possa andare in estasi una coccinella, una rondine, una scimmia? E bisogna ringraziare l’estatico
Tommaso se sappiamo che la teologia è la scienza dei beati, quindi è vera scienza, con tutte le proprietà
richieste alla scienza: grazie a lui noi possiamo già ora, qui, sulla terra, abbeverarci della loro ineffabile visione
sui monti della metafisica ragionando in pienezza, ovvero utilizzando al massimo grado tutto ciò che ci è dato da
Dio per somigliare a lui: ragione naturale, fede (di ragione soprannaturale), grazia.
8. L’ETERNA QUESTIONE DEL PRIMATO TRA VERITÀ E AMORE. A Bonaventura fu dato di
coglierne particolarmente la finalità contemplativa, ed è in questo senso e solo in questo che è permesso
dire che egli colse il primato dell’amore sull’intelletto: si pensa per amare. Ma vi è un secondo senso,
che è quello della causa formale, per cui prima si pensa, quindi si ama il pensato e il come esso è stato pensato.
Per tale motivo, a Tommaso fu dato di cogliere, della conoscenza, tutto l’ordine: la concezione forte dell’essere
è tutta e solo sua (« perfectio omnium perfectionum », « actualitas omnium actuum »),
e su questa intuizione egli intravvide come Logos e Amore (le due catene di intelletto-pensiero-dogma e bontà-volontà-libertà)
potessero mutuamente collaborare per giungere alla conoscenza di tutte le cose e alla finale e beata contemplazione di Dio.
Seguire la via dell’amico
Tommaso è, infine, seguire con molto realismo l’uomo che più tenne a mente l’identità tra persona
e dottrina data nel mistero dell’Incarnazione di Cristo: la prima delle opere, infatti, è la fede, atto dell’intelletto,
e questa concezione, ancora una volta, la possono avere solo i cristiani, che riconoscono che la Verità si fa carne,
cioè storia, cioè atto. Il misticismo di Tommaso, l’antirazionalista più eminente che abbia avuto la
storia, è, ancora una volta, mostrato nella sua efficacia esemplare a tutti noi semplici.
Oggigiorno la sua conoscenza
(e quella di Bonaventura) è particolarmente aiutata dal secondo dei tre volumi di Battista Mondin, Storia della metafisica,
ESD, Milano 1998, oppure il più agile testo di monsignor Antonio Livi, Tommaso d’Aquino, Il futuro del pensiero
cristiano, Mondadori, Milano 1997. Si noti: nessuno dei due è domenicano, l’imparzialità è garantita.(Torna alla pagina
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E. M. R.
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Articolo uscito su « Aquinas »,
R ivista internazionale di Filosofia a cura della Facoltà di Filosofia
della Pontificia Università Lateranense, settembre 2003.
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