Legame indissolubile
tra pensiero e azione:
la vita dipende dal pensiero, il concreto dall’astratto.
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(Segue da p. 1) Non è una questione di interesse astratto, indifferente al suo destino, come fosse la determinazione del numero
di Avogadro in fisica o lo spostamento del parallasse in astronomia o la fissazione della priorità di una radice iranica
in disciplina filologica; è questione che tocca i fondamenti dell’essere e del destino, che investe in pieno la sua
essenza più intrinseca e involge gli interessi umani più profondi. Problema dell’essere e del divenire dell’uomo.
Chiarire la propria posizione di fronte al problema religioso, vuol dire, in fondo, definirsi e, definendosi, orientarsi; cioè
stabilire le relazioni essenziali tra la vita e i suoi fini, esplicare l’enigma, polarizzarsi in un senso o in un altro, adottare
una convinzione da sentire poi come garanzia ultima irrinunziabile in tutti i momenti della vita.
Il
problema è dunque nella sua pienezza, problema di tutti i luoghi e di tutti i tempi,
perché in tutti i luoghi e in tutti i tempi l’uomo ha percepito nell’esperienza
immediata della coscienza queste domande capitali: Posso io realizzarmi tutto in questa realtà
contingente? Finisce tutto qui col mio spegnermi, col nostro spegnerci? Sono io autonomo nell’universo
o c’è qualcosa che mi trascende e a cui debbo tendere? La realtà si incentra
in me o io non ne sono che un punto, ordinato ad un fine? E allora, quale sarà la mia
condotta?
È
problema fondamentale perché alla sua soluzione è annodato l’indirizzo
della vita individuale e collettiva, e con essa e solo con essa l’uomo pone alfine,
o in un senso o in un altro, la chiarificazione della propria essenza e della propria finalità
nell’universo. E un problema che trascina con sé tutte queste formidabili connessioni,
è il più universale, il più necessitante, il più intrinseco che
possa offrirsi alla mente umana.
La
religione invero è il problema supremo che evade ogni particolare limitazione, che
si dilata su tutto il campo della vita, che involge virtualmente tutti gli altri e dalla soluzione
del quale soltanto è possibile trarre comunque una ragione alla realtà, una
interpretazione del nostro essere e del nostro tendere.
2.
IL PRONUNCIATO DELLA STORIA.
Che la religione occupi il posto centrale nel campo degli interessi
umani più vivi e più urgenti è dimostrato anche dalla considerazione
delle sue proiezioni storiche. Ogni attenuarsi dell’efficienza religiosa corrisponde
all’attenuarsi delle visioni etiche: ogni sua accentuazione è un rafforzarsi
della legge del dovere, è un’approssimazione all’ideale integrale della
vita. Per questo le conflagrazioni umane che sono sempre rigenerazione, si riflettono di
necessità in una rinnovazione religiosa.
La guerra impone il sacrificio,
il sacrificio richiede la fede nell’Aldilà, dunque la guerra presenta
un valore etico.
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La guerra purifica, riduce l’uomo alla
sua naturalità morale e in questa naturalità la religione è il centro
vitale e propulsore dell’esistenza. Anche il conflitto recente ha determinato una reviviscenza
religiosa. Ogni guerra in genere, vista sotto la visuale di un pensiero etico, è un
fenomeno di grande bellezza morale. 1 [Nota dell’editore
di « Pagine nostre »: Mi rincresce di dover qui dissentire da un egregio collaboratore
che su queste medesime pagine, in altra occasione, sosteneva la tesi della inferiorità
etica della guerra. Egli partiva, forse senza averne coscienza da presupposti sentimentali
più che da considerazioni morali. La guerra, come segno del dinamismo della storia,
è inabolibile. Comunque, se le contestazioni tra i popoli, per mera fi-gurazione ipotetica,
potessero liquidarsi per via pacifica (compromesso) io continuo a ritenere che tale proce-dimento
sarebbe certo più utile (comodo) ma non mai eticamente più bello (v. «
Pagine nostre », I, n. 6, A. Riva, Giù le armi).]
La subordinazione dell’esistenza
personale all’imperativo categorico del dovere è l’espressione massima della forza necessitante dell’ideale.
La coazione etica nella guerra attinge il colmo: l’uomo si sacrifica per la patria, cioè per omaggio al Dovere, è
la vita che si possiede e che possedendosi in un certo modo si sorpassa ponendosi direttamente sulla traiettoria dell’Assoluto.
Mentre i popoli sono in armi la fede rigalleggia: è impossibile che tanta dilapidazione di vite avvenga per un interesse
presente: sulla base del presente l’uomo non reggerebbe alla pressione degli impulsi egocentrici della sua conservazione;
la disciplina non arriverebbe mai a tenere le masse fino alla autosoppressione se non intervenisse la fede nel futuro, se non si
schiudesse il cielo sopra lo schianto terreno.
La guerra, svalutando il presente e valutando il di là presentato dalla credenza,
postula la religione. Sgombrata ogni costruzione accessoria e artificiale dell’esistenza essa riconduce la vita alla più
semplice verace espressione, alla sua forma genuina e indeformata, in cui l’affermazione religiosa è naturale. E perciò
ogni pace s’inaugura con un’efflorescenza di sentimento religioso; ogni sangue sparso è catarsi spirituale, ogni
pressura di violenza bellica è ragione di rifazione, di mondazione, di rinascita religiosa. La religione è elemento
costitutivo della natura umana, nel suo stato puro.
Ecco il pronunciato della storia, della storia anche recente, per rapporto al
valore religioso. (Vai
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