(Pagine
274-288 del libro.) Dove si considera come il monolite del dogma Verbum/Imago possa incarnarsi nel ventaglio di
verba/imagines delle più diverse civiltà; nozione di Chiesa ‘mistica figlia adottiva del mondo’;
dove si vede salvo il basilare principio di ingerenza del Logos nel mondo, per cui da Cristo Icona universale nasce la
koinè del Logos divino nella Storia; dove si risolve l’attrito tra invariabilità dogmatica e
variabilità espressiva; dove si vede che l’Idea si adatta al particolare perché è universale.
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Tutte le volte che ci si avvicina al Verbo, ci si avvicina al Sancta Sanctorum,
al mistero del Dio Uno e Trino e al nostro stesso mistero di uomini. Il Verbo è lo stesso principio del nostro essere.
Avvicinarsi al Verbo è avvicinarsi a ciò che è nel seno stesso del Padre. Ci si avvicina adorando.
Qui e nelle prossime due Lectiones (XVIII
e XIX) vedremo appunto come si compie questa
marcia di avvicinamento del mondo verso le altezze del Logos, proprio nella prospettiva delineata.
Affrontiamo per prima cosa il tremendum del tema posto dalla relazione
tra Dio e uomo nel momento in cui Dio si incarna nell’uomo, ovvero nel momento in cui la verità divina, unica e trascendente,
si fa in qualche modo verità umana: varia, fragile e immanente; e in cui la bellezza divina, unica e trascendente, si fa
anch’essa umana: varia, fuggevole e immanente. [...] Il tremendum si afferra da sé: come se non fosse già
una grave questione riscontrare verità e bellezza – per quel che sono – in Dio, si fa necessario discernerle
in mezzo a tutti i tanti pareri (doxa) e linguaggi umani.
Una certa mischia del divino con l’umano non è poi cosa che nasca
con la Rivelazione, con l’incarnazione del Cristo, ma, per rendere le cose anche più difficili da dirimere, nasce
da sùbito, dalla creazione, quando sùbito Dio si fa presente all’uomo, in modo che da sùbito si faccia
urgente, e rimanga urgente fino alla fine, il dovere del discernimento degli spiriti: quelli mondani da quelli celesti, quelli
della Civitas Diabuli da quelli della Civitas Dei, la verità e la bellezza dei cieli più sovrani dalla
verità e bellezza degli inferi più inferiori.
Tutta la difficoltà della conoscenza, di cui abbiamo analizzato fin
qui mille risvolti, si riversa sulla difficoltà della sua espressività, ovvero sui gesti, sulla retorica, sul linguaggio,
sull’arte, alla luce della ferma e inamovibile necessità adorativa di Dio – del vero e unico Dio Trinità
– quale unico, generale, effettivo fine dell’uomo, da Adamo all’ultimo dei suoi figli.
Quello che voglio dire è che, se pur in modo arcano, il Verbo, ideatore
e creatore del mondo, è nel mondo da sempre: lo è dal Giardino (alcuni Padri e Dottori lo vedono figurato nell’albero
posto al suo centro; altri nella voce di Dio che arcanamente parla ai Progenitori e al serpente), e lo è per guidare l’adorazione
con un’insostituibile e perenne grazia di presenza.
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1. ASCESA DI CRISTO AL CIELO,
DISCESA DELL’ARTE DAL CIELO.
Una delle tante domande che ha assillato nei secoli la cristianità
è quella che chiede come possa il monolite del dogma, che per natura è uno e invariabile, variarsi e discendere
nella vastità della latitudine e della longitudine della storia, del mondo, delle mille culture, usanze, categorie, tradizioni.
Una risposta insoddisfacente ha portato spesso ad anche potenti eresie, e
terribili, tra le quali, in Oriente, l’iconoclastia dell’ottavo-nono secolo e, in Occidente, al protestantesimo dell’età
moderna. Più in generale ha portato ad addossare alla Chiesa – specificamente intesa ‘Cattolica Romana’,
un’ingiusta volontà di prevaricazione, in realtà assolutamente irriscontrabile, nei confronti di civiltà
non appartenenti a quella civiltà primigenia greco-latina che le fu provvida nutrice.
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(Pagina protetta dai diritti editoriali.)
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