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289-300 del libro.) Dove si considera il rapporto tra gnoseologia, teodicea e teologia; dove si considera il bene della varietà
del pensiero intorno all’invariabilità del dogma; dove si giunge al dilemma posto da san Bernardo, di essere l’arte
o bella o religiosa; dove si mostra il pericolo di un legame tra quel santo, gli iconoclasti e Lutero, non cogliendo
essi tutte le conseguenze della realtà teandrica di Cristo (e della Chiesa); dove si mostra come la Teoria posta dai due
Nomi Verbum/Imago risolva la questione.
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4. GNOSEOLOGIA E TEODICEA, LE DUE MADRI DELLA TEOLOGIA.
“L’idea si adatta perché universale”. Il
profondo principio espressivo del dogma si percuote nella celebre disputa De Auxiliis divinæ Gratiæ, che nel
secolo XVI metteva in campo gli eserciti gesuitici, favorevoli alla “scienza media” di Luis de Molina, contro quelli
dell’Ordine dei Predicatori, decisi assertori della causalità divina della grazia: prima Clemente VIII, poi Paolo
V cercarono in tutti i modi di giungere al punto; si rischiava però l’eresia, forse, per uno dei due (se pur teologici)
eserciti, sicché nel 1607 la controversia, dopo dieci anni di studi, riunioni e battaglie anche furibonde, fu sospesa e
consegnata ai Generali dei due Ordini. Quella sospensione dura tuttora, per cui ancor oggi vengono riconosciute entrambe le dottrine,
quasi che non si trovi la contraddizione che infine una delle due pone nel dogma, e non l’altra; anzi, ad esse si è
aggiunta la teodicea di Rosmini, molto apprezzata anche da Amerio, a confermare che fino alla sua definizione ex cathedra
il dogma non è davvero un punto, ma un incerto, salvo che nelle nozioni salienti, nelle sue linee dorsali, per cui nella
fattispecie deve rispettarsi e la libertà di Dio e quella umana.
Dice bene il cardinale Gianfranco Ravasi quando, con efficace figura, nota che «
la stessa teologia è in pratica nata dalla culla della teodicea, ossia dalla ‘giustificazione’ di Dio
». 1 [GIANFRANCO RAVASI, « Il Sole/24 Ore » n. 15, 16 gennaio
2005, p. 30.] Perché il male, infatti?
Ma la culla forse è ancor prima; la culla è, simpliciter:
“Perché?”.
La culla, cioè, è la gnoseologia, la filosofia della conoscenza,
la riflessione sul proprio intelletto, sulla capacità di vedere le cose, di farsi domande, di pensare, di dare risposte
vicine o non vicine alla realtà: la culla è dar conto del sensus communis (fare filosofia e scienza sulle
acquisizioni prefilosofiche e prescientifiche della puerizia); questa è la culla; alla qiale si aggiunge immediatamente
l’altra; per cui, sapendo di fare domande, di dare risposte, di spiegare le cause, le ragioni e i fini delle cose,
allora solo si fa la grande domanda: “Perché il male?”.
Le cose allora stanno così: la « culla » alla teologia
è il sapere, che è culla candida: partorirebbe di per sé certezze e sicurezza, almeno fino a che l’uomo
guarda l’essere della vita; ma poi sùbito vi si aggiunge, a questa culla del sì e della vita, la culla dell’angoscia,
del tramonto, della notte, la culla nera della morte, il pesante carico della Cacciata; sicché la teologia, partorita quasi
non da una, ma da due madri, o forse spostata da una madre forte e generosa a una dubitosa, secca e angosciata, si trova nei secoli
perennemente come in una mola, tra le due grandi madri Scilla e Cariddi: la possente ma buona madre Conoscenza e la titanica
ma dura madre Teodicea.
Non a caso Cartesio giunse dove giunse, proprio per via di questo stritolamento:
per togliere a Dio – egli credeva! – ciò che chiamava la macchia del male (=
teodicea), costruì un Dio arbitrario, a cui l’uomo non poteva rispondere che col dubbio scettico, il relativismo,
l’agnosticismo (= non gnoseologia). 2 [Cfr.,
dello scrivente, Romano Amerio. Della verità e dell’amore,
§ 1b, pp. 13 segg.]
Ma l’ordine delle culle, per restare alla metafora, va rispettato: prima
va posta la domanda prima: “Perché?”, ovvero ci si deve porre sul piano della filosofia; poi, risolte
tutte e bene le questioni gnoseologiche, si potrà fare anche la domanda seconda: “Perché il male?”,
e qui ci si porrà sul piano teologico; ma sono mille i pensatori che non hanno seguito questo ordine metodologico: da Cartesio
ad Heidegger, hanno immancabilmente portato alla conoscenza umana – dunque poi alla cultura e alla politica – non
altro che guai sopra guai. 3 [Che sia bene seguire l’ordine delle essenze
lo conferma anche, se pur di traverso, lo schema con cui è dato il più classico dei sillogismi (« Socrate
è un uomo », etc), già più volte richiamato su queste pagine, che qualcuno ci fa osservare così
presente sulla bocca dei filosofi proprio per il suo doppio riferimento e al problema della conoscenza (= Socrate) e a quello
della morte (« Tutti gli uomini sono mortali »), dove si vede che la minore precede la maggiore, cioè
la conoscenza precede la teodicea.]
Nelle arti la cosa sembra a prima vista [...].
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