Ottavo di otto articoli riuniti in Iuvenilia,
florilegio di scritti vari di Romano Amerio, pubblicati
su « Pagine Nostre », rivista della diocesi di Lugano, tra il 1924 e 1926.
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Prefazione e finale Considerazione di Enrico Maria Radaelli
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La
serie di articoli di Romano Amerio raccolti in Iuvenilia termina con questo, che ne
è anche il più esteso, coprendo esso quattro fascicoli di « Pagine nostre
». Ricordiamo brevemente che Iuvenilia è la collezione di otto articoli
di taglio prevalentemente metafisico che l’autore, studente di Filosofia presso l’Università
Cattolica di Milano, redasse dai diciannove ai ventun’anni, cioè dall’aprile
del ’24 al luglio del ’26, per la rivista cattolica ticinese. Il presente articolo
va dal marzo al luglio dell’ultimo anno.
Di
un bisogno dei contemporanei prende immediato abbrivio dalla valutazione che Amerio dà
al confronto storico tra cattolicesimo e mondo. È confronto tra due potenze che possono
convergere o divergere, secondo che trovino o non trovino tra loro la corretta disposizione.
Sì, perché che vi sia una disposizione corretta a fronte di una errata è
fuori dubbio: ponendosi col cattolicesimo la verità, tutto il resto (il ‘mondo’)
va a compararsi con essa come il pesato con la pesa. Tale è infatti l’unica configurazione
possibile, e Amerio a ventun’anni identifica il percorso della storia umana con il tentativo
del mondo, valore pesato, di sottrarsi alla propria passività, di assumere valore in
sé, appropriarsi dell’unità di misura della verità (il cogito
cartesiano) e passare così da giudicato a giudicante, da relato a relatore, piuttosto
che obbedire alla disposizione dei valori dati all’interno della quale esso è.
Il problema della vita è fondamentalmente un problema gnoseologico, è il problema
della conoscenza.
La
storia percorre la variazione del rapporto tra le due potenze costituite da verità
e da mondo (o realtà), e Amerio nota che il medioevo è riconoscibile
per costituire la massima acme dell’armonia tra di esse. Da qui, di conseguenza, tutto
il suo presente studio.
Segnaliamo
che al termine dell’articolo (qui pag. 20) l’Autore ha steso un suo Sommario,
che meglio si può dire il suo Itinerario.
Formalmente
anche qui i punti nodali dello scritto sono postillati sull’esempio delle ‘catene’
con cui in origine venivano corredate da commenti critici le Scritture sacre, in modo da distinguere
le glosse nostre dalle note dell’Autore. La redazione del testo e delle sue note è
fedele alla redazione stampata sugli originali di « Pagine nostre » raccolti dall’Autore
nel quadernetto di Iuvenilia.
Questo il motto stampato sulla sua copertina:
« Memento Creatoris tui in diebus juventutis tuæ. (David) ».
Il Curatore
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Quæretis me et invenietis, cum quæsieritis me in toto
corde vestro. (Jer. XXIX, 13).
Staccatisi gli uomini dal mondo
medievale, essi imputano le pazzie sopravvenute non ai propri errori, ma a un’inadeguatezza
della sapienza passata.
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È
noto come l’avvento del così detto pensiero moderno facesse sorgere presso gli speculatori
non credenti il problema storico della verità del Cattolicismo. Se quel problema
astrattaente considerato era assurdo, non però assurdo era che si ponesse dagli
uomini un tale problema dopo che staccatasi in generale la vita da quelle solenni premesse superatrici
dei secoli e non ancora notificatosi agli spiriti l’avvenuto distacco, credettero gli uomini
che non alle novazioni e ai disordini del loro pensiero risalissero gli sperdimenti e le pazzie
sopravvenute, sì bene all’inadeguatezza dell’antica sapienza consumata nel
tempo come tutte le cose che appaiono sotto il sole. La
vita umana giocò a se stessa quest’artifizio che spesso a se stessi giuocano gli
individui e i popoli quando l’imperfezione e l’errore del loro atto, immediatamente
manifesto nella prova dell’esperienza, imputano non all’imperfezione del loro agire
ma al difetto supposto del programma mentale onde quell’atto era mosso.
Tutti
i problemi postmedievali nascono così: c’è un moto storico che diverge dalle
linee della grande sintesi cristiana: operata la divergenza questo moto storico si accorge che
le cose vanno male: esso non sa che ciò avviene per l’abbandono della premessa cristiana
ma crede che appunto la premessa cristiana non si adegui più alla vita e generi quei mali:
allora nel colmo della demenza pensa alla sostituzione e invece di correggere la propria direzione
di vita per ricondurla in coincidenza con quella grande traiettoria, presume di correggere la
premessa, il sistema mentale, i principi e teorizza addirittura l’abbandono.
Il pensiero moderno come precipua
cultura dell’ « egoismo logico ed etico ». |
Invece di immutare la qualità
della vita, si trasforma il sistema della sua qualificazione e valutazione, si introduce un altro criterio di giudizio: invece
di rinnovare il contenuto del libro gli si cambia il titolo. Credo che questo sia il punto d’abbrivo del pensiero e del disordine
dell’età moderna: c’è un’umanità che gravita per natural peso verso l’egoismo logico
ed etico, verso la superbia e la concupiscenza? Si precostituisce una teoria del valore umano in cui quell’inalberamento rivoltoso
e quella declinazione morale si redimono proclamandosi affrancamento dai sogni caliginosi della teologia e dispiegamento consapevole
del pregio umano. Ecco fatto il pensiero moderno. (Vai
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