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INGRESSO ALLA BELLEZZA.

Enrico Maria Radaelli *

Ingresso alla bellezza. Fondamenti a un’Estetica trinitaria.

LECTIO XVI.
DE UNIVERSALI DOCTRINA:
VERBA UT RERUM TRASLATIO.
RATIO (III, ET DE KANT IUDICIUM).

Teoria generale: Il linguaggio come metafora della realtà.
Argomenti finali (III, e critica a Kant).

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(Pagine 250-273 del libro.) Dove si propongono gli ultimi due indizi per una Teoria generale del linguaggio umano, metafora della realtà naturale: il sesto indizio è la relazione, che è la realtà alla base del ventaglio di tutte le figure retoriche; la somiglianza, data dall’estensione della relazione, impone l’atto conoscitivo come necessario, sicché le conclusioni relativistiche di Cartesio e di Kant si mostrano irrealistiche: il relativismo può essere buttato giù solo dalla Trinità, sorgente e forma di tutte le relazioni. L’ultimo indizio si richiama infine alla supersimmetria tra verba e imagines, discesa dal Figlio nel creato attraverso il Cristo. Conclusioni.

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Per accogliere con sempre maggiore certezza la verità di essere il linguaggio metafora della realtà vedremo ora il suggerimento offerto da un sesto indizio. Questo nasce dalle considerazioni da fare sulle tante figure retoriche con le quali vengono classificati scientificamente il linguaggio, la comunicazione, l’arte.
In una tavola generale delle figure retoriche, infatti, le classi in cui viene suddiviso il linguaggio sono quattro; di queste quattro, solo la classe logica è non sempre portatrice di metafore, cioè non in tutte le specie in cui si suddivide; le altre tre classi invece: la morfologica, la sintattica e la semantica, in qualche modo postulano sempre la metafora, il trasloco figurale, in tutte le specie in cui si suddividono.
Questo delle figure retoriche è in un certo senso l’indizio più interiore, il più intrinseco, ai fini della nostra dimostrazione, giacché considera la retorica proprio per ciò che è: imago, volto, espressione, rappresentazione del nous, del verbo, della nozione, cioè indizio che la metafora germina e palpita nella gamma delle sue più varie figure come nel suo più naturale habitat, dalle più antiche alle più aggiornate classificazioni.

Da Aristotele a Quintiliano, da Cicerone a sant’Agostino, da Styckers a Perelman, da Eco a Lausberg, da san Tommaso a Mortara Garavelli, gli studiosi del linguaggio hanno disteso nei secoli sinossi e tassonomie per capire di cosa vive lo strumento con cui l’uomo costruisce la realtà terza, il linguaggio, il gesto, la parola, l’arte. Tutte queste classificazioni si imperniano sul concetto di figura. Ma il linguaggio è una figura.
Nella classe della morfologia, per esempio, abbiamo figure di modificazione formale del linguaggio per le quali, adattandosi ad abitudini e preferenze dei suoi parlanti, esso si trasforma di idioma in idioma; queste figure correttive della forma del linguaggio sono utilizzate anche dai poeti per piegare in qualche maniera le parole, i fonemi e le frasi ai loro costrutti.
Questo perché il materiale linguistico è, prima di ogni altra cosa, un mezzo, ovvero qualcosa che serve per raggiungere un fine superiore, che è la comunicazione; la retorica si propone di difendere le esigenze sia del mezzo che del fine, da un lato rilevando la necessità di un continuum di purezza linguistica (puritas), dall’altro salvaguardando il primo dovere di un parlante, che è convincere. Vi sono dunque le regole, atte alla preservazione della purezza, ma anche le deroghe – anch’esse però codificate – per sovvenire l’oratore a compiere il suo dovere ultimo. In ogni caso il conflitto c’è, ed è il conflitto tra parlare efficacemente e parlare correttamente, è il conflitto tra retorica (per convincere) e grammatica (per farsi capire).

Di volta in volta, e quasi di parola in parola, viene compiuta una scelta decisiva, che ora privilegia l’icastica, ora la purità; ora la forza persuasiva, ora la conservazione della specie linguistica; ora il dovere di trasfondere verità, ora il dovere di trasfondere bellezza. Veritas e pulchritudo sono infatti ancora una volta le vere protagoniste della perenne, insopprimibile, immane tensione: verbum e imago, prepotenti comprimari sullo stesso palcoscenico, polarizzano due aspetti che saremmo portati a dividere in due vere e proprie agenzie rivali, ma che in realtà – e qui si vede bene quanto sia appropriata la precisazione – non sono che due distinti ed egualmente necessari aspetti di un’unica res: la res del discorso, sia esso un parlato, o piuttosto un’opera d’arte musiva, sia un quotidiano interloquio, come pure un gesto, un aggrottare di sopracciglio.
I grandi artisti, i sommi poeti, [...].

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(Pagina protetta dai diritti editoriali.)

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