La
Dichiarazione Dominus Iesus ribadirebbe solennemente fin dal titolo la signoria di Cristo su tutto l’essere dell’universo,
di conseguenza « l’unicità e l’universalità salvifica del mistero di Gesù Cristo e della
Chiesa » (§ 2). Essa vorrebbe riaffermare l’universalità della signoria del Verbum divino nel
rispetto della millenaria tradizione della Chiesa, ma vi riesce solo in parte, inficiata com’è da alcuni elementi
distonici rispetto alla dottrina classica, prelevati dal concilio Vaticano II e dal magistero di Giovanni Paolo II, di cui essa
si avvale e che anzi acquisisce come basi per nuove formulazioni.
Avendo proposto in altra
sede delle disamine sistematiche della Dichiarazione, qui ci si soffermerà sui (nove) passi che toccano direttamente l’incoerenza
del Documento sulla relazione che intercorre, particolarmente in ordine alla Grazia e all’Eucarestia, tra la Chiesa e le
religioni non cristiane. Se ne proverà quindi, punto per punto, l'erroneità dell’approccio.
Bisogna dividere bene tra
quello che è il rapporto tra la Chiesa e i singoli uomini che, pur non essendo formalmente e visibilmente suoi membri,
possono farvi parte in votum, e quello che è il rapporto tra la Chiesa e le altre religioni. Questa differenza di
rapporto non viene mai riconosciuta né dalla Dichiarazione né dai testi conciliari cui essa si riferisce, mentre
nei testi del magistero preconciliari essa è ben presente e decisiva. Ma qui passa il discrimine sostanziale tra la teologia
ortodossa e la teologia innovativa (vedi punto 10).
Come nota anche il professor
Johannes Dörmann (Crf. « sì sì no no » anno 2001, n. 5), nel primo caso la lettura della Dichiarazione
non solleverebbe dubbi, salvo « stimolare i teologi a proseguire oltre, a penetrare con ulteriori ricerche nei fatti
più intimi della salvezza, tra Dio e l’anima individuale », quando per altro « il rapporto più
intimo tra l’anima e Dio è rapporto sottratto per definizione ad ogni ulteriore approfondimento teologico ».
Fatto salvo quindi questo
rapporto, deve venire studiata e chiarita l’altra relazione: quella intercorrente tra le varie religioni in quanto tali
e la religione fondata da GESÙ Cristo, la Chiesa che ne è l’espressione visibile. È in questo senso
specifico che saranno ora discusse le parole della Dichiarazione, in dieci punti. I testi della Dichiarazione sono raccolti tutti
insieme in coda allo scritto.
1. « La
Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni ».
A proposito dei grandi
filosofi greci, san Giustino affermava che « tutto ciò che essi hanno insegnato di buono appartiene a noi, a noi
cristiani », e anzi, sempre a riguardo della sola filosofia e metafisica greca, precisava con una legge generale: «
Tutto quanto è stato affermato sempre in modo eccellente e quanto scoprirono coloro che fanno filosofia o istituiscono
leggi, è stato compiuto da loro attraverso la ricerca o la contemplazione di una parte del Verbo » (II Apol.,
10,1-3). Il filosofo cristiano si riferiva precipuamente al riconoscimento da parte dei greci dell'esistenza di un Dio unico,
dell'esistenza dell'anima e della sua immortalità. Fatti precisi, non anonimi e inconsistenti come quelli cui accenna la
Dichiarazione. Fatti che servivano per combattere le false religioni, non per apprezzarle.
Fatti conoscibili con la
ragione naturale (la contemplazione di una parte del Verbo) e fatti che per la loro stessa ragione costringevano a ripudiare
l’idolatria.
Il vero delle false
religioni è, per così dire, costitutivo di esse, ma non sostanzialmente, bensì solo accidentalmente, in quanto
è quella loro parte che permette all’uomo di crederle vere, non palesandosi immediatamente la loro falsità.
Se non ci fosse del vero in una proposizione falsa, essa non avrebbe modo di nascondersi. Ma il paralogismo, la falsità,
proprio in questo consiste, nell’apparire fortemente vera sotto ogni aspetto. E tanto più essa appare vera e credibile,
tanto cresce la sua falsità. Al contrario, diminuendo in essa la quantità di vero, diminuisce la sua falsità.
Quindi la posizione della
Chiesa, maestra di verità, non deve essere di benevolenza, ma di severo giudizio, riguardo a ciò che di vero persiste
nella falsità delle religioni, per riprendersi ciò che è suo, ciò che anzi, sotto le mentite spoglie,
assume anche un aspetto non veritiero, quand’anche fosse in sé vero. E tanto più dev’essere severo
il suo giudizio, dove gli elementi di vero le sono più prossimi e l’elemento di falsità più difficile
a trovarsi. Perché poi il vero delle false religioni sia setacciato e riconosciuto come tale dagli uomini retti, ci vuole
la Grazia, senza la quale esso non può assumere per loro l’aspetto che gli è proprio.
È per questo che,
per la conversione al vero Dio di un pagano, « il voto implicito non può avere effetto se l’uomo
non ha una fede soprannaturale [data dalla Grazia] » (Lettera del S. Uffizio all’Arcivescovo di Boston,
8 agosto ’49).
Riguardo poi al santo
di cui si dice, san Tommaso spiega che « il termine implica due cose. Prima di tutto purezza: a cotesto significato
accenna il termine greco, difatti àgios significa senza terra. In secondo luogo indica stabilità:
infatti presso gli antichi si denominavano sante le norme difese dalle leggi, così da non potersi violare; e una cosa si
dice sancita per il fatto che è stabilita dalla legge. […] Entrambi i significati permettono di attribuire
la santità a quanto si applica al culto di Dio. Infatti perché la mente si applichi a Dio è necessaria la
purezza. […]
« Ora,
è necessario che la mente si astragga dalle cose inferiori, per potersi unire alla realtà suprema. […] Perché
un’anima si applichi a Dio si richiede inoltre la stabilità. Infatti essa si deve applicare a Lui come al suo ultimo
fine e al suo primo principio: ebbene, queste due cose devono essere immobili al massimo, secondo le parabole dell'Apostolo: “Io
son persuaso che né morte né vita potrà mai separarmi dalla carità di Dio”. » (Summa
Theol., II-II, q. 81, a. 8).
Ora, se le religioni false
hanno per proprio oggetto un dio, non sono religioni false, perché il loro oggetto è vero. Quindi è appropriato
che esse abbiano elementi santi, come sostiene la Dichiarazione. E anzi li abbiano in abbondanza, come si conviene a dei culti
finalizzati a qualcosa di superiore. Ma le religioni il cui dio non è quello rivelato da Gesù Cristo sono false,
in quanto il loro oggetto è nullo, come dice la Scrittura: « Tutti gli dei delle nazioni sono vanità
» (Psal., XCV, 5), quand’anche non siano « demoni », come precisa il versetto nella versione
dei Settanta. Ora, se l’oggetto di una religione non è santo, in quanto è un diavolo, o non è
niente, tanto meno si può dire santo il suo culto, né pretendere che qualche elemento di esso lo sia.
Inoltre, essendo la virtù
di religione una specie della virtù di giustizia, è necessario che gli atti compiuti con essa siano eseguiti soddisfacendo
il bene cui è ordinata, e questo lo si può fare solo con la Grazia, che non è presente nelle religioni pagane
in quanto tali, come vedremo.
Per cui, dire che «
la Chiesa cattolica nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni », ancorché
non sia per nulla determinato alcun elemento preciso né di verità né di santità, sottintende accreditare
a delle idolatrie e superstizioni una specie, quella di religione, che non gli è propria e che per di più gli è
anche direttamente contraria.
E più tali credenze
presentano elementi simili all’unica religione vera, più ad esse si può applicare il principio summenzionato
di falsità, stante il quale san Tommaso deduceva: « L’uomo si allontana da Dio nella maniera
più grave con l’incredulità: poiché viene persino a mancare della vera conoscenza di Dio; e con una
conoscenza falsa a Lui non si avvicina, ma si allontana maggiormente. E chi ha una falsa idea di Dio non può averne una
conoscenza neppure parziale: poiché ciò che egli pensa non è Dio » (Summa Theol., II-II,
q. 10, a. 3).
Quindi la Chiesa può
e deve continuare a rigettare in toto le false credenze di cui è circondata, perché in esse non si trova nessun
elemento vero, in quanto qualsiasi verità, in un contesto falso, assume la forma di quel contesto; e non si trova nessun
elemento santo, in quanto qualsiasi santità non si può ritrovare se non dove esista un principio santo, caso che
è dato solo dalla nostra religione, che adora l’unico vero Dio in quanto suo principio. Come dice la Scrittura: «
Pensarono male su Dio, seguendo gli idoli; e, a sfregio della santità, spergiurano con inganno »
(Sap., XIV, 30).
La proposizione è
quindi fuorviante sotto ogni profilo.
2. « Essa
[Chiesa] considera con sincero rispetto quei modi di agire e di vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti
punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia non raramente riflettono un raggio di quella verità
che illumina tutti gli uomini ».
Quanto qui proposto è
superato da quanto detto sopra. Tuttavia è necessario sottolineare che, malgrado l’occasione si offra più
volte, mai il Documento precisa quali siano nelle altre fedi i punti di convergenza, i riflessi dei raggi di verità, e
cose simili. Infatti la teoria interreligiosa di una convergenza delle false credenze nella religione rivelata da Nostro Signore
è una teoria che sembra reggere meglio quando i suoi fondamenti rimangono generici, indeterminati, astratti.
3. « Si
avanza l’ipotesi circa il valore ispirato dei testi sacri di altre religioni ».
Certo, se si ammette che
vi siano delle credenze che in qualche modo si riferiscano, anche se imperfettamente e con gradi di partecipazione più
o meno puri, all’unico vero Dio, bisogna di conseguenza opinare che le dottrine che ne costituiscono il fondamento siano
in qualche modo ispirate.
Questo pensiero è
stato avanzato anche dal Papa, in una delle sue catechesi, mercoledì 9 settembre 1997: « Non di
rado, alla loro origine [delle religioni] troviamo dei fondatori che hanno realizzato, con l’aiuto dello Spirito di Dio,
una più profonda esperienza religiosa. Trasmessa agli altri, tale esperienza ha preso forma nelle dottrine, nei riti e
nei precetti delle varie religioni ».
Secondo queste parole,
quindi, alcuni uomini, nel corso della storia, sono stati toccati profondamente dallo Spirito Santo, e sono stati soggetti di
esperienze mistiche che li hanno portati a enunciare delle dottrine religiose e ad approntare dei riti. Quindi i testi di queste
esperienze sono sacri (santi) e necessariamente ispirati. Anche qui, come altre volte abbiamo rilevato, ci troviamo in ogni caso
di fronte al più profondo anonimato, secondo la più sofisticata procedura della teologia innovatrice, che sempre
si spinge oltre quello che può dire, sul piano delle specie, salvo rimanere reticente nella determinazione circostanziata
degli elementi individuanti.
I concetti espressi non
tengono in nessun conto, prima di tutto, l’unicità della Rivelazione, se non sotto questo nuovo punto di vista, del
tutto eterodosso, che la Rivelazione sia in effetti unica, ma preceduta e (forse) accompagnata da testimonianze comparse non solo
all’interno dell’Antico Patto, ma anche al suo esterno. Le ispirazioni profetiche quindi non sarebbero circoscritte
ai Libri canonici confluenti nelle Sacre Scritture e riconosciute dal Magistero della Chiesa, trovandosi anche, al di fuori di
esse, altre ispirazioni, forse meno sicure, forse anche più rozze e primitive, ma tutte certamente confluenti ad indicare
lo stesso oggetto, il Dio rivelato da GESÙ Cristo, in una visione universalistica e totalitaria della storia delle religioni
nel mondo.
Ma la Grazia è scesa
nel mondo solo con GESÙ Cristo, come dice la Scrittura: « Il cielo si aprì e scese su di
lui lo Spirito Santo " (Luc., III, 21-22), e ancora: « La grazia e la verità vennero
per mezzo di GESÙ Cristo » (Ioan., I, 17).
Per cui anche questa proposizione
è falsa.
4. « Certo,
bisogna riconoscere come alcuni elementi presenti in essi [testi sacri] siano di fatto strumenti, attraverso i quali moltitudini
di persone, nel corso dei secoli, hanno potuto e ancora oggi possono alimentare e conservare il loro rapporto religioso con Dio
».
Queste parole confermano
la nostra ipotesi: noi dovremmo ritrovare nei testi fondatori di idolatrie e superstizioni degli elementi, al contrario, capaci
di alimentare e conservare la religione. Questa è una proprietà che finora distingueva le Sacre Scritture da ogni
altro testo, in quanto finora si distingueva nettamente tra ordine naturale e ordine soprannaturale.
Anche il professor Dörmann,
nel suo articolo tradotto su « sì sì no no » n. 5 dell’anno in corso, rileva che
per la nuova teologia « tutte le religioni prendono parte all’unica e universale mediazione di Cristo »,
confermando autorevolmente l'espressione dei nostri timori, che per essa « tutte le religioni sono ordinate alla
salvezza che è una ed è quella di Cristo: il loro ordine è stabilito dal grado di partecipazione di ciascuna
alla pienezza di verità e di salvezza che si trova in massimo grado in Cristo e nella sua Chiesa » (cfr. «
sì sì no no » n. 19, anno 2000).
Per provare l’errore
di queste tesi, in altre sedi si è ricorsi al più solido argomento offerto alla teologia da sempre, quello dell’autorità,
per cui Sacra Scrittura e Tradizione si trovano concordemente unanimi nel respingere qualsiasi partecipazione alla Rivelazione
da parte di qualsivoglia credenza umana.
Vi è poi un argomento
logico-deduttivo, attraverso il quale si può giungere alle stesse conclusioni, per distinguere abissalmente il naturale
dal soprannaturale. Per far questo, è necessario ristabilire la dottrina della Grazia a riguardo delle religioni, in quanto
principio formale di tutta la nostra vita soprannaturale e principio radicale delle virtù teologali, fede, speranza, carità.
Se si dimostra che la Grazia
inerisce in qualche modo alle religioni non rivelate, in quanto tali, si potrà anche dire che esse effettivamente
partecipano alla mediazione compiuta da Cristo, come sostenuto dalla Dichiarazione.
Se invece si dimostra che
la Grazia non ha nulla a che fare con quelle dottrine, toccando tutt’al più, occasionalmente ed eccezionalmente,
alcuni singoli uomini che cercano Dio, e al Cristo certo si convertirebbero se solo lo conoscessero, allora tutto il pan-theon
delle religioni torna a prendere nei riguardi di Cristo il posto che sempre ha avuto, di accozzaglia spuria di simulazioni e ruberie
avversarie, mistificatrici, falsificatorie.
In Stat veritas,
per esempio, il professor Amerio si trovò di fronte allo stesso problema, dovendo chiosare certe parole dell’Enciclica
Tertio millennio adveniente: « Cristo è il compimento dell’anelito di tutte le religioni del
mondo e, per ciò stesso, ne è l’unico e definitivo approdo », e lo risolse individuando proprio
nella Grazia il discrimine vertiginoso tra la religione rivelata e qualsiasi altra confessione: « La Grazia: questo
è l'elemento supernaturale contraddistintivo che è assolutamente originale della nostra religione » (Stat
veritas, chiosa 4,V).
Nota Amerio: « L’anelito
del genere umano verso la divinità non si deve prendere per l’anelito speciale del genere umano nella Rivelazione
cristiana. Non si può passare dalla religione di tutti i popoli alla religione cristiana: qui c’è un salto.
« La religione
cristiana è soprannaturale, è fondata sulla persuasione che Dio mette nell’intelletto, nella mente dell’uomo,
in maniera speciale, la Grazia; e i popoli Gentili non hanno la Grazia: hanno una religione – la religione naturale –
ma non hanno la Grazia. Non hanno la religione soprannaturale, perché la religione soprannaturale, cioè la Grazia,
è ontologicamente un principio divino: è la vita divina, che viene partecipata all’uomo, in modo incipiente,
ma reale. Talmente reale che, nel Battesimo, si parla di una nascita, o rinascita: c’è la creazione di un nuovo essere.
« Quindi,
la Grazia non è soltanto qualcosa di morale; la Grazia è qualcosa di ontologicamente divino, di realmente divino
» (Ibidem, chiosa 4,I).
Posto questo, ci si chiede
se Dio infondesse la sua Grazia, per esempio con l’ispirazione e l’insegnamento di verità soprannaturali (che
san Tommaso chiama profezia), anche negli increduli, cioè nei professatori di religioni false in quanto tali.
San Tommaso propone un
articolo decisivo: Se i profeti dei demoni predichino qualche volta la verità (Summa Theol., II-II, q. 172,
a. 6). « Sembra che i profeti dei demoni non predichino mai la verità. Infatti: 1. S. Ambrogio
afferma, che “qualsiasi verità, da chiunque sia detta, viene dallo Spirito Santo”. Ma i profeti del demonio
non parlano mossi dallo Spirito Santo: perché, a detta di S. Paolo, “non c’è accordo tra Cristo e Belial”.
Dunque costoro non predicano mai la verità.
« 2.
Come i veri profeti sono ispirati dallo Spirito di verità, così i profeti del diavolo sono ispirati dallo spirito
di menzogna, secondo le parole riferite dalla Scrittura: “Andrò e sarò spirito di menzogna in bocca a tutti
i suoi profeti”. Ora, i profeti ispirati dallo Spirito Santo, l’abbiamo visto sopra (a. 5, ad 3; q. 171,
a. 6), non dicono mai il falso. Perciò i profeti del diavolo non dicono mai la verità.
« 3.
A proposito del demonio il Vangelo afferma che “quando mentisce parla di quel che gli è proprio: perché è
bugiardo e padre della menzogna”. Ma ispirando i suoi profeti il demonio parla solo di ciò che gli è proprio:
poiché egli non è incaricato da Dio a enunciare la verità, “non essendoci nessun legame tra la luce
e le tenebre”, come si esprime S. Paolo. Quindi i profeti dei demoni non predicano mai la verità.
« IN
CONTRARIO: In una Glossa (Num., XXII, 14) si legge, che “Baalam era un indovino: egli, cioè, con l’aiuto
dei demoni e con ‘'arte magica talora prevedeva le cose future”. Ora, Baalam predisse molte cose vere, come si legge
nel libro dei Numeri: “Una stella spunterà da Giacobbe, uno scettro sorgerà da Israele”. Perciò
anche i profeti dei demoni predicono le cose vere.
« RISPONDO:
Il vero sta alla conoscenza come il bene alla realtà. Ora, come tra le cose reali è impossibile trovarne una priva
di qualsiasi bontà; così è impossibile trovare una conoscenza che sia del tutto falsa, senza nessuna mescolanza
di verità. Dice infatti S. Beda, che “non c'è una dottrina falsa, la quale non inserisca nel falso qualche
verità”. Perciò anche l’insegnamento che i demoni impartiscono ai loro profeti contiene delle verità,
che lo rendono accettabile: poiché l’intelletto si lascia condurre alla falsità dall’apparenza della
verità, come la volontà si lascia trascinare al male dall’apparenza del bene. Di qui le parole del Crisostomo:
“È stato concesso al demonio di dire talora delle verità, per avallare, con quel poco di verità, la
sua menzogna”.
« SOLUZIONE
DELLE DIFFICOLTÀ: 1. I profeti dei demoni non sempre parlano per rivelazione diabolica, ma qualche volta lo fanno per ispirazione
divina; come è evidente nel caso di Baalam, al quale la Scrittura afferma che parlò il Signore, sebbene fosse un
profeta dei demoni. Dio si serve anche dei cattivi per il bene dei giusti. Perciò egli fa predire delle verità anche
dai profeti dei demoni: sia per rendere più credibile la verità, che riceve la testimonianza persino dagli avversari;
sia perché, credendo in costoro, gli uomini si lasciano indurre più facilmente alla verità dalle loro parole.
Ecco perché anche le Sibille predissero molte cose vere intorno a Cristo.
« Ma
anche quando sono ispirati dal demonio, questi profeti dicono qualche cosa di vero: sia in virtù della natura angelica
del demonio, di cui è autore lo Spirito Santo; sia per le rivelazioni che il diavolo riceve dagli spiriti buoni, come insegna
S. Agostino. Perciò anche la verità che è enunciata dal demonio deriva dallo Spirito Santo.
« 2.
Il vero profeta è sempre ispirato dallo Spirito di verità, in cui non può esserci falsità alcuna:
e quindi non dice mai il falso. Invece il profeta falso non sempre è ispirato dallo spirito di menzogna, ma può
anche essere ispirato dallo Spirito di verità. Del resto, come abbiamo spiegato, anche lo spirito di menzogna predice sia
cose vere che cose false.
« 3.
Si dice che è proprio del demonio ciò che egli ha da se stesso, cioè la menzogna e il peccato. Invece le
qualità naturali egli non le deve a se stesso, ma a Dio. Ebbene, il demonio talora predice cose vere in virtù della
sua natura, come abbiamo già detto. Inoltre Dio si serve anche dei demoni per far conoscere certe verità, facendo
loro rivelare dagli angeli i suoi segreti, secondo le spiegazioni già date » (q. 109, a. 4, ad. 1).
Da tutto ciò è
evidente che non perché i demoni talvolta predicono cose attinenti a GESÙ Cristo, per questo partecipino in qualche
modo alla Rivelazione. Né siano in loro degli elementi di bene e di vero. Né abbiano in qualche misura la Grazia.
Né arricchiscano con le loro parole la Chiesa. Né la Chiesa debba stabilire con essi un dialogo. Né si debbano
vedere come in qualche modo e misura coinvolti nel mistero della Rivelazione, partecipatori della santità, e altre cose
simili.
La Grazia quindi, come
non inerisce ai demoni, così non inerisce alle religioni false in quanto tali, poiché le ispirazioni dello
Spirito Santo, anche quando risultino concesse a uomini professatori di queste religioni, sono ispirazioni che non concernono
quelle religioni in quanto tali, ma verità (naturali o soprannaturali) riguardanti il Cristo e la sua Rivelazione,
come spiega san Tommaso.
Sarebbe necessario di prima
necessità che l’attuale magistero della Chiesa recepisse il concetto ineludibile che Dio, nel procurare la salvezza
agli uomini suoi figli con l’insegnamento della Verità, ha avuto e ha molte schiere, a ondate, di rivali cattivi,
ostinati, falsificatori e omicidi, quali il diavolo e i suoi seguaci. Questi rivali perversi scimmiottano Dio specialmente nelle
sue prerogative salienti, quali la sua bontà o la sua veridicità. Ma Dio ha dato alla Chiesa i mezzi per discernere
ciò che è suo, amministrato dalla sua signoria, da ciò che non proviene da lui, anche se un giorno anche
questo renderà conto alla sua signoria.
Cade così il teorema
posto dalla teologia innovativa, in particolare nella Dichiarazione Dominus Iesus, di una partecipazione se pur scarsa
e deficitaria dei testi “sacri” alle idolatrie e alle superstizioni all’unica Rivelazione, quella consegnata
soprannaturalmente all'uomo da Nostro Signore. Come zoppa, cade anche la proposizione che lo sostiene, e la sua veridicità.
(Vai alla pag. 2 di 2)
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(Pagina protetta dai diritti editoriali).
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