5.
« Per questo, considerando i modi di agire, i precetti e le dottrine delle altre religioni, il Concilio Vaticano II afferma
che, “quantunque in molti punti differiscano da quanto essa (la Chiesa) crede e propone, tuttavia, non raramente riflettono
un raggio di quella Verità, che illumina tutti gli
uomini”. ».
Per questi raggi di Verità
che così spesso sarebbero riflessi nelle dottrine, nei precetti e nei modi di agire delle altre religioni bisogna fare
la considerazione esposta in « sì sì no no » n. 9, del 1997: « La Divina Rivelazione (v. Genesi)
ci dice, infatti, che l’unica vera religione fu rivelata da Dio fin dal principio ad Adamo e poi ai patriarchi, che la tramandarono
ai loro posteri insieme con la promessa del Redentore. Successivamente, avendo l’umanità, nella corruzione generale,
perduto perfino la cognizione del vero Dio creandosi false divinità da adorare, Dio si scelse un popolo che governò
con speciale provvidenza affinché conservasse sulla terra l’unica vera religione fino alla venuta del Salvatore,
il quale la perfezionò e l’affidò alla sua Chiesa fino alla fine dei secoli.
« Quanto è
attestato dalla Sacra Scrittura sulla Rivelazione primitiva è ampiamente confermato dagli studi sulla religione dei primitivi:
il monoteismo, non il politeismo è il primo stadio della religione; il politeismo compare poi, come degenerazione del monoteismo
primitivo.
« Se le false
religioni pagane, politeistiche, idolatriche (buddismo, induismo, ecc.) sono il frutto dell’allontanamento dalla Rivelazione
divina primitiva, le altre false religioni (giudaismo, islamismo, sette eretiche e/o scismatiche) sono il frutto del rigetto,
totale o parziale, della Rivelazione divina definitiva, cioè della Rivelazione cristiana ».
Anche questa proposizione
quindi si dimostra falsa e sviante come le precedenti.
6. « Cost.
dogm. Lumen gentium, n. 16, dove si accenna ad elementi di bene e di vero presenti tra i non cristiani, che possono essere
considerati una preparazione all’accoglienza del Vangelo ».
Dipende: l’originale
della Costituzione dice « presso di loro " (apud illos), e in questo caso il testo certo si riferisce
alle religioni, dottrine e credenze da essi seguite, per cui non vi può essere spazio per la Grazia, come abbiamo visto.
Infatti « la provvidenza divina non rifiuta gli aiuti necessari alla salvezza » non proponendo «
presso di loro » qualche spurio elemento di bene e di vero di difficile individuazione, ma promuovendo dentro
di loro, con la Grazia, un moto nei cuori che li alzi sopra le miserie, li contrari ai riti e alle usanze, li converta alla
voce che si alza da ogni retta coscienza.
La proposizione è
falsa come le altre.
7. « Certamente,
le varie tradizioni religiose contengono e offrono elementi di religiosità, che procedono da Dio ».
Uno dei punti più
ambigui di questa frase ambigua in ogni suo lemma è quello che tocca le caratteristiche di questi elementi di religiosità.
Se questi « elementi » sono limitrofi alle religioni, o invece ad esse centrali, è da chiarire
previamente. Perché, al di là di tutto, e per tutto ciò che è stato fin qui detto (in particolare
ai punti 3 e 4), se trattasi di elementi centrali, è certo che questi elementi non possono procedere da Dio, non potendo
Dio proporre più religioni. Se limitrofi, periferici, casuali, può anche darsi che procedano da Dio, ma indirettamente,
cioè non per suo volere positivo ma solo per sua permissione e tolleranza, essendo il processo storico di devoluzione avvenuto
come spiegato supra (punto 5), a proposito del modo con cui i popoli della Genesi si allontanarono dalla vera dottrina.
La proposizione è
quindi fuorviante.
8. « Sono
i semi del Verbo divino – semina Verbi – che la Chiesa riconosce con gioia e rispetto – cfr. Conc. Vaticano
II, Decr. Ad gentes, n. 11; Dich. Nostra aetate, n. 2, e che fanno parte di “quanto opera lo Spirito nel cuore
degli uomini e nella storia dei popoli, nelle culture e nelle religioni (Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Redemtoris missio,
n. 18) ».
Il Papa, come i Padri del
Concilio, parlando di semina Verbi potrebbe riferirsi alle filosofie dei greci. Ma è tutto sempre lasciato così
nel vago che ogni altra ipotesi è possibile.
Lasciamo da parte l’operato
dello Spirito divino nel cuore dei singoli uomini, che sappiamo essere da sempre trattato dalla Chiesa, come detto supra,
attraverso una relazione che effettivamente, se pur eccezionalmente, può formalizzarsi anche fuori della Chiesa visibile.
In quanto invece all’operato dello Spirito divino nella storia dei popoli, nelle culture (e non nelle religioni),
esso si chiamerebbe sempre Grazia, e darebbe sempre come suoi frutti immediati le virtù infuse (intendesi: da Dio con la
Grazia). Secondo san Tommaso le virtù morali “infuse” sono essenzialmente distinte, a motivo del loro oggetto
formale, dalle più alte virtù morali “acquisite” (dall’esperienza e dalla ragione), descritte
dai filosofi. Queste ultime, per quanto perfette si vogliano supporre, potrebbero crescere e svilupparsi indefinitivamente, senza
raggiungere mai l’oggetto formale delle prime, la gloria di Dio.
C’è una distanza
incalcolabile tra la temperanza aristotelica, regolata unicamente dalla retta ragione, e la temperanza cristiana, che obbedisce
ai dettami della fede e della prudenza soprannaturale. Si legga il magnifico articolo dedicato a tale questione nella Summa
Theologiæ (I-II, q. 63, a. 4) e si vedrà l’altissima idea che il Dottore angelico si era formata delle
virtù infuse e della loro trascendenza rispetto alle corrispondenti virtù acquisite.
Le virtù infuse
dalla Grazia si ispirano e si regolano sulle verità di fede – del tutto sconosciute alla semplice ragione naturale
– per quanto concerne le conseguenze del peccato originale e dei peccati personali, la infinita dignità del nostro
fine soprannaturale, la necessità di amare Dio, autore della Grazia, sopra ogni altra cosa, e le esigenze dell’imitazione
di GESÙ Cristo che ci porta all’abnegazione e alla rinuncia totale di noi stessi.
Niente di tutto questo
giunge a comprendere la semplice ragione naturale, sia essa di Socrate, di Aristotele, di Platone o della Filosofia del Giardino
di Epicuro, che a parere di Romano Amerio fu pur quella che più si avvicinò all’ideale cristiano.
A ragione scrive san Tommaso
che « è manifesta » la differenza specifica tra le virtù infuse e le acquisite a motivo
del loro oggetto formale, Dio per le prime, l’uomo per le seconde.
Per cui anche queste proposizioni
risultano erronee.
9. « Di fatto
alcune preghiere e alcuni riti delle altre religioni possono assumere un ruolo di preparazione evangelica, in quanto sono occasioni
o pedagogie in cui i cuori degli uomini sono stimolati ad aprirsi all'azione di Dio (ibidem, n. 29) ».
Essendo unico il vero Dio,
unico sarà anche il culto a lui dovuto. Dio stesso l’ha rivelato, in modo che, in ordine al vero, l’uomo non
potesse avere dubbi, né opinioni, e in ordine al bene l’uomo trovasse il migliore dei mezzi.
Dio stesso si è
fatto culto a se stesso, assumendo in sé il sacerdozio, la vittima, il tempio, l’altare. Per preparare l’uomo
a questi altissimi misteri, Dio stesso ha approntato, come un pedagogo, un tempo, un luogo e un rito di iniziazione attraverso
i Patriarchi e Mosé. Non vi è altra pedagogia se non quella dell’Antico Testamento, altra occasione se non
quella della storia (religioso tragitto) di Israele. Quindi le altre religioni, in quanto tali, non hanno in sé
alcun elemento che possa significare un’occasione o una pedagogia come preparazione evangelica, in quanto, come già
detto, false in ordine alla realtà, e mancanti in ordine al bene.
Beninteso, in senso lato
anche esse sono costrette a essere pedagoghe all’uomo, ma come è pedagogo all’uomo il male, ovvero in quanto
Dio si serve anche del male per fare il bene, come abbiamo visto al punto 4.
I misteri eucaristici,
inoltre, sono talmente santi che qualsiasi loro accostamento, anche considerato solo propedeutico, a preghiere e riti che non
siano stati preparati direttamente da Dio, come è stata preparata da Dio la Prima Legge, va considerato un sacrilegio sotto
ogni aspetto, e va quindi esecrato e rifiutato sotto ogni veste e proposta.
Certo, il punto di vista
del Documento è proprio questo, di vedere in tutte le religioni alcuni elementi che permetterebbero anche ad esse, in
quanto tali, di configurarsi salvifiche, se pure in modi e gradi limitati, secondo la teoria dei cerchi concentrici
di Papa Giovanni Battista Montini: « nel primo c’è la Chiesa cattolica, nel secondo le confessioni cristiane,
nel terzo le religioni monoteiste, nel quarto le altre » (così Padre Maurice Borrmans, del Pontificio
Istituto di studi arabi e di islamistica).
In questa visione la signoria
di Cristo è assicurata dalla forzosa convergenza a lui degli elementi di bene imprigionati in diverse misure anche fuori
della Chiesa.
Questo modo di intendere
la signoria del Cristo: come una supersignoria cui convengono per venerarlo anche i suoi nemici in quanto nemici – in ultima
analisi anche i demoni – si dimostra erroneo anche dal punto di vista della latria, o culto che si deve a Dio. I suoi nemici
rimangono a lui obbligati e sottomessi come a un giogo, secondo quanto dice il salmo: « Siedi alla mia destra, finché
non abbia posto i tuoi nemici a sgabello dei tuoi piedi » (Psal., CIX, 1). Ma non gli rendono nessun
culto di amore e di adorazione.
Infatti, qualsiasi atto
di religione compiuto dal cristiano è visto benevolmente da Dio Padre solo in quanto esso partecipa, almeno in voto,
dell’atto di culto compiuto una volta per sempre da Dio Figlio. Questo atto di culto è la religione cristiana, ed
è un atto che realizza fisicamente, nel Sangue, e non solo moralmente, un’unione del cristiano con il Cristo, per
cui la partecipazione dell’uomo al culto reso dal Cristo al Padre è una partecipazione che non si può dare
attraverso le altre religioni, di per sé, non potendo nessuna di esse identificarsi col Cristo.
Ecco perché in una
precedente disamina del Documento Dominus Iesus si è tanto insistito sul carattere fuorviante e sviante della formula
del subsistit in (cfr. « sì sì no no » n. 21, anno 2000). Solo se si riconosce la perfetta
identificazione della Chiesa cattolica col corpo mistico del Cristo, che ne è il Capo ma anche in qualche modo ne è
la linfa, il respiro, le membra, cioè l’operante, l’operazione e l’operato, si riconosce anche che tutte
queste cose non fanno parte della terra, ma sono già trasportate nel mondo soprannaturale, nella qualità divina,
quindi sono perfette, innocenti, pure e stabili come richiesto dalla ineffabile realtà e maestà del Padre.
Cadendo, con l’adozione
della formula del subsistit in, l’identificazione perfetta tra i due enti Chiesa cattolica e Chiesa di
Cristo, cade la necessità della Chiesa di essere perfettamente definita. E anche di essere perfetta. Di conseguenza
essa può ulteriormente arricchirsi, come sostiene il Documento, anche attraverso l’apporto di altre credenze
religiose. Se invece l’identificazione sussiste, stabile e pura come la prevede san Tommaso, si ribalta immediatamente e
completamente la signoria del Cristo sull’ordine del mondo, nella configurazione ortodossa per cui, prima di ogni altra
cosa, la latria, l’adorazione, è fatta solo e unicamente dal Cristo, dai cristiani per partecipazione a lui. Dalle
religioni e sette di ogni ordine e grado non salendo a Dio assolutamente niente, se non le grida dei demoni, salvo le preghiere
di chi in voto è unito al Cristo secondo un decreto imperscrutabile di Dio, come già detto.
Per cui anche la proposizione
che riguarda i riti e le preghiere delle altre religioni, di per sé, risulta falsa e, per i misteri toccati, si
potrebbe dire anche, e almeno, temeraria.
10. « Se è
vero che i seguaci delle altre religioni possono ricevere la grazia divina, è pure certo che oggettivamente si trovano
in una situazione gravemente deficitaria se paragonata a quella di coloro che, nella Chiesa, hanno la pienezza dei mezzi salvifici
(Cfr. Pio XII, Lett. Enc. Mystici corporis: Denz., n. 3821) ».
Questa è l'unica
proposizione del Documento riguardante il rapporto tra Cristo e la Chiesa cattolica da una parte e le altre religioni dall’altra,
in cui è espressa come deve essere la verità.
Ma questa è l’unica
proposizione non gravata dall’abito ecumenico, non viziata dalla forma che fa della Chiesa una serva delle altre religioni,
del Cristo un mendicante di verità, perché è l’unica formula ricavata da un insegnamento precedente
l’ultimo concilio, e da esso non intaccato.
E. M. R.
10 giugno
2001
Santissima
Trinità
Qui di seguito si dà
il testo della Dichiarazione Dominus Iesus chiosato nella sua unità originale:
« La Chiesa cattolica
nulla rigetta di quanto è vero e santo in queste religioni. Essa considera con sincero rispetto quei modi di agire e di
vivere, quei precetti e quelle dottrine che, quantunque in molti punti differiscano da quanto essa stessa crede e propone, tuttavia
non raramente riflettono un raggio di quella verità che illumina tutti gli uomini " (§ 2, cfr. Dei Verbum
n. 4).
« Si avanza l’ipotesi
circa il valore ispirato dei testi sacri di altre religioni. Certo, bisogna riconoscere come alcuni elementi presenti in essi
siano di fatto strumenti, attraverso i quali moltitudini di persone, nel corso dei secoli, hanno potuto e ancora oggi possono
alimentare e conservare il loro rapporto religioso con Dio. Per questo, considerando i modi di agire, i precetti e le dottrine
delle altre religioni, il Concilio Vaticano II afferma che, “quantunque in molti punti differiscano da quanto essa (la Chiesa)
crede e propone, tuttavia, non raramente riflettono un raggio di quella Verità, che illumina tutti gli uomini” »
(§ 8, nella cui nota si precisa: « Conc. Vaticano II, Dich. Nostra aetate, n. 2. Cfr. anche Decr.
Ad gentes, n. 9, dove si parla di elementi di bene presenti “negli usi e civiltà particolari di popoli”;
Cost. dogm. Lumen gentium, n. 16, dove si accenna ad elementi di bene e di vero presenti tra i non cristiani, che possono
essere considerati una preparazione all'accoglienza del Vangelo »).
« Certamente,
le varie tradizioni religiose contengono e offrono elementi di religiosità, che procedono da Dio (in nota: «
Sono i semi del Verbo divino – semina Verbi – che la Chiesa riconosce con gioia e rispetto – cfr.
Conc. Vaticano II, Decr. Ad gentes, n. 11; Dich. Nostra aetate, n. 2 »), e che fanno parte di “quanto
opera lo Spirito nel cuore degli uomini e nella storia dei popoli, nelle culture e nelle religioni” (Giovanni Paolo II,
Lett. Enc. Redemtoris missio, n. 18). Di fatto alcune preghiere e alcuni riti delle altre religioni possono assumere un
ruolo di preparazione evangelica, in quanto sono occasioni o pedagogie in cui i cuori degli uomini sono stimolati ad aprirsi all’azione
di Dio (ibidem, n. 29). Ad essi tuttavia non può essere attribuita l’origine divina e l'efficacia salvifica ex opere
operato, che è propria dei sacramenti cristiani (Cfr. Conc. di Trento, Decr. De sacramentis, can. 8, de sacramentis
in genere: Denz., n. 1608) » (§ 21).
« Se è
vero che i seguaci delle altre religioni possono ricevere la grazia divina, è pure certo che oggettivamente si trovano
in una situazione gravemente deficitaria se paragonata a quella di coloro che, nella Chiesa, hanno la pienezza dei mezzi salvifici
(Cfr. Pio XII, Lett. Enc. Mystici corporis: Denz., n. 3821) ».(Torna a pag. 1 di 2)
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