DIAGNOSI: l’Autore ci spiega che, da quel molto grande e fine pedagogo che è il buon Dio, la Chiesa è stata da sessant’anni abbandonata da Dio a se stessa, così da poter ben vedere cosa le succede se non segue i comandamenti di Dio, posto che col Concilio Vaticano II essa decise esplicitamente di tenere i propri insegnamenti, per la prima volta in duemila anni di Concili ecumenici aperti o diretti da un Papa, al semplice e non vincolante grado d’insegnamento detto “pastorale”, così non impegnando l’infalli-bilità e l’indefettibilità divine che l’avrebbero costretta ad attenersi unicamente alla pura e santa verità, ma con questa scelta perversa e decisamente contraria alla natura sacramentale della Chiesa, nelle persone dei suoi Papi e della larga maggioranza dei suoi Vescovi, decise di abbandonare Dio senza dirlo a nessuno, cioè senza confessarlo nemmeno a se stessa, e dunque scelse di smollare l’unico legame che la stringe davvero a Dio, come Dio stesso ci ricorda ben cinque volte, p. es. quando dice: «Se mi amate, osserverete i miei comandamenti» (Gv 14,15), e i Suoi comandamenti sono i Suoi insegnamenti, raccolti nell’assolu-tamente immutabile dottrina che l’uomo ha l’obbligo di seguire se vuole salvarsi.
Giovanni XXIII e Paolo VI, prendendo la grave decisione di non vincolare gli insegnamenti conciliari al grado dogmatico, si assicurarono la libertà, così peccaminosamente estorta, di insegnare e di propalare nozioni e dottrine moderniste, compromesse cioè da principi e opinioni di quel mondo liberale ateo, anticattolico e immorale che dalla Rivoluzione francese ha sempre più impregnato l’Occidente, circondando sempre più da presso la Chiesa e anzi infiltrandosi in essa a ogni livello avvelenandola con la grave eresia del modernismo.
Dio non forza la libertà dell’uomo, e se la Chiesa, a cominciare dai suoi Papi e nella sua più larga maggioranza, sceglie di smollare i vincoli che ne assicurerebbero la solidità veritativa, Egli lascia che ciò avvenga, permettendo che essa arrivi persino quasi alle sue estreme conseguenze, cioè quasi alla sua morte, e morte per asfissia, perché la verità è l’ossigeno della Chiesa e la sua mancanza è quindi la perdita dell’ossigeno, riservandosi solo di salvarla in extremis, come ci garantì ben due volte, e oggi, riservandosi solo un Vescovo su più di cinquemila e trecentosessanta, dico uno, ma tanto basta a mantenere la continuità della fede apostolica, quasi con un miracolo, facendone poi fiorire negli anni altri due con altri due miracoli di vero eroismo, per dare termine al castigo e riportare la scapestrata, stolta e gravemente peccatrice «giovane ca mmella leggera e vagabonda» della Chiesa sulla strada dritta, solida e sicura dei Suoi invariabili comandamenti.
In quest’ottica, il libro mette a fuoco quello che, se da una parte è il risultato più appariscente dello scostamento della Chiesa da Dio, al contempo è però proprio la causa prima dello sdegno di Dio verso la Sua Chiesa, parliamo dell’intrinseca e grave colpevolezza del Novus Ordo Missæ, che è l’atto più gravemente implicato nel distacco di cui si è detto del Magistero dalla purezza dogmatica richiesta.
La colpevolezza del NOM è dovuta alla voluta e studiata attenuazione del carattere primariamente sacrificale e dunque essenzialmente in primo luogo verticale della Messa, che ne fa un moto ascendente e poi discendente dello spirito, in mistica adesione al moto sacrificale di Cristo, carattere sostanzialmente svaporato in un appiattimento orizzontale di una “Cena del Signore” tesa a una sentimentale comunione tra uomini, se pur data da una primigenia comunione con Dio, dove però se ne è persa la causa: il moto verticale dato dal previo sacrificio di olocausto di Gesù Cristo a Dio Padre.
CURA: fatta la diagnosi – “intrinseca e grave colpevolezza del Novus Ordo Missæ” –, diagnosi mai da nessuno fatta finora, forse perché avrebbe implicato troppo gravi conseguenze e persino Cardinali come Bacci e Ottaviani non seppero ammettere, nel loro Breve esame critico del Novus Ordo Missæ, che un atto santo come la Messa potesse venir elaborato in una liturgia che, non rispondendo come dovuto a principi tassativamente inderogabili, lo avrebbe anche reso oggettivamente peccaminoso, e in queste pagine viene invece spiegato con grande cura il motivo di tale intrinseca possibilità, divenuta anzi oggi una drammatica realtà, e realtà da correggere quindi al più presto.
Ecco come: in primo luogo con una cura a carattere temporaneo e personale, così da aiutare i celebranti più avvertiti a superare almeno temporaneamente le difficoltà che avranno di certo con i loro Superiori modernisti, trovando nello stesso Novus Ordo Missæ il santo accorgimento per celebrare secondo le sue rubriche, così non dispiacendo ai Superiori, senza però nemmeno dispiacere a Dio, che è l’unica cosa che conta davvero; è poi anche segnalato l’ottimo soccorso che Mons. Viganò ha organizzato istituendo un’Associazione, la Exsurge Domine, dove possono trovare rifugio i sacerdoti che dovessero trovarsi più in difficoltà.
Oltre a ciò, per illustrare come si deve tutta la cura, nelle pagine conclusive del libro non manca poi di essere illustrato quello che a tutt’oggi risulta senz’altro essere l’unico percorso da poter intraprendere, per quanto impervio e da poter in tutta evidenza realizzare solo con l’aiuto di Dio – Dio che però, non a caso, essendo un Dio interventista, redentore e liberatore, si fa chiamare “Dio degli eserciti” –, affinché la Chiesa riesca a liberarsi dalle maglie dottrinali e liturgiche in cui gli stessi suoi sciagurati Pastori l’hanno imprigionata e così tornare a celebrare l’unica santa liturgia che può essere accolta benevolmente da Dio, che per questo l’ha istituita, così da tornare a salvare le anime come si deve, che è l’unico compito che ha la Chiesa.
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