ALTRE
DUE CONSEGUENZE:
UNA PER I RAZIONALISTI, UNA PER GLI IDEALISTI
(Segue) La dimostrazione
per mortem della veridicità degli asserti tomisti è assolutamente congruente, in primo luogo, alla natura
integra dell’uomo costituita da Dio in Adamo e da Dio, ancora, gratuitamente maggiorata da suoi doni aggiuntivi quali l’immortalità
carnale; in secondo luogo è congruente, e tanto più, alla natura umana reintegrata nelle sue primitive facoltà
da GESÙ Cristo, anzi: da lui incrementata, secondo questo particolare aspetto, per via della
nuova potenza conferita dal Cristo alla carne gloriosa, non solo, ovviamente, rispetto alla creazione decaduta, ma anche a quella
primigenia che non partecipava ancora a Dio come vi partecipa chi rinasce nel Cristo teandrico: nel Cristo tutto Dio e tutto uomo.
Va
considerata, a questo punto, un’altra di quelle conseguenze direttissime di cui si diceva
all’inizio, che riguarda appunto il Cristo in rapporto alla natura umana.
San Tommaso rileva che
« l’uomo, nella sua creazione, ricevette da Dio questo beneficio, che fino a quando la sua mente fosse rimasta
soggetta al Signore, le potenze inferiori all’anima sarebbero state sottomesse alla ragione, e il corpo all’anima
» (Summa Theol., II-II, q. 164, a. 1). Il disordine provocato dalla mancata sottomissione di Adamo a Dio
provoca la dissoluzione delle altre due sottomissioni, per cui, « la morte, le malattie e tutte le altre miserie corporali
derivano dalla mancata soggezione del corpo all’anima » (ibidem).
In
particolare, se prendiamo la ragione, nell’accezione che se ne dà di facoltà
dell’uomo di formulare giudizi adeguati, congrui, vediamo che essa solo in Cristo riceve
tutta la sua pienezza e svolge tutta la sua potenza, perché solo in Cristo essa viene
a trovarsi legata, come detto all’inizio, alla ragione soprannaturale secondo quella
sottomissione per cui la creatura è sottomessa al suo Creatore. Ancora san Tommaso
più volte mette in evidenza come GESÙ padroneggiasse
in sé le stesse sue emozioni, i suoi sentimenti, e fosse padrone della propria stessa
morte, proprio in virtù dell’uso retto che egli fa della sua ragione, del suo
intelletto: « Con la frase che segue – scrive l’Aquinate – l’Evangelista
descrive la morte di Cristo (“E, chinato il capo, spirò”). Anzitutto ne
viene indicata la causa: poiché avvenne dopo aver chinato il capo. Il che non va inteso
nel senso che avendo egli reso lo spirito, chinò il capo; ma al contrario: poiché
l’inchino del capo sta a indicare l’obbedienza, con la quale volle subire la morte.
Vedi Phil., II, 8: “Si fece obbediente fino alla morte”. In secondo luogo
viene indicato il potere di quel morente: poiché egli “rese lo spirito”,
cioè lo rese per virtù propria. Vedi Ioan., X, 18: “Nessuno toglie
a me la mia anima; ma sono io che la offro da me stesso”. Infatti, come nota Agostino,
nessuno ha in sé il potere di dormire quando vuole, come Cristo aveva invece il potere
di morire quando voleva » (In evangelium Ioannis expositio, n. 2452).
Allora
ci sono più chiare anche le parole di sant’Agostino lette all’inizio: «
Dio fece l’uomo in modo che potesse godere l’immortalità, fino a che
non avesse peccato; cosicché egli stesso doveva essere l’artefice della sua vita,
o della sua morte ». Come avvenne in Cristo: Dio aveva costituito l’uomo con
il lume della ragione naturale e, in sovrappiù, gli aveva fatto dono anche della grazia
soprannaturale, dono che illuminava la mente di Adamo del lume soprannaturale con il quale
egli, nota l'Angelico, si conformava al detto della Scrittura: « Dio fece l’uomo
retto » (Eccle., VII, 30). Cristo, nuovo Adamo, ma più perfetto Adamo,
in quanto uomo, non avendo peccato godette dell’immortalità che si era procurata
per perfetta obbedienza al divino Padre.
Vogliamo
mettere bene in luce quanto fosse necessaria all’integrità dell’uomo (compresa
la sua immortalità fisica), la presenza della grazia, non a caso chiamata dall’Angelico
anche « dono » dovuto a una « giustizia originale »,
1 presenza a volte sottovalutata dagli uomini. E citeremo ancora san
Tommaso: « L’integrità stessa di quello stato primitivo, nel quale Dio
aveva creato l’uomo, […] esigeva che questi fosse creato in grazia. Questa integrità
infatti consisteva nella subordinazione della ragione a Dio, delle facoltà inferiori
alla ragione, e del corpo all’anima. La prima di queste subordinazioni era causa della
seconda e della terza; fino a che, infatti, la ragione fosse stata subordinata a Dio, anche
le facoltà inferiori sarebbero rimaste sottoposte ad essa, come fa osservare sant’Agostino.
Ora, è evidente che la subordinazione del corpo all’anima e delle facoltà
inferiori alla ragione non era dovuta alla natura; altrimenti sarebbe rimasta anche dopo il
peccato, poiché le doti naturali sono rimaste anche nei demoni dopo il peccato, come
afferma Dionigi.
«
È chiaro quindi che anche la prima subordinazione, cioè la subordinazione della
ragione a Dio, non dipendeva esclusivamente dalla natura, ma dal dono soprannaturale della
grazia. […] Perciò sant’Agostino scrive che, “appena compiuta la
trasgressione del precetto, venuta loro a mancare la grazia, [Adamo ed Eva] si vergognarono
della nudità del loro corpo; sentirono infatti il moto della loro carne disobbediente,
quale castigo proporzionato alla loro disobbedienza”. Da ciò si comprende che,
se l’obbedienza della carne allo spirito venne a mancare con la sottrazione della grazia,
le facoltà inferiori erano soggette in forza della grazia presente nell’anima
» (Summa Theol., I, q. 95, a. 1).
Al
venire meno della grazia, da cui riceve il lume soprannaturale che gli dà rettitudine
d’intenti, autocontrollo, possedimento della scienza delle cose, al primo uomo viene
meno la vita e il suo corpo viene offerto alla decomposizione. Egli porta disordine nel legame
che subordinava la sua ragione naturale al lume soprannaturale dato dalla grazia, sicché
questo disordine si ritorce immediatamente contro di lui: le facoltà inferiori della
sua natura si ribellano all’integrità non più retta dalla luce
divina e la loro ribellione porta tutto l’uomo in cui albergavano a decomporsi.
Tre
sono le decomposizioni. Decomposizione spirituale: l’anima non è più atta
a vedere Dio e muore (Inferno) decomponendosi dalla grazia che la componeva a Dio; decomposizione
intellettuale: la ragione, padroneggiata dalle potenze inferiori, cade nell’errore e
nell’ignoranza (i mali spirituali) decomponendosi dalla perfetta teoreticità
che la legava univocamente e limpidamente alla realtà sensibile; 2 decomposizione carnale:
il corpo perde la sua forma (l’anima) e si decompone in materia minerale.
Questo vuol dire che c’è una relazione diretta tra Logos e Thanatos,
tra Ragione e morte, tra Somma Sapienza e mortalità umana.
Il vero legame di Thanatos
non è quello erroneamente celebrato con Eros (amore di dilezione), ma quello con Logos (Ragione, anzi: Ragione
di Amore 3), da cui dipende immediatamente, direttamente: « Cristo GESÙ,
il quale annullò la morte » (I Tim., I, 10): Cristo, cioè l’unione teandrica tra Logos,
l’Intelletto divino, e l’integro intelletto umano. 4 Quindi il Logos divino, in unione
ipostatica con l'intelletto umano non ferito dal peccato, annullò la morte, Thanatos, conseguenza del peccato.
Solo
l’Incarnazione del Logos divino poteva restaurare l’ordine sconvolto dalla
mente del primo uomo, mente disobbediente, mente disordinata, ricapitolando in un unico imperativo
d’obbedienza i tre ordini enunciati da san Tommaso: il corpo all’anima, le facoltà
inferiori alla ragione, la ragione a Dio. Il Logos divino « ricapitola in
se tutte le cose, quelle visibili e quelle invisibili » (Eph., I, 9). Le
visibili, cioè le facoltà naturali; le invisibili, cioè le potenze soprannaturali.
Le prime non possono vivere, non possono sopravvivere, senza le seconde. E cosa è mai
vivere o sopravvivere se non si vive a lungo, anzi se non si vive per sempre, anzi: nell’eternità?
5
L’uomo,
anche il più severo razionalista, non ha scampo: la sua immortalità può
raggiungerla sì con la ragione, come sempre ha sostenuto, ma solo se è la ragione
divina incarnata chiamata Cristo, come ha sempre negato. In altri termini: la ragione
umana non può assolvere alla sua funzione ordinatrice e dominatrice se non è
sottomessa alla grazia soprannaturale, alla fede, che le è estranea nel senso di estrinseca
e non nel senso di avversa; e che le è superiore.
Date
queste condizioni il razionalista, che tanto bene ripone nella ragione, può cogliere
il bene essenziale e primario che la ragione offre: la ragione offre all’uomo la vita.
La ragione è l’unica facoltà capace di dare all’uomo la vita. Vita
eterna essendo la Ragione eterna.
L’abbiamo già
rilevato: la vita, la storia, l’universo, la realtà più materiale, esistono solo in virtù di una realtà
immateriale, pura come puro è l’intelletto, cui pochi riconoscono il carattere fontanile e sorgivo che gli spetta.
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1 Summa
Theol. I, q. 100, a. 1: « La giustizia originale, in cui fu creato il primo uomo,
era un “accidens” appartenente alla natura della specie, non come cosa prodotta
dai principi essenziali della specie, ma come un dono, elargito da Dio a tutta la natura.
E questo è evidente, perché gli opposti appartengono a un unico genere: ora,
il peccato originale, che si contrappone a tale giustizia, è denominato peccato di
natura; ed è per questo che si trasmette di padre in figlio. E per tale motivo i figli
sarebbero stati simili ai loro genitori nella giustizia originale ».
2 Cfr. Summa Theol., I, q. 94, a. 1: « La rettitudine
dell’uomo creato da Dio consisteva nel fatto, che le creature inferiori erano subordinate
alle superiori, e le superiori non erano ostacolate dalle inferiori. Quindi il primo uomo
non trovava impedimento nelle cose esteriori alla contemplazione chiara e continua degli effetti
intelligibili da lui percepiti per l’irradiazione della prima verità, mediante
la cognizione sia naturale che gratuita ».
3 Cfr. Summa Theol., I, q. 43, a. 5, ad. 2: « Il Figlio
è Verbo, ma non un verbo qualunque, bensì un verbo che spira l’Amore
»; anche sant’Agostino, De Trin., 9, 10: « Cognizione piena di
Amore ».
4 Il celebre asserto per cui « forte come la morte è
l’amore » (Cant. VIII, 6b), lega eros a thanatos nella
potenza; ma l’amore dipende dall’intelletto, che, come appena visto, lo formula,
descrive, conosce; questa identificazione dell’amore come cognizione d’amore,
e non come un qualsiasi amore, permette il successivo atto di volontà – amare
– « forte come la morte ». Dunque forte come Thanatos è
propriamente Logos. Questo è fatto da precisare, a contrasto della diceria che
fa credere che gli affetti siano forti come la morte (cioè più forti): no, non
gli affetti ma il unicamente il soprannaturale Amore spirante dal soprannaturale Verbum.
L’asserto infatti è preso dalle sacre Scritture, le quali parlano del Cristo
e non hanno senso se viene loro tolto il significato cristico. Cfr. anche: Enrico Maria Radaelli,
Il Mistero della Sinagoga bendata, Effedieffe, Milano 2002, pag. 40, nota 3.
5 San Tommaso distingue tra eternità, proprietà
esclusivamente divina, di cui però godono per partecipazione i beati e per la cui partecipazione
si può dire che essi vivono ‘nell'eternità’, in Dio, e il
tempo imperituro dell’inferno vissuto dai demoni e dai dannati. È differenza
di specie, perché nell’eternità, essendo essa tutta insieme, non vi è
il procedere del tempo che si dà invece fuori dalla visione di Dio, e che anzi costituisce
un aspetto, e non l’ultimo, della pena: « Il fuoco dell’inferno è
detto eterno unicamente perché non finirà mai. […] Quindi nell’inferno
non vi è vera eternità, ma piuttosto il tempo, secondo la frase del Salmo: “Il
loro tempo si estenderà per tutti i secoli” (Psal. 80, 16). »
(Summa Theol., I, q. 10, a. 3).
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