CONCLUSIONE:
L’IMMORTALITÀ DEL CORPO È
CONVENIENTE ASSOLUTAMENTE
AL FINE DELL'UOMO.
(Segue) Quindi
anche la perennità della vita corporale è dello stesso genere degli altri accidenti più o meno sostanziali
(gambe, occhi, memoria, intelletto, ecc.). Essa contribuisce positivamente a formare, come quelli, la natura dell’uomo;
quindi la perdita della vita corporale è una privazione; quindi la natura dell’uomo non prevede la morte in quanto
caduta di questa corporale perennità; quindi essa va davvero intesa con san Tommaso come natura integra secondo quanto
le fu provvisto per divina provvidenza mediante la giustizia originale.
Questo
è l’argomento fortissimo per cui si dimostra che al corpo dell’uomo è
assolutamente conveniente e che sia immortale e che ne abbia l’anelito. La morte è,
come l’amputazione, come la caduta della vista, della memoria, dell’intelletto,
una privazione. Non un’intrinseca mancanza (come le ali o come la capacità
di leggere il pensiero altrui, o come l’incapacità di creare dal nulla qualcosa),
ma una privazione.
Il
sentimento che si avverte davanti ad essa ne è, nella sua terribilità, la prova
esimia.
Sotto la sua luce, molte
cose possono acquistare nuovo spessore. Prendiamo ad esempio un’antica « Omelia sul Sabato santo ». In
essa l’anonimo autore sembra quasi seguire il Logos divino incarnato nel Cristo nella sua discesa negli inferi, dove
era atteso da tutti gli uomini che sperarono in lui e che là lo attendevano, nell’ombra della morte, a cominciare
da Adamo ed Eva.
Entriamo anche noi con
lui nelle viscere della terra: « Appena Adamo, il progenitore, lo vide, percuotendosi il petto per la meraviglia, gridò
a tutti e disse: “Sia con tutti il mio Signore”. E Cristo rispondendo disse ad Adamo: “E con il tuo spirito”.
E, presolo per mano, lo scosse, dicendo: “Svegliati, tu che dormi, e risorgi dai morti, e Cristo ti illuminerà. Io
sono il tuo Dio, che per te sono diventato tuo figlio; che per te e per questi, che da te hanno avuto origine, ora parlo”
». Ma come hanno avuto origine, da Adamo, i suoi innumerevoli figli, gli uomini, se non dal suo corpo, cioè da quella
parte dell’uomo atta a generare? E, se tanta parte ha avuto la carne nel costituire gli uomini, parte necessaria, insostituibile
e sostanziale, può essa carne non partecipare alla gloria cui sono condotte dalla mano di Cristo le anime degli uomini
che hanno creduto in lui? Può la carne che ha generato il Cristo, con la quale l’uomo peccò, ma con la quale
il Cristo obbedì, patì, morì, non partecipare all’ordine primigenio ristabilito del creato, anzi, ancor
più: al nuovissimo ordine portato dal Cristo, di cui il primo ordine era figura?
No, non può, perché
essa carne, che fu mezzo imprescindibile al disordine, fu mezzo imprescindibile a ristabilire l’ordine. Quindi essa è
parte necessaria al definitivo nuovo ordine, in quanto questo si dà in tutta la sua compiutezza solo se se ne mostra il
dominio in tutta la sua estensione: non solo nella gradazione spirituale e immateriale, ma anche e pariteticamente nella gradazione
corporale.
« …E nella
mia potenza ordino a coloro che erano in carcere: Uscite! A coloro che erano nelle tenebre: Siate illuminati! A coloro che erano
morti: Risorgete! A te comando: Svegliati, tu che dormi! Infatti non ti ho creato perché rimanessi prigioniero nell'inferno.
Risorgi dai morti. Io sono la vita dei morti. Risorgi, mia effige, fatta a mia immagine! Risorgi, usciamo da qui! Tu in me e io
in te siamo infatti un’unica e indivisa natura ». Il Logos divino non ha creato la carne dell’uomo
perché rimanesse prigioniera nell’inferno: anch’essa, partecipando dell’immagine del Dio fatto carne,
deve uscirne tanto quanto ne esce la carne del Cristo.
L’effige di Cristo
nell’uomo non è propriamente solo l’anima dell’uomo, il suo intelletto, 1 forma
vivificatrice del suo corpo, ma anche la materia del corpo, in cui sono impresse, a somiglianza di Cristo, tutte le sue pene,
i suoi triboli, le sue spine. Il Cristo ricevette dalla sua carne tutti gli stimoli sensoriali per conoscere i suoi fratelli;
oltre a ciò, nella sua carne risiederono tutti i sentimenti che egli con la ragione dominò, come abbiamo visto;
infine, attraverso la sua carne fu tentato da tutte le malvagie passioni che egli rigettò.
Il Cristo quindi si riappropriò
del corpo, riordinandolo nell’ordine primitivo. E non solo si riappropriò del corpo suo, ma anche dei corpi di tutti
gli uomini speranzosi in lui, uomini che egli, attraverso il santo autore dello scritto anonimo proposto dalla Chiesa in Sabato
santo, chiama « unica e indivisa natura ».
Contro tutte le eresie
spiritualiste (il calvinismo, per esempio) va detto che l’uomo rinato in Cristo è « unica e indivisa natura
» di Cristo in due modi: eminentemente nell’intelletto, con il quale si è conformato alla verità e alla
volontà dell’intelletto del Cristo nella fede. In grado inferiore nel corpo, nel quale e con il quale si manifesta
la conformazione, come nel corpo si manifestò la conformazione del Cristo alla volontà del Padre attraverso passione
e morte. Classico esempio della conformazione dei corpi battezzati al corpo di Cristo è quello di san Francesco e san Pio
di Pietrelcina: nelle stigmate è evidente al massimo grado a quanto può giungere la partecipazione anche materiale
della natura umana a quella divina del Cristo.
La virtù per la
quale si ha questa conformazione è data dalla santissima eucaristia, il sacramento principe per il quale si hanno tutti
gli altri, sacramento di unione reale e mistica dell’uomo a Dio, sacramento realizzato nel corpo, sacramento che agli angeli
non è dato avere: può forse il corpo che ha ricevuto in sé quello di Cristo sotto le sacre specie eucaristiche,
rimanere decomposto e vile in eterno? Non sarebbe questo un sacrilegio, una profanazione, nei confronti delle sacre specie entrate
a partecipare fisicamente, misticamente, spiritualmente, di quel corpo? Ecco perché dal Cristo esce il fatidico comando:
« Risorgi dai morti. Io sono la vita dei morti. Tu in me e io in te siamo infatti un’unica e indivisa natura
». 2 (Segue)
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