Chi
studia l’arte sacra degli anni a cavallo tra l’Otto e l’inizio del Novecento rimane colpito dallo scarto tra
l’arte cattolica italiana e la moderna cultura visiva che si stava sviluppando allora in Europa. Infatti mentre a Loreto
Faustini, Maccari e Seitz esaltavano ancora il Medioevo, Gaugin partiva per Tahiti, Van Gogh inventava un nuovo linguaggio pittorico,
Toulouse Lautrec dipingeva ballerine nelle bettole parigine e il norvegese Munch produceva l’angoscioso L’urlo!
Nel 1900 Sigmund Freud pubblicherà L’interpretazione dei sogni, a cui farà seguito nel 1907 la Evoluzione
creativa di Henri Bergson, con la sua visione dell’esistenza come un incessante fluire: pura durata irripetibile.
Non è solo o principalmente
questione di diversità di stili pittorici (anche fuori della cerchia d’arte sacra, molti artisti erano ancora legati
alla tradizione, e tra i maestri lauretani non manca la sperimentazione stilistica). Il vero scarto era nel modo di concepire
l’uomo, la sua interiorità, il suo rapporto col mondo e la funzione dei suoi gesti creativi.
Alcuni temi ancor oggi
d’attualità si stavano maturando negli anni 1880-90, amari frutti delle rivoluzioni della metà del secolo.
Destavano serio interesse gli scritti di Mikhail Bakunin, il terrorista che predicava « la passione per la distruzione
» come una forma di creatività umana, e suscitavano ancora entusiasmo scritti di Richard Wagner quali L’arte
e rivoluzione e L’opera d’arte del futuro. Wagner che, in un articolo stilato dopo l’abortiva insurrezione
di Dresda del 1849 (a cui aveva preso parte), aveva caratterizzato la Rivoluzione come « il sogno, il balsamo, la speranza
di tutti che soffrano ».
Da Wagner scende in linea
diretta Friedrich Nietzsche, che nel Crepuscolo degli idoli esalta come unica autentica ispirazione dell’arte «
l’ebbrezza” in tutte le sue forme: sessuale, bellica, sadica, distruttiva. Ecco, tra questi dolori
del parto del mondo contemporaneo, mentre Pablo Picasso manda in frantumi il volto umano con i primi saggi del cubismo, e Marcel
Duchamps traduce Bergson in pittura con il Nudo che scende le scale (1912), in nome della Chiesa i pittori di Loreto
continuano a evocare un medioevo miticizzato, la dolcezza del Beato Angelico, l’aulica dignità di Raffaello. Che
cosa era successo? Perché la Chiesa non riusciva più ad esprimersi nell’arte?
La crisi dell’espressione
religiosa ottocentesca – una sorta di vero e proprio ‘esaurimento poetico’ – va compresa, io credo,
nel contesto della sistematica demolizione di ogni struttura mitica su cui la cultura dei secoli precedenti si era fondata:
la caduta delle fedi, se vogliamo, o, convenzionalmente, la « morte degli dei ». La prima struttura
a cadere (perché la più recente, risalente ‘solo’ al Rinascimento) era quella dell’Antichità
classica: un celebre disegno di Henry Fuseli, del periodo napoleonico, ne evocava il decesso, mostrando l’artista che
piange davanti alle grandiose rovine del passato.
Il primato della cultura
greco romana, che dal XVI al XVIII secolo aveva dato all’Europa un senso delle radici storiche delle sue istituzioni,
venne ridimensionato dalla crescente familiarità con altre culture, soprattutto orientali e primitive, dall’inizio
dell’Ottocento in avanti. A differenza del Rinascimento, che grazie a una visione teologica inclusiva aveva assimilato
i dati resi disponibili dall’archeologia, l’Ottocento sviluppa presupposti scientifici che invitano alla mera classificazione
tassonomica; la seconda parte del secolo vede infatti la proliferazione di musei e dipartimenti di etnografia e di antropologia
nelle capitali e università europee. Così l’importanza del passato greco romano per la costruzione del presente
– indiscussa da Dante a Diderot – veniva relativizzata, e i valori di comportamenti individuali e collettivi, nonché
i grandi ideali sociali ereditati da Atene e da Roma, non avevano più l’autorevolezza di un tempo.
Le implicazioni di questo
crollo per l’altra grande struttura portante dell’identità europea, il Cristianesimo, erano immense,
incalcolabili. Da una parte, i sistemi ‘alternativi’ di fede e morale che si stavano allora scoprendo, a differenza
della cultura greco romana non avevano legami organici con gli inizi della cultura cristiana, che così veniva completamente
relativizzata, non più vista come la naturale sintesi della civiltà greca e quella ebraica in una nuova realtà
comprendente tutto il passato, ma solo come un sistema tra tanti.
Centrale agli studi antropologici
ed etnografici dell’Ottocento era poi l’idea, corrispondente al darwinismo popolare, del ‘progresso culturale’;
questa, illuminata dalla nuova disciplina sviluppata da Herbert Spencer e Emile Durkheim, la sociologia, sembrava dare una base
oggettiva all’ostilità liberale nei confronti di tutte le istituzioni dell’ancien régime, e in primo
luogo della Chiesa.
Al livello della cultura
di massa, simili atteggiamenti si servivano ancora del linguaggio anticlericale dei pamphlet di metà secolo, come l’opera
pubblicata a Parigi nel 1847, Les mystères de l’Inquisition, dove l’autore informa il suo pubblico
che « da venti secoli la terra è stata consegnata ai tiranni, cioè ai re e ai preti »,
e il frontespizio fa vedere scene appunto dell’Inquisizione spagnola (Victor de Féreal, Les mystères
de l’Inquisition).
Feuerbach aveva già
applicato questa logica al Protestantesimo, e in Inghilterra Spencer all’Anglicanesimo. Auguste Comte, discepolo del socialista
Henri de Saint-Simon (fondatore del così detto ‘Nouveau Christianisme’ degli anni 1820), nel 1854 pubblicò
il suo Sistema di filosofia positiva, prospettando una nuova religione fatta di scienza, progresso e humanité,
e dieci anni dopo Jules Michelet ne diventò l’apostolo.
« Bisogna
fare dietro-front », scrisse Michelet nella sua Bibbia dell’umanità, « e rapidamente
e con coraggio voltare le spalle al Medioevo; voltare le spalle a quel passato morboso che ci contagia di morte. Non combattetelo,
non criticatelo; piuttosto dimenticatelo: dimenticatelo e andate avanti, avanti alle scienze della vita, ai musei, alle scuole,
al Collège de France! ».
Per chi invece non voleva
cancellare il cristianesimo, c’erano problemi d’altro tipo. Se la popolare Vita di Gesù pubblicata
nel 1835 dal tedesco David Friedrich Strauss aveva praticamente disatteso il Cristo storico, trasformandolo in puro concetto
– un momento privilegiato in uno schema hegeliano di sviluppo della mente universale – l’analoga ‘biografia’
pubblicata da Ernst Renan nel 1863 imprigionava il Redentore nelle circostanze storiche del suo tempo, riducendolo a mero uomo:
accattivante, grande maestro di umanità, ma solo un uomo. Per Renan Cristo rimane preminente tra tutti i grandi della
storia spirituale, ma non unico: non la presenza definitiva di tutta la storia, capace di illuminare ogni aspetto della vita
dell’uomo.
Nell’arte come
nella letteratura, il Nuovo Testamento (come già l’Antico) si riduce a romanzo storico. L’apparizione
della testa del Battista a Salome di Gustave Moreau, del 1876 (che sarà d’ispirazione a Oscar Wilde per la
sua tragedia sul medesimo argomento, proibita dalle autorità britanniche ma presentata a Parigi nel 1894 da Sarah Bernhardt),
è un esempio famoso. Va senza dire che, nel dipinto di Moreau come nel pezzo teatrale di Wilde, tra l’orientalismo
lussureggiante e l’intrigo erotico, il Precursore del Vangelo finisce per essere irriconoscibile.
Gli studi etnografici
ottocenteschi avevano diffuso la conoscenza di sistemi mitici alternativi, tra cui le leggende germaniche e scandinave su cui
Wagner si era basato per il Niebelungenlied, e il ciclo anglo-celtico relativo al Re Artù. I fratelli Grimm, James
Frazer e di nuovo Renan ripopolavano l’immaginario europeo con dei, eroi e misteriose principesse con poteri magici, provenienti
dalle nebbie di foreste secolari e laghi nordici. La riscoperta dei miti e delle leggende precristiane e primo medievali rientrava
poi nel nuovo nazionalismo promosso a livello quasi religioso dai due principali poteri, l’Inghilterra e – soprattutto
dopo l’unificazione sotto Kaiser Wilhelm I e Bismarck nel 1870 – la Germania. I miti ritrovati formeranno lo sfondo
pseudo-storico delle nuove teorie razziali che, in Germania in particolare, contribuiranno a un senso di messianica vocazione
nazionale.
In tutto questo, il cristianesimo
diventa uno tra molti ‘sistemi mitici’ in cui l’uomo si era espresso in uno stadio elementare del suo sviluppo
evolutivo. La Visione dopo l’omelia di Paul Gaugin (1888), che fa vedere come delle donne semplici della campagna
bretone ‘visualizzino’ la lotta tra l’angelo e Giacobbe descritta dal prete, attraverso il nuovo stile ‘simbolista’
suggerisce la moderna chiave di lettura: l’evento biblico non ha consistenza in sé – viene ridotto a una
vignette nell’angolo superiore a destra. Lo vediamo piuttosto nella ‘prospettiva’ o ‘attraverso’
donne ignoranti, figure di folklore, ognuna con la testa fasciata dell’arcaica cuffia inamidata.
Tre anni dopo, nel 1891,
Gaugin partirà per Tahiti alla ricerca di miti nuovi. In alcune delle opere tahitiane troviamo un consiglio offerto alle
donne: « soyez amoureuses, vous serez heureuses », parole che esprimono il mito dominante dell’Otto
e del Novecento: la sessualità primitiva, che, liberata da convenzioni derivanti dalla moralità giudeo-cristiana,
rende felice l’uomo, anzi, che lo rende più umano, più capace di rapportarsi a se stesso, agli altri, alla
natura (per molti ormai Dio non c’era più).
L’alto sacerdote
di questa nuova fede è Nietzsche, che nel 1872, in La nascita della tragedia, aveva visto la sorgente dell’arte
nell’abbandono dell’artista all’istinto ‘dionisiaco’. Respingendo sia la razionalità dei
filosofi greci, sia l’ideale cristiano di un puro amore fraterno, Nietzsche scriverà – nel Crepuscolo
degli idoli – che l’arte debba esprimere una liberazione della persona, la cui precondizione (che così
diventa precondizione anche della personalità) è l’ebbrezza.
« L’ebbrezza
deve ottenere l’eccitazione di tutto il meccanismo umano; […] non ci può essere creatività artistica
senza l’ebbrezza. Tutti i tipi di ebbrezza, anche di origini diverse, hanno questo potere, ma soprattutto l’ebbrezza
dell’eccitamento sessuale, la più antica e primitiva forma di eccitamento. Ma così anche l’eccitamento
che viene con i grandi desideri, con le grandi emozioni; l’ebbrezza del banchettare, della lotta, dell’impresa coraggiosa,
della vittoria, dell’agitazione estrema; l’ebbrezza della crudeltà, della distruzione […] e finalmente
l’ebbrezza della volontà, di una volontà sovraccarica, gonfia… ».
Certo, davanti all’immagine
complessiva della società del secondo Ottocento – si pensi al celebre dipinto di Georges Seurat, Domenica pomeriggio
sull’isola della Grande Jatte del 1884-86 – un invito alla liberazione dionisiaca è comprensibile: la
posatezza dei modi, delle maniere, degli abiti oggi ci sembra innaturale e soffocante. Ma sappiamo anche che le parole di Nietzsche
serviranno da manifesto culturale al nazismo come ad altre ideologie del primo Novecento, sopravvivendo (liberate ormai dall’apparato
ideologico) nell’edonismo trionfante del dopoguerra nonché nell’impero degli impulsi del periodo attuale.
A tutto questo, né
l’arte né altre forme creative cristiane hanno saputo opporsi, proponendo credibili – o, meglio, affascinati
– alternative culturali. È un peccato d’omissione.
* Canonico della Cattedrale e Camerlengo del Capitolo del Duomo;
Membro del Consiglio d’Amministrazione dell’Opera di Santa Maria del Fiore
e del Comitato d’Indirizzo dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze;
Direttore dell’Ufficio per la Catechesi attraverso l’Arte dell’Arcidiocesi Fiorentina
e Docente presso la Facoltà Teologica dell’Italia Centrale; Presidente della Federazione Internazionale di Guide
Volontarie nelle Chiese Storiche “Ars et Fides”.