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PER UNA FILOSOFIA DEL SENSO COMUNE

Dario Sacchi *

SENSO COMUNE E PROVA
DELL’ESISTENZA DI DIO.

Saggio uscito su: Studi in onore di Antonio Livi,
AA. VV., Per una Filosofia del Senso Comune,
a cura di Philip Larrey, Italianova, Vimercate [Mi], 2009.



Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolica
1. Che le certezze del senso comune includano a pieno titolo anche l’esistenza di Dio non è cosa su cui Antonio Livi – che del senso comune è, non solo in Italia, il massimo teorico contemporaneo – abbia mai avuto dubbi; e questa sua radicata persuasione, se per un verso non può dirsi propriamente in sintonia con gli orientamenti dottrinali prevalsi all’interno delle correnti che nel Novecento italiano hanno tenuto viva la fiammella della speculazione metafisica (è noto d’altronde che nemo propheta in patria!), per altro verso si accorda perfettamente con ciò che in materia di teologia razionale hanno spesso dichiarato, sempre nell’ultimo secolo anche se per lo più senza parlare espressamente di senso comune, molti dei più illustri esponenti del neotomismo di lingua francese.
Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaNon a caso lo stesso Livi ha avuto occasione di citare in un suo libro di questi ultimi anni una pagina di J. Maritain nella quale si afferma a chiare lettere che l’umana conoscenza di Dio è “naturale” non solo in quanto, essendo opera della ragione, non appartiene all’ordine soprannaturale della fede, ma anche in quanto « è prefilosofica e procede secondo il modo naturale, potremmo dire istintivo, con cui avvengono le appercezioni prime dell’intelligenza, prima di ogni elaborazione filosofica o scientificamente razionalizzata » 1 [J. Maritain, Introduzione generale alla filosofia, trad. it., Massimo, Milano 1989, p. 13; citato in A. Livi, La ricerca della verità. Dal senso comune alla dialettica, III ed., Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2005, p. 214.]

Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaMa poi basterebbe sfogliare un’opera a suo tempo meritatamente famosa come Sur les chemins de Dieu di H. de Lubac per trovarvi una vera e propria silloge di affermazioni che vanno nella stessa direzione e che l’autore prese a prestito da studiosi e pensatori di diverse tendenze, non tutti, dunque, propriamente neotomisti o neoscolastici, ma tutti certamente molto autorevoli.
Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaPer limitarci a qualche esempio, si consideri ciò che sulla dimostrabilità dell’esistenza di Dio hanno sostenuto R. Jolivet (« Vi è una forma semplice, comune, universale, accessibile a tutti delle prove di Dio » 2 [R. Jolivet, À la recherche de Dieu, “Archives de philosophie”, VIII, 1931, p. 85; citato in H. de Lubac, Sulle vie di Dio, trad. it., Edizioni Paoline, Alba 1976, p. 82.]), A. Gratry (« Se ci sono vere prove dell’esistenza di Dio… debbono essere alla portata di tutti gli uomini… Bisogna cercare l’origine e la realtà [delle prove] in qualche operazione comune e quotidiana dello spirito umano; trovata poi tale operazione sublime e semplice, basta descriverla e tradurla in linguaggio filosofico. Successivamente se ne dimostrerà il valore scientifico» 3 [A. Gratry, De la connaissance de Dieu, t. I, pp. 45 s.; riportato in H. de Lubac, cit., pp. 83 s.]), M. Blondel (le prove di Dio « più che un’invenzione sono un inventario, più che una rivelazione sono una dilucidazione, una purificazione e una giustificazione delle credenze fondamentali dell’umanità » 4 [M. Blondel, La pensée, t. I, p. 392; riportato in H. de Lubac, cit., p. 84.]), lo stesso de Lubac (« Sotto le variazioni apparenti, lo schema della prova resta identico. Esso è buono, eterno. Più solido del più solido acciaio, è più che un’invenzione della ragione: è la ragione stessa » 5 [H. de Lubac, cit., p. 85.]), L. B. Geiger (« Importa… accentuare la riflessione sull’insieme dei tentativi spontanei con cui l’uomo si eleva a Dio. Le vie propriamente filosofiche non debbono temere questo richiamo delle loro umili origini » 6 [L. B. Geiger, Bulletin de Philosophie, “Revue des sciences philosophiques et théologiques”, 1954, p. 268; riportato in H. de Lubac, cit., p. 111.]), ancora de Lubac (« L’artificio architettato dalla prova sapiente e ponderata non è… che la messa in opera e il controllo razionale di una prova più semplice, più fondamentale e sempre sussistente; prova del tutto naturale e spontanea; prova, forse, in molti casi non formulata ma non per questo meno incisa “nelle pieghe più profonde della natura ragionevole”; prova che non cessa, nel momento stesso in cui le obiezioni sembrano insolubili, di generare una convinzione perfettamente ragionevole, “più forte e più incrollabile di qualsiasi convinzione artificialmente ottenuta” » 7 [H. de Lubac, cit., pp. 113 s.]), e la rassegna potrebbe continuare.

 Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaTutte queste dichiarazioni pongono l’accento, qualcuna ancor più vigorosamente delle altre, su ciò che allo stesso Livi è perfettamente noto e che anche nella sua prospettiva determina una differenza di fondo fra il tipo di innegabilità o di incontrovertibilità che compete all’affermazione dell’esistenza di Dio («la quinta certezza del senso comune») e il tipo di innegabilità che caratterizza invece tutti gli altri giudizi esistenziali inclusi anch’essi in quel sistema organico di certezze che è appunto il senso comune. Si tratta del fatto che quest’ultima innegabilità è il contrassegno di un’autentica immediatezza epistemica, sicché può manifestarsi compiutamente soltanto attraverso un procedimento “elenctico”, o comunque volto a rilevare la “contraddizione performativa” in cui è destinato a cadere chi intenda metterla in dubbio, laddove la prima innegabilità è l’attributo di qualcosa a cui si perviene tramite un’operazione mentale che, “spontanea” e “non tecnica” quanto si voglia, non cessa per questo di essere un’inferenza, ossia una vera e propria mediazione logica. In effetti, anche chi ritenesse eccessiva l’enfasi con la quale nei brani che abbiamo sopra riportato si parla dell’elementarità e dell’universale accessibilità di una sia pur minima conoscenza naturale di Dio, dovrebbe ammettere che in nessuno di essi si attribuisce a una tale conoscenza quell’evidenza in senso proprio che tradizionalmente le viene attribuita dall’ontologismo in tutte le sue forme e che naturalmente corrisponde, nell’essenziale, al tipo di evidenza che secondo Livi compete alle prime quattro certezze del senso comune, ma ad esse soltanto.

Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaL’indubitabilità cui si fa riferimento in quei passi è sempre e comunque l’indubitabilità inerente non già a una presenza diretta bensì alla conclusione cui si giunge allorché, movendo da una presenza diretta, si costruisce su di essa un ragionamento impeccabile. Ma – come lasciava benissimo intendere il più profondo fra i brani che abbiamo citato, dovuto all’autore stesso del libro cui li abbiamo attinti – un’argomentazione che sia così manifestamente impeccabile da approdare a una certezza non meno granitica di quella con cui affermiamo il “mondo”, la soggettività nostra e altrui e l’obbligazione morale (vale a dire le prime quattro certezze del senso comune), può identificarsi soltanto con un’argomentazione che sia così naturale e spontanea – non a caso Maritain diceva addirittura “istintiva” – da configurarsi non già come un ritrovato o una escogitazione della nostra ragione ma, in certo qual modo, come la forma o la legge stessa del suo intrinseco operare, come il dinamismo profondo attraverso il quale si realizza quella mediazione dell’immediato in cui essa, come ragione umana, strutturalmente consiste.
Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaD’altra parte, se tutto questo è vero, ne consegue che le più sottili e ingegnose obiezioni che è e sarà sempre possibile architettare contro la prova di Dio non si riducono ad altro che a raffinati ma capziosi artifici, incapaci di scuotere, per esprimerci alla maniera di uno degli studiosi che abbiamo citato, quello « schema semplice e chiaro della dimostrazione [che] s’incorpora nello spirito al di là e a dispetto di tutte le sottigliezze degli “abili” » 8 [R. Jolivet, cit.; riportato in H. de Lubac, cit., p. 83.]: artifici insomma del tutto vani, perché non potrebbero trarre i titoli della loro legittimità se non da quella ragione umana la cui essenza si manifesta proprio nello schema che essi mirano, velleitariamente, a colpire.

Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolica2. Ora, la verità di tutto ciò non trova forse la sua più inequivocabile conferma proprio nelle fonti extrafilosofiche più autorevoli che possano darsi per un cristiano? Si guardi alla Scrittura, che mediante S. Paolo nella Lettera ai Romani (1, 20) afferma, riferendosi a Dio stesso, che « le Sue perfezioni invisibili, la Sua eterna potenza e divinità, si vedono chiaramente fin dalla creazione del mondo, essendo intese per mezzo delle Sue opere »; e si guardi al magistero della Chiesa, che in particolare nella Costituzione dogmatica Dei Filius del Concilio Vaticano I (1870) ha insegnato che « Dio, principio e fine di ogni cosa, può essere conosciuto con certezza mediante la luce naturale della ragione umana a partire dalle cose create », specificando inoltre ciò che di Dio mediante la ragione è possibile conoscere - la Sua esistenza e i principali attributi della Sua natura - e precisando altresì che tale conoscenza costituisce un necessario presupposto della fede nella Rivelazione (si tratta, com’è noto, di uno dei “praeambula fidei”, insieme con la libertà del volere e con l’immortalità dell’anima). Rivelazione e Tradizione concordano allora nel ritenere la ragione umana capace di conoscere, con le sue sole forze, l’esistenza di Dio come principio e fine di tutte le cose e di elevarsi, mediante l’osservazione delle Sue opere, alla conoscenza dei Suoi attributi di onnipotenza, di perfezione e di bontà.

Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaTale verità, che appartiene di per sé all’ambito della filosofia, è dunque al tempo stesso oggetto di una definizione di fede, implicante ovviamente la riprovazione di ogni forma di agnosticismo: di quell’agnosticismo che, al contrario, è divenuto ormai da tempo l’orientamento egemone nella cultura contemporanea, ivi compresa la cultura cattolica, all’interno della quale esso si presenta, com’è ovvio, con le fattezze del fideismo. Come Livi osserva acutamente fin dalle prime righe di un libro da lui interamente dedicato al problema della conoscenza per fede, questa assoluta prevalenza dell’agnosticismo è attestata dall’accordo pressoché unanime che oggi si registra fra credenti e non credenti nel denominare “fede” anche, e si direbbe soprattutto, quella certezza razionale dell’esistenza di Dio sulla quale si fonda propriamente la “religione naturale”.
Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaUn tale uso lessicale, senza dubbio arbitrario, « non è che l’espressione linguistica del fatto di aver negato ogni consistenza alla metafisica, e in particolare alla “teologia naturale” » 9 [A. Livi, Razionalità della fede nella Rivelazione, Casa Editrice Leonardo da Vinci, Roma 2002, p. 11.]: è insomma l’omaggio più significativo che si possa prestare alla sentenza – tristemente “passata in giudicato” nella coscienza culturale dell’uomo medio del nostro tempo – secondo la quale “dopo Kant” non esiste più una metafisica come scienza né, soprattutto, ha più senso ritenere che possa esserci qualcosa come una valida “dimostrazione dell’esistenza di Dio”.

Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaMa può davvero meritare il nome di “fede” quella pura opzione immotivata che, in un simile clima culturale, alcuni degli agnostici (inevitabilmente una minoranza, con ogni probabilità destinata per giunta ad assottigliarsi sempre più) si dicono disposti a innestare sul loro agnosticismo? O non sarà vero, piuttosto, che una credenza siffatta è solo l’esempio più macroscopico che possa darsi di quello stile di pensiero, efficacemente denominato dagli Inglesi wishful thinking, al quale nessuna persona dotata di normale avvedutezza e buon senso – tanto meno se appartenente al novero dei “semplici” 10 [Sul madornale equivoco che a nostro parere ha sempre avvolto la nozione di “fede dei semplici” diremo qualcosa più avanti.] vorrebbe mai affidarsi, almeno nelle questioni che le stanno realmente a cuore? E, fra gli agnostici, i più disposti ad abbracciare una simile “fede” non saranno proprio quelli emotivamente e psicologicamente più fragili?
Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaPer esprimerci nel modo più chiaro possibile: se io sono davvero persuaso che le due nozioni, strettamente correlate fra loro, di una Causa prima dell’universo e di un universo che non esisterebbe se non avesse in Altro la sua  origine non hanno valore obiettivo ma si riducono essenzialmente a prodotti dell’immaginazione, ebbene, che cos’altro potrebbe indurmi ad affermare la realtà di un Trascendente? Forse che il credito che in tal senso nego alle suddette nozioni potrei concederlo a un mero desiderio della cui realizzabilità un Trascendente mi apparisse come garante?

Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaPer esempio a un mio eventuale desiderio di immortalità comunque motivato (avversione per la prospettiva di un annullamento totale del mio essere, incapacità di sopportare il distacco da una persona cara, anelito a una condizione nella quale poter instaurare con il mio prossimo rapporti morali più autentici di quelli che mi appaiono possibili in questa vita, o qualsivoglia altro movente, non importa se nobile o egoistico, prosaico o elevato)? 11 [Si noti che le difficoltà intrinseche a una simile prospettiva sono almeno due: oltre all’irrazionalità insita nel fatto stesso di credere che qualcosa sia vero solo perché lo desidero, occorre poi considerare che una qualche possibilità di vita dopo la morte potrebbe in fondo essere garantita anche soltanto dall’esistenza di una generica dimensione non-materiale della realtà intesa come semplice integrazione del mondo fisico (si pensi all’attuale popolarità e diffusione di concezioni para – pseudo – orientaleggianti tipo New Age ecc.) e quindi non esplicante necessariamente nei confronti di tale mondo la funzione di principio o di fondamento che è invece essenziale a un Divino in senso proprio e che difficilmente sembra afferrabile dalla nostra mente se non come esito logico di quella considerazione dei caratteri più universali dell’esperienza (molteplicità, divenire…) che dall’agnostico è notoriamente ritenuta insufficiente all’uopo.]
Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaPiù in generale: potrei mai credere, realmente e sinceramente, che le cose stanno in un determinato modo (e non semplicemente sperare o magari scommettere che stiano così: due verbi, questi, che solo in conseguenza di un gravissimo equivoco la tradizione fideistica moderna e contemporanea ha potuto contrabbandare come sinonimi di “credere”) se fossi persuaso che a favore di quell’ipotesi non c’è nient’altro che il mio desiderio che essa sia vera o – ma dal punto di vista logico è esattamente la stessa cosa – la mia riluttanza ad ammettere che possa essere vera l’ipotesi contraria?

Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaSe in omaggio a un abusato luogo comune del fideismo moderno si ritiene che la fede religiosa, più che solidamente fondata per non essere vana, debba essere libera e gratuita per poter essere meritoria, si dovrà poi riconoscere che la gratuità e il merito che da questa scaturisce sono qualcosa che si addice, ben più che a una credenza propriamente detta (che è un assenso dell’intelletto), a un generico impegno esistenziale poggiante su base volontaristica: nel quale infatti, come dicevamo poc’anzi, la mentalità modernistica che è ormai penetrata anche in campo cattolico tende a risolvere integralmente la fede come tale (e dal suo punto di vista non a torto, perché non si vede quale altro tipo di “fede” sia accessibile a chi teoreticamente si professa agnostico).
Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaNon a caso l’apologetica tradizionale, nel suo privilegiare la componente razionale dell’atto di fede 12 [Sempre, anche quando l’atto di fede concerne specificamente le verità rivelate, perché anche in questo caso deve ben poggiare su precisi motivi di credibilità, sia pure riguardanti fatti storici anziché questioni purae rationis.], era propensa – almeno in linea di principio e fatte salve, beninteso, le immense difficoltà con le quali non può non scontrarsi qualsiasi valutazione umana in questo campo – a ravvisare più una valenza colpevole nell’attitudine mentale dell’incredulo che non una valenza meritoria nell’attitudine del credente. In fondo essa mirava a dimostrare qualcosa che per la mentalità oggi prevalente negli stessi ambienti religiosi suona come un inconcepibile paradosso, e cioè che la volontà ha un peso più determinante sulla scelta di non credere che su quella di credere e che dunque la posizione autenticamente “fideistica”, nel senso di “maggiormente dipendente da una semplice opzione”, è proprio quella dell’agnostico (e a fortiori, ovviamente, dell’ateo): appunto perché, di fronte a conclusioni che si presentano come eminentemente ragionevoli pur senza essere in grado di operare una vera e propria reductio ad absurdum della loro negazione, la decisione di permanere nel dubbio è indice di un’ostinazione che non ha nulla a che vedere né con un atteggiamento di spassionata ricerca della verità né con un proposito di sana prudenza di fronte a un reale pericolo di cadere in errore. 13 [Senza contare che, come abbiamo già intravisto alla fine del paragrafo precedente, anche di fronte a un’autentica evidenza logica come l’esistenza di Dio, costruita sulla rigorosa confutazione dell’ipotesi opposta ossia dell’originarietà del mondo, è sempre possibile sollevare obiezioni speciose: proprio su quest’aspetto torneremo nel prossimo paragrafo. Ma in fondo è legittimo sospettare che chi non desiste dal sollevare obiezioni del genere, qualora per avventura fosse posto di fronte a una inaudita auto-manifestazione del Soprannaturale tale da rendere palesemente insensato qualunque possibile dubbio umano sulla Sua esistenza, reagirebbe non già come chi è lieto di avere superato qualsiasi incertezza e di avere finalmente appreso la verità, ma come chi riceve una pessima notizia, una notizia che non avrebbe mai voluto udire e che con tutto se stesso sperava non fosse vera. Allora ciò che prima appariva soltanto come incredulità, sia pure ostinata, sarebbe costretto a deporre ogni travestimento e a rivelarsi per quel che è veramente, ossia uno stato d’animo al fondo del quale c’è non la negazione di Dio a livello teorico, che di per sé non è certo incompatibile con una qualche “nostalgia” di Lui, ma il desiderio o la speranza che Dio non esista e di conseguenza, nel caso (malaugurato!) che esista, il rifiuto di ogni interlocuzione con Lui, non avendo ovviamente alcun senso un rapporto con una simile “controparte” che fosse improntato a mera volontà di compromesso. Si osserverà a ragione che ciò che si manifesta come ostinata incredulità potrebbe essere effettivamente tale qualora dipendesse da una coscienza invincibilmente – e quindi incolpevolmente – errata: però in tal caso l’ostinazione o pervicacia non sarebbe così forte da non dissolversi al contatto illuminante e salvifico con la Natura autentica di una Realtà che in precedenza veniva disconosciuta solo perché rappresentata, in base a un equivoco, come un simulacro o una caricatura di se stessa. Su questa tematica si veda comunque il nostro Libertà e infinito. La dimensione ereticale del logos, Studium, Roma 2002, pp. 96-97.]  

Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaUn altro pregiudizio tipico della modernità, ma accolto gioiosamente anche in molti ambienti religiosi, è quello concernente, più che l’impossibilità della prova di Dio, la sua inutilità: da che mondo è mondo – si suole osservare non senza una punta di sarcasmo – chi è mai arrivato alla persuasione dell’esistenza di Dio attraverso una dimostrazione filosofica? Se l’esistenza di Dio non fosse anzitutto oggetto di fede, come potrebbe risultare accessibile alla sconfinata legione dei “semplici”, una legione nella quale poi a ben vedere rientrano tutti i fedeli, non esclusi quei pochi “sapienti” che delle prove dell’esistenza di Dio si serviranno tutt’al più per “razionalizzare” a posteriori una credenza alla quale essi stessi, nondimeno, approdarono originariamente per altra via?
Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaNon è facile trovare un’altra argomentazione che, come questa, riesca a conferire una così grande parvenza di plausibilità a una pretesa tanto arbitraria e infondata. È chiaro che tale parvenza si fonda pressoché per intero sull’ovvietà dell’affermazione secondo la quale di regola non si crede in Dio in virtù di una prova filosofica, vale a dire in virtù di una prova tecnicamente elaborata dal punto di vista logico.

Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaMa partendo da quell’affermazione si può saltare alla conclusione che l’esistenza di Dio è qualcosa che di regola viene creduto senza una motivazione razionale, solo a patto di supporre che l’orizzonte della razionalità umana sia interamente coperto dalla razionalità filosofica (e scientifica), cioè solo a patto di ignorare o di trascurare completamente quella dimensione prefilosofica e prescientifica della nostra natura razionale che è il senso comune: esattamente la dimensione sulla quale Livi ha avuto il grande merito di richiamare l’attenzione, per di più mettendone in luce, nell’atto stesso con il quale ne ha rivendicato la portata teologica, l’essenziale rilevanza anche ai fini di una corretta immagine complessiva dell’uomo, ossia ai fini di una valida antropologia filosofica. In realtà anche chi non sa giustificare in maniera tecnicamente soddisfacente la propria persuasione dell’esistenza di Dio non sarebbe mai giunto ad essa se, a partire dalla propria esperienza del mondo, non avesse comunque inferito o argomentato – in maniera certamente rudimentale, eppure secondo un dinamismo che in nuce è strettamente razionale, anzi, come si è visto, è la ragione stessa – una Causa prima o una Intelligenza ordinatrice del mondo stesso. Senza dubbio costui non saprebbe difendere questa sua inferenza da obiezioni che si richiamassero a nozioni o a prospettive di carattere filosofico, perché ciò equivarrebbe a saper formulare una dimostrazione in senso tecnico; ma, se è per questo, non saprebbe difendere validamente da obiezioni di quel genere nemmeno l’esistenza del mondo sensibile, che pure è assolutamente anteriore a qualsiasi mediazione logica e costituisce non la quinta ma la prima certezza del senso comune.

Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaLa prospettiva che stiamo considerando, in ogni caso piuttosto sconcertante nelle sue implicanze a livello propriamente antropologico (a ben vedere essa ci viene a dire che la ragione è qualcosa che governa non le nostre scelte e il nostro comportamento effettivo ma soltanto l’eventuale giustificazione che di tali scelte e di tale comportamento volessimo successivamente – non si sa bene per quali motivi, e soprattutto con quanta sincerità – dare a noi stessi e agli altri), risulta poi del tutto inaccettabile quando tenta di far passare un simile modello come il più adatto a rappresentare la disposizione mentale dei “semplici”.
Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaDiremmo anzi che, se per un verso è certamente ridicolo pensare – ma chi lo ha mai pensato sul serio? – che costoro si possano persuadere dell’esistenza di Dio in virtù di qualcosa come un’argomentazione filosofica, per altro verso è altrettanto e fors’anche più ridicolo pensare che possano persuadersene in virtù di nessuna argomentazione.
Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaSi sostiene infatti che di regola essi arrivano alla credenza in questione per il tramite di una pura opzione, in linea di principio indipendente da qualsiasi ragionamento svolto a partire dalla loro esperienza, e si lascia intendere che proprio in questa indipendenza delle loro opzioni da ogni ragionamento consista la semplicità dei semplici; eppure le cose stanno in maniera diametralmente opposta, perché in realtà proprio un fideismo siffatto è quanto vi possa essere di più estraneo a una mente che sia “semplice” anzitutto nell’accezione etimologica del termine, laddove potrà forse (forse!) allignare in qualche mente sofisticata, cioè per certi aspetti “duplice”. Solo per un grave equivoco, infatti, si può credere che la differenza tra il “dotto” e il “semplice” (differenza che poi, al di fuori di ogni astrattismo, è per lo più quella tra i momenti “semplici” e i momenti “dotti” di un medesimo soggetto pensante) corrisponda alla differenza tra chi ragiona davvero sulla realtà e chi, non ragionando, sostituisce alla ragione la volontà (ossia la “fede”…).

Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaLungi dal non ragionare, il semplice ragiona né più né meno del dotto: solo che – in questo consiste l’unica differenza reale tra i due – ragiona, appunto, da semplice, cioè in una maniera tale che al dotto può apparire (talvolta, magari, a torto) insoddisfacente o addirittura non valida. Anzi la natura umana in quanto natura razionale 14 [A questo proposito è doveroso riconoscere che solo in virtù della dottrina del senso comune così come Livi l’ha elaborata ci è possibile attribuire all’antica e veneranda affermazione che l’uomo è un animale razionale un significato effettivo e non puramente retorico: e questa notevolissima valenza antropologica, cui già abbiamo accennato, non appare certo come l’ultimo dei meriti della suddetta dottrina. In fondo elaborare un’organica teoria filosofica del senso comune significa, fra l’altro, opporsi all’ammissione di un ambito meramente psicologico, cioè di una dimensione della vita cosciente che si caratterizzi proprio per la sua formale estraneità alla sfera intellettiva e che dunque non rechi in sé l’impronta o il sigillo della razionalità; significa far presente che in realtà lo psicologico è già tutto imbevuto e compenetrato del logico, sia pure di un logico ancora latente e solo implicito, in maniera tale che il pensiero che opera ai vari livelli della vita spirituale e all’interno delle sue differenti articolazioni è in sé uno solo. La credenza che una razionalità non perfettamente esplicita e autotrasparente equivalga a una contraddizione in termini – e che perciò fra lo psicologico e il logico non possa darsi alcuna continuità, ma solo una dicotomia netta o un perentorio aut-aut – può apparire ispirata da un ossequio profondo alla maestà del logos, ma di fatto sottrae a quest’ultimo gran parte della sua dignità e del suo valore. La cristallina purezza che sembra attribuirgli è a ben vedere il rovescio di una limitatezza e impotenza sostanziali: le vaste zone dell’esperienza dalle quali una ragione così concepita si ritrae sdegnosamente sono in realtà territori che essa è costretta a lasciare fuori della propria giurisdizione, abbandonandoli a una fondamentale inintelligibilità. ] ha in un certo senso molte più occasioni di vigoreggiare incontrastata nei semplici che non nei dotti, dato che i primi sono costituzionalmente incapaci di vivere quella sostanziale dissociazione fra intelletto e volontà che, come abbiamo visto, trova la sua migliore espressione in una fede intesa come “opzione” e richiede una “duplicità” interiore che non è estranea invece ai secondi: infatti i primi, che sono quasi sempre anche uomini pratici, sono generalmente refrattari a quelle seduzioni dello wishful thinking alle quali, viceversa, si mostrano così spesso sensibili gli intellettuali.
Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaParadossalmente la “fede dei semplici” è, fra tutte, quella che è meno consapevole del suo status di fede, proprio a motivo del suo genuino carattere di tranquilla certezza razionale: al punto che, quando il “semplice” dovesse giungere ad auto-percepirsi così come se lo immaginano certi suoi sedicenti estimatori, ossia come “credente” in senso fideistico, sarebbe lecito trarne la conclusione che per qualche motivo quella sua fede sta vacillando.

Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolica3. Ma qual è, in concreto, questa inferenza spontanea, non formale, non tecnica la cui validità è l’oggetto della quinta certezza del senso comune? Finché non si risponde con precisione a questa domanda tutto ciò che abbiamo osservato finora equivale a una conclusione priva della sua premessa: una premessa che fin qui abbiamo dato per scontata ma che ora è venuto il momento di esplicitare.
Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaL’inferenza in questione non è altro che la seguente: tutto ciò che accade è causato e, siccome non è possibile andare all’infinito nella serie delle cause, esiste una Causa prima dell’universo (intendendo l’universo come l’insieme degli accadimenti – dei “fatti” – e intendendo l’accadere come il cominciare ad essere o il sorgere o il nascere di ciò che prima non era).
Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaPoiché il divieto del regresso all’infinito esprime in fondo qualcosa di ovvio – l’impossibilità di eliminare una contraddizione limitandosi a spostarla –, è facile vedere che il peso del procedimento dimostrativo grava per intero sulla prima parte: tutto ciò che accade è causato. Ebbene, quali difficoltà e obiezioni sono state addotte storicamente contro questo asserto, che corrisponde al principio di causalità nella sua valenza propriamente metafisica?

Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaNaturalmente ci si pone un simile interrogativo ben sapendo che si tratta delle difficoltà e delle obiezioni che hanno propiziato, soprattutto negli ultimi due secoli, il diffondersi sempre più largo della convinzione che a favore dell’esistenza di Dio non ci sia nessuna autentica evidenza razionale e che dunque l’agnosticismo sia l’unica posizione intellettualmente onesta.
Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaNel Novecento la filosofia di ispirazione cattolica è certamente riuscita, grazie all’impegno profuso così in sede storiografica come in sede teoretica da molti suoi illustri esponenti di diverse nazionalità, a dimostrare l’inaccettabilità delle premesse gnoseologiche e metodologiche sulle quali si reggeva la critica kantiana alla metafisica nel suo complesso (e non solo, quindi, alla teologia razionale); si direbbe però che il sia pur fondamentale successo conseguito per questa via abbia sostanzialmente generato in molti difensori della metafisica tradizionale la falsa impressione che fosse in definitiva superfluo entrare nel merito delle obiezioni specificamente rivolte da Kant alle tradizionali prove dell’esistenza di Dio, in modo da fare davvero i conti con i presupposti logico-ontologici, e non solo gnoseologici, della sua critica alla teologia razionale. In particolare, forse, non si è posta la debita attenzione sul fatto che la famosa critica del principio di causalità, grazie alla quale il Kant precritico fu svegliato dal suo “sonno dogmatico”, sollevava comunque un problema che mantiene il suo significato anche al di fuori della cornice gnoseologistica entro la quale si dispone tutta la filosofia moderna da Cartesio in avanti, ivi compresa la soluzione criticistica o trascendentale che da Kant fu poi data al problema stesso.

Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaA dire il vero, elementi per dubitare della validità del tradizionale principio di causalità Kant ne trovava anche negli sviluppi più recenti di quella tradizione razionalistica entro la quale si era formato (si pensi, ad esempio, a Crusius), tanto che qualcuno ha potuto sostenere che anche senza l’influsso di Hume egli sarebbe stato in grado di percorrere il cammino che lo portò a maturare la propria autonoma posizione. Poiché, d’altra parte, è vero che nessun pensatore moderno ha criticato la legge di causalità con la stessa chiarezza con cui la criticò lo Scozzese (non a caso riguardato universalmente come il “classico” di questo argomento), al punto che lo stesso Kant volle rendergli omaggio attribuendo proprio a lui, nella celebre dichiarazione che abbiamo ricordata poc’anzi, il merito del proprio “risveglio dal sonno dogmatico”, faremo senz’altro riferimento anche noi al principale testo humeano in materia, i cui rilievi iniziali vale la pena di riportare qui di seguito pressoché per intero.    
Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolica« … è massima generale in filosofia che tutto ciò che comincia ad esistere deve avere una causa della sua esistenza… [ma] non si può affermare la necessità di una causa per ogni nuova esistenza… senza dimostrare nello stesso tempo l’impossibilità che una cosa cominci mai a esistere senza un principio produttore… Orbene, che la seconda proposizione sia assolutamente incapace di una prova dimostrativa ci è assicurato dalla considerazione che, siccome le idee distinte sono separabili, e le idee di causa ed effetto sono evidentemente distinte, è facile per noi concepire un oggetto non esistente in questo momento ed esistente il momento dopo senza unirvi l’idea, da esso distinta, di una causa o di un principio produttore. La separazione, quindi, dell’idea di una causa da quella di un inizio di esistenza evidentemente è possibile all’immaginazione; e per conseguenza l’attuale separazione dei loro oggetti è tanto possibile da non implicare nessuna contraddizione né assurdità». 15 [D. Hume, Trattato sulla natura umana, trad. it., in Opere, vol. I, Laterza, Bari 1971, pp. 91 s.]

Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaNel seguito della sua trattazione Hume si sofferma a esaminare lo schema dimostrativo che ha caratterizzato i vari tentativi di fondare il principio di causalità riconducendolo a quello di non contraddizione. Egli rileva che in definitiva questi tentativi hanno messo in luce che se una cosa cominciasse a esistere senza una causa, o produrrebbe se stessa, e quindi esisterebbe prima di esistere, oppure sarebbe prodotta dal nulla, cioè avrebbe il nulla come causa.
Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaLa sua risposta è che questo modo di argomentare contiene una petizione di principio, suppone cioè proprio quello che deve essere dimostrato. Infatti solo chi ritiene già che la cosa che comincia a esistere deve avere una causa può concludere che la mancanza di quest’ultima si traduca nella contraddittoria assunzione della cosa stessa a causa sui o nella non meno contraddittoria attribuzione al nulla della funzione causale; ma chi nega veramente il principio di causalità elimina qualunque specie di causa, cioè non ne pone assolutamente nessuna (neppure la cosa stessa o il nulla) e non cade pertanto in nessuna contraddizione. In altre parole: negare il venerando – ma, a quanto pare, infondato – principio ex nihilo nihil fit non significa pretendere che il nulla “produca” qualcosa, il che vorrebbe dire negare contraddittoriamente che il nulla sia nulla, ma significa semplicemente negare che il qualcosa debba essere, in generale, “prodotto” (dopo di che è pacifico che, qualora sia prodotto, non potendo essere prodotto né da se stesso né dal nulla sarà prodotto da altro). 16 [Cfr. ibid., pp. 92 ss.]

Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaSi scorge poi con facilità che colpire l’ex nihilo nihil, mostrando che non si tratta di una tautologia (appunto perché dire “dal nulla non viene nulla” non è la stessa cosa che dire “il nulla è nulla”), equivale a colpire sia il celebre omne quod movetur ab alio movetur, sul quale si regge la prima et manifestior via di S. Tommaso per la dimostrazione dell’esistenza di Dio, sia l’altro non meno classico principio secondo cui “dal meno perfetto non viene il più perfetto” sia tanti altri asserti, di analogo tenore, che sono risuonati spesso nella tradizione metafisica dell’Occidente e che all’ex nihilo nihil tutti, in ultima analisi, si riducono.
Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaNaturalmente non è facilissimo prendere posizione di fronte a quest’argomentazione humeana, a proposito della quale solo una cosa è certa: che il suo valore, reale o apparente, non è neppure scalfito dal crollo dell’edificio che Kant ritenne di dover innalzare su di essa. Che fare, dunque?
Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaDovremo disinteressarcene completamente, sostenendo che, diretta com’è contro un principio universalmente ritenuto per millenni non meno certo che l’esistenza del mondo e dell’io e quindi incluso a pieno titolo nel senso comune (il principio che “dal nulla non viene nulla”), non può essere che un’argomentazione capziosa o speciosa, frutto di una perversa volontà di intorbidare le acque? A ben vedere questa è la posizione assunta, non si sa se consciamente o no, da gran parte della manualistica neoscolastica o neotomistica tuttora in circolazione, la quale non è affatto aliena dal riproporre schemi di dimostrazione dell’esistenza di Dio nei quali la petizione di principio denunciata ormai quasi tre secoli fa dallo Scozzese continua maestosamente a comparire.

Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaMa, quali che fossero le eventuali intenzioni extrateoretiche da cui questi era di fatto ispirato allorché formulò la sua obiezione contro il principio di causalità, esse sono del tutto irrilevanti ai fini del giudizio che possiamo pronunciare sul valore dell’obiezione stessa, così come non basta certo lamentare la speciosità e la falsa sottigliezza dalle quali essa verrebbe infirmata se poi non siamo in grado di individuarle e di smascherarle concretamente: tanto più in un caso come questo, nel quale ci troviamo di fronte all’obiezione che storicamente ha contribuito più di ogni altra al graduale instaurarsi di quel clima culturale 17 [In tal senso la classica espressione “dopo Kant non è più possibile…” dovrebbe a rigore essere convertita in “dopo Hume non è più possibile…”.] entro il quale capita abitualmente che chi si oppone per motivi extrateoretici al riconoscimento dell’esistenza di Dio sia ben lieto di apprendere, anche quando nulla sa e nulla comprende degli aspetti tecnicamente filosofici del problema, che la tendenza prevalente fra le migliori intelligenze che si sono applicate ad esso è quella di non riconoscere all’affermazione che Dio esiste nessun fondamento obiettivo e razionale che possa porla al di sopra di una semplice opzione soggettiva.

Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaProviamo dunque a entrare nel merito della contestazione humeana, per accertarci se non sia possibile fondare o giustificare più radicalmente di quanto non si sia in generale fatto sinora la validità di quel principio di causalità che, come finemente vide E. Gilson, coincide, se riguardato nella sua pura essenza speculativa, con la stessa dimostrazione dell’esistenza di Dio. Nel passo che abbiamo sopra riportato il pensatore di Edimburgo diceva, fra l’altro, che «è facile per noi concepire un oggetto non esistente in questo momento ed esistente il momento dopo senza unirvi l’idea, da esso distinta, di una causa o di un principio produttore».
Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaQuesto è vero, almeno in prima battuta: ed è la ragione per cui non è corretto ravvisare nella causalità, intesa anche soltanto come nesso o vincolo che colleghi fra loro enti finiti, un “principio” propriamente detto ma, eventualmente, sempre e soltanto il contenuto di un teorema, di una mediazione logica. Tuttavia, se è vero che per concepire un ente che sorge non ho immediatamente bisogno di far riferimento a un ente che sia principio del suo sorgere, si tratterà per altro verso di accertarmi se, prima ancora, io possa davvero concepire l’ente che sorge (che nasce, che comincia ad essere, che passa dal non essere all’essere, o come altrimenti si voglia dire) nella sua intrinseca determinatezza: cioè, propriamente, se io riesca davvero a pensare qualcosa allorché pronuncio o scrivo le parole “x comincia ad essere”.

Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaOra, ciò di cui Hume sembra  non avere il minimo sentore è che, a rigor di termini, il cominciare (la cui nozione egli dà assolutamente per scontata, limitandosi a rivendicarne la separabilità dalla nozione di causa) è impossibile: ciò che è, infatti, non comincia perché è già; e ciò che non è non può cominciare (così come, in generale, non può fare alcunché) 18 [Dunque non può nemmeno produrre o causare, come già si era visto sopra: solo che in quel contesto la cosa appariva irrilevante, perché del produrre o del causare non si coglieva la necessità.] perché non è. Questo primo rilievo si può esprimere in forma più perspicua dicendo che porre come soggetto reale o effettivo di quell’evento che chiamiamo nascita di qualcosa l’ente stesso che nasce (ossia il soggetto grammaticale del nascere) significherebbe porre come condizione dell’evento ciò che ne è solamente il risultato.
Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaSi comincia a intravedere, allora, che concepire il divenire come non causato (= autonomo, originario), ossia come privo di condizione estrinseca e limitato esclusivamente alle sue componenti intrinseche, significa trovarsi nell’impossibilità di assegnargli un soggetto reale. E si scorge, pertanto, che l’introduzione di qualcosa come una causa efficiente non ha, alla radice, altra giustificazione che l’esigenza di attribuire un autentico soggetto a quel processo che sfocia nella posizione di un ente distinto dalla causa stessa.

Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaIn altre parole, se concepisco il divenire come “inizio” o “nascita” simpliciter (ossia come sorgere, cominciare ad essere, passare dal non-essere all’essere, e nient’altro) posso assegnargli solamente un soggetto grammaticale. Per poterne pensare il soggetto reale debbo concepire il divenire in termini di “generazione” o di “produzione”, ossia come qualcosa il cui termine passivo è proprio il soggetto grammaticale (si vedano il tedesco e l’inglese, che in questo paiono essere logicamente più precisi delle lingue neolatine: nascere = geboren sein = to be born). Il nascere, inteso come verbo attivo (naturalmente intransitivo) o anche solo come medio, esprime dunque qualcosa che è propriamente impossibile o assurdo. Da questo inoppugnabile rilievo la filosofia occidentale ha spesso ricavato, però, l’inaccettabile conclusione che, allora, nulla diviene e tutto è eterno; ma non occorre affatto sacrificare l’esperienza sensibile, dato che è possibile “salvare i fenomeni” interpretando tutte le voci verbali finora adoperate (divenire, nascere, sorgere, cominciare…) come se veicolassero semplicemente un significato passivo: sorgere come essere-generato o essere-prodotto, e l’agente esterno o generante (la causa, appunto) viene in tal modo rigorosamente dedotto (contro lo scetticismo humeano, finalmente…) e non più semplicemente presupposto.
Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaConcludendo, dunque, possiamo dire che ciò che opera il passaggio dal non-essere all’essere non può essere l’ente medesimo del quale diciamo che “passa” dal non-essere all’essere (e che sarebbe autocontraddittorio pre-supporre, anche solo logicamente, al passaggio stesso): passare non può significare, propriamente, se non “essere-fatto passare”.


Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolica.* Professore Associato di Filosofia teoretica nella Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.

 

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