(Vai a pag. 2) L’attualità
mondiale, con in primo piano ciò che viene chiamato il conflitto tra Oriente e Occidente, offre a noi cristiani l’opportunità
di ri-orientarci sulla nostra fede e sulle sue conseguenze nella vita personale e sociale. Questo riassetto mentale ci serve
per non perdere di vista che, per ogni uomo, l’unico vero problema è conseguire la salvezza eterna che ci viene
offerta dall’Oriente divino, come proclama Zaccaria nel suo cantico: « Grazie alla bontà misericordiosa
del nostro Dio, dall’alto verrà a visitarci l’Oriente, il sole che sorge, per illuminare noi che siamo nelle
tenebre e nell’ombra della morte, e dirigere così i nostri passi sulla via della pace » (Lc 1, 78-79).
Per ri-orientarci, dunque,
la prima cosa da fare è vagliare attentamente le interpretazioni dei fatti che coinvolgono il cristianesimo (le persone
e le istituzioni), senza dar troppo credito ai “politologi” che commentano l’attualità mondiale volendoci
convincere di due cose: 1) che saremmo coinvolti in una guerra di religione, dove l’Islam-Oriente sarebbe in conflitto
con il potere mondiale del cristianesimo-Occidente; 2) che l’unico modo di comprendere questa guerra di religione è
di riportarla agli interessi politici in gioco, giacché tutto, in fondo, sarebbe sempre e solo politica, sicché
anche la religione sarebbe solo una “sovrastruttura” della politica.
Riguardo a quest’ultima
cosa, come cristiani non possiamo accettare sic et simpliciter un’equazione del genere: non la abbiamo accettata
anni or sono, quando era dominante l’ideologia marxista, e non possiamo accettarla adesso, quando è dominante l’ideologia
lib-lab. Per questo, oltre ai politologi, che per mestiere vedono solo processi politici, sulle questioni che ci riguardano
come cristiani dobbiamo sentire anche il parere dei filosofi, che sull’essenza della religione hanno qualcosa da dire,
poi il parere dei teologi, che sull’essenza del cristianesimo hanno pure qualcosa da dire. E soprattutto dobbiamo prestare
ascolto al magistero della Chiesa, l’unica fonte autorevole per sapere se dalla rivelazione divina ci arrivano dei criteri
infallibili per interpretare i « segni dei tempi ».
Ma procediamo con ordine
e torniamo alla prima questione. Si parla indifferentemente di conflitto tra Islam e cristianesimo e tra Oriente e Occidente,
come se “Islam” e “Oriente” da una parte, e “cristianesimo” e “Occidente” fossero
sinonimi, il che non è vero.
Infatti, se ci si vuole
riferire all’Islam, per “Oriente” si devono intendere tanto il Vicino Oriente (Palestina, Giordania, Arabia
Saudita, Emirati Arabi, Yemen) e il Medio Oriente (Iraq, Iran, Siria,) quanto l’Estremo Oriente (Pakistan, Indonesia);
ma si devono allo stesso tempo escludere lo Stato di Israele e tutti i Paesi asiatici con popolazione prevalentemente induista
o buddista (India, Shri Lanca, le due Coree, Cina, Tibet, Giappone); ma poi, se davvero ci si riferisce all’Islam, dobbiamo
includere in questo fantomatico “Oriente” anche buona parte dell’Africa (l’Egitto e tutti i Paesi islamici
del Maghreb, la Mauritania, la Somalia e l’Eritrea, gran parte del Sudan e della Nigeria, e molti Paesi dell’Africa
Centrale e Occidentale). Se poi vogliamo vedere a che cosa ci si riferisca concretamente quando si dice “Occidente”,
dobbiamo cominciare a includere mentalmente in questa denominazione i Paesi della Nato (North Atlantic Treatise Organization),
la quale però comprende, non solo gli Stati Uniti d’America e il Canada assieme agli alleati dell’Unione
Europea (salvo la Francia), ma anche la Turchia, che è un Paese islamico.
E se proviamo a risolvere
il rebus dicendo che con “Occidente” ci riferiamo concretamente alla potenza egemone, gli USA, con tutti i suoi
alleati, allora dovremmo includervi un Paese del Vicino Oriente come Israele, poi il Giappone, la Corea del Sud, Taiwan e le
Filippine, ossia buona parte dell’Estremo Oriente. E saremmo obbligati a includervi persino il Paese islamico per eccellenza,
l’Arabia Saudita (dove si trovano la Mecca e Medina), almeno finché il suo governo continuerà a essere alleato
degli americani.
Ma il rebus non è
ancora risolto se pensiamo che la Russia ha ereditato dall’Unione Sovietica un secolare conflitto con forze islamiche
dei Paesi confinanti (come l’Afghanistan) o ancora inclusi nei sui confini (come la Cecenia); dunque l’Occidente,
in contrapposizione all’Oriente inteso come Islam, comprenderebbe anche gran parte dell’ex Unione sovietica.
Allora? Forse dobbiamo
rassegnarci a ragionare esclusivamente sulla base di categorie politiche, come quando pensiamo ai due schieramenti contrapposti
nella Seconda guerra mondiale: da una parte “l’Asse”, formata da Paesi totalitari e di destra (Germania, Italia
e Giappone), dall’altra “gli Alleati”, i Paesi democratici (Francia, Gran Bretagna, Stati Uniti d’America),
più un grande Paese totalitario, ma di sinistra (l’Unione Sovietica).
Una nota politologa americana
di origine ebraica assicura che il nemico del terrorismo islamico sono gli Stati Uniti d’America, l’Unione Europea
e in generale i Paesi dell’Alleanza atlantica: « insomma – conclude –, la civiltà
occidentale ». 1 [ELIZABETH ROSENTHAL, in The International Herald
Tribune, 30 luglio 2005, p. 3.]
Dunque, gli stessi politologi
ci inviterebbero a interpretare le opposte strategie del potere (zone di influenza, interessi militari ed economici) come uno
« scontro di civiltà ».
Nessuno però si
azzarda a definire cosa si intenda concretamente per “civiltà”, così in Italia un esponente della
Lega può dire che non si deve parlare di « scontro di civiltà » per il semplice motivo
che l’Occidente una civiltà ce l’ha e l’Oriente non ce l’ha.
Con la stessa disinvolta
vaghezza si parla poi di « guerra di religione », pur ammettendo che non è affatto chiaro se
“terrorismo” vada equiparato a “guerra”. Ma tutto serve a trovare conferme al principio antropologico
odierno e solo odierno per cui “la religione genera sempre la guerra”.
Dopo anni di seriose
banalità e di retoriche vaghezze, ecco poi un politologo che si sente “voce dell’Occidente” e chiama
tutti alle armi: « Non possiamo ricostruire una cristianità “corazzata” per opporci alla cultura
radicale e jihadista, ma possiamo non fare niente? Se non prendiamo una posizione, la nostra inattività, il nostro vuoto,
rischiano di essere riempiti da qualcos’altro. E questo qualcos’altro è un'ortodossia fondamentalista
». 2 [GIULIANO FERRARA, in un dibattito con Massimo Cacciari presso
l’Università cattolica, il 16 novembre 2004 (cfr Tempi, 18 novembre 2004).] Poi eccone un altro
che vuole chiarire definitivamente i termini della questione: « Il terrorismo islamico ha lanciato una guerra
santa contro la nostra cultura (Dante e Shakespeare), i nostri valori (la democrazia), la nostra storia (quella dei padri) e
il nostro futuro (quello dei figli), i loro predicatori religiosi ci chiamano “cani” e depravati” e nessuno
a sinistra sembra voler riflettere su quelle parole che incitano alla battaglia ». 3
[MARIO SECHI, “Casa, ritirata e bicicletta”, in Il Giornale, 2 agosto 2005, p. 1.]
Insomma: noi cristiani
dovremmo sentirci in guerra con l’Islam, non però per difendere la nostra fede, ma per difendere la “cultura
occidentale”, che poi è una copertura ideologica per non dire piuttosto “politica occidentale”.
Un conflitto tra l’Islam e il cristianesimo?
Ora, per quanto riguarda
la politica in senso proprio, è ragionevole che noi italiani, assieme a tutti gli europei e, in genere, agli “occidentali”,
ci armiamo moralmente per far fronte all’aggressione dell’Islam cosiddetto “estremista”, e in questo
senso Cesare Cavalleri ha scritto di recente un coraggioso editoriale che io condivido in pieno. 4
[Cfr CESARE CAVALLERI, “Europa, dove sei?”, in Studi cattolici, 49 (2005), p. 497.]
Ma io voglio affrontare
la questione da un altro punto di vista, quello propriamente religioso: come cristiani (ossia, come credenti in Cristo, a qualsiasi
nazione apparteniamo), ci dobbiamo sentire in guerra con l’Islam?
Qualcuno dirà
che la distinzione tra “cittadino” e “cristiano” è astratta. Invece è quanto di più
concreto ci sia in rapporto ai problemi dell’attualità.
In effetti, noi cristiani
apparteniamo a una religione che – a differenza di tutte le altre, e soprattutto a differenza dell’Islam –
distingue i legami con la patria terrena (la pietas verso la propria terra) dai legami con il nostro Creatore (la pietas
nei confronti del Padre dei cieli); i primi sono relativi e transitori, i secondi assoluti ed eterni. Ignorando questa duplice
dimensione del cristianesimo, i politologi cui mi riferivo vorrebbero che noi cristiani ci caricassimo di responsabilità
per tutta la politica “occidentale”, come se essa fosse direttamente ed esclusivamente ispirata dalla “cultura”
cristiana.
Se ciò fosse vero,
avrebbero ragione i presunti rappresentanti di “al-Qaida” nel sostenere di essere scesi in campo contro «
i crociati ». 5 [Cfr Kaide, settimanale di islamismo
militante, edito a Istanbul.] Ma ciò non è vero, anche se da noi sono proprio gli uomini politici e i giornalisti
dichiaratamente non-cristiani a voler interpretare questi eventi sanguinosi come un « conflitto tra religioni
»; e si indignano (come ha fatto Giuliano Ferrara sul Foglio del 3 agosto scorso) se il Papa Benedetto XVI dice
che non è una guerra tra Islam e cristianesimo, non è una guerra tra le due religioni.
Massimo Cacciari afferma
che « il nodo dinanzi al quale oggi siamo è un nodo squisitamente teologico, ed è per questo che
è improbo scioglierlo »; 6 [Cfr il resoconto di un dibattito
con Giuliano Ferrara presso l’Università cattolica, il 16 novembre 2004, in Tempi, 18 novembre 2004.]
poi spiega che per l’Islam la concezione trinitaria di Dio è una bestemmia, ma proprio quello è il fondamento
teologico-filosofico dell’Occidente: non solo della sua religione, ma anche della sua storia e dei frutti migliori di
questa storia, come la scienza, la tecnica e la democrazia. Per questo Cacciari rifiuta i « mix ormai indigeribili
di tolleranza e relativismo ». 7 [Ibidem.]
Da parte sua, Oriana
Fallaci, che si definisce « atea cristiana ", chiede sfrontatamente a Benedetto XVI di combattere decisamente
l’Islam abbandonando la politica del dialogo pacifico avviata da Giovanni Paolo II. 8 [Cfr
ANDRZEJ MAJEWKI, intervista con Oriana Fallaci, in Libero, 14 agosto 2005.]
Diverse strategie, insomma,
ma tutte sempre di stampo politico, nel presupposto che si tratti davvero di una guerra mondiale scatenata dall’Islam.
Prima di accettare questo
scenario, noi cristiani dovremmo però capire da chi sarebbero formati concretamente – al di là dell’ovvia
dialettica delle idee (dottrina religiosa islamica e dottrina cristiana) – gli opposti schieramenti. I nomi che vengono
usati di solito – da una parte l’Islam (in veste di aggressore, anche se non del tutto colpevole) e dall’altra
il cristianesimo (in veste di aggredito, anche se non del tutto innocente) – non servono per capire chi ha scatenato la
guerra e contro chi.
Forse i termini “Islam”
e “cristianesimo” sono usati in senso sociologico, per intendere nel primo caso “mondo islamico” o “società
islamica”, e, nel secondo caso, la “cristianità”. Ma tutti sanno che, da una parte, la “società
islamica” si presenta dilaniata da un feroce conflitto interno, quello tra l’Islam “fondamentalista”
e l’Islam “moderato”; e che, dall’altra, una “cristianità” oggi non esiste più,
nemmeno nella forma progressista vagheggiata dal Maritain di Humanisme intégral.
Che cos’è
allora l’Islam che combatte questa guerra? E contro che cosa la combatte? La guerriglia e gli attentati sono forse rivolti
contro la gente che professa la fede cristiana, pensando di ottenere con il Terrore la conversione o la sottomissione degli
« infedeli »? Oppure sono rivolti contro l’assetto sociale costruito sulla base dell’etica
cristiana, dove le istituzioni della Chiesa hanno ancora un ruolo primario? Oppure sono rivolti contro una strategia politica
e contro un potere economico-militare che avrebbe le sue giustificazioni morali nel cristianesimo?
Insomma: se l’aggressore
è un Islam religioso, chi rappresenta il nemico religioso dell’Islam, e dove sta?
Si è parlato di
possibili attentati alla basilica di San Pietro in Vaticano, ma finora non ci sono stati, grazie a Dio. C’è stato,
invece, lo spettacolare e sanguinoso attentato alle Twin Towers, le quali però non sembrano avere alcun legame,
nemmeno simbolico, con il cristianesimo.
Non sembra proprio che
il nemico religioso dell’Islam possa essere identificato con le società occidentali di oggi, che appaiono e sono
totalmente scristianizzate; a parte l’eterogenea società che vive negli Stati Uniti, che oggi nessuno definirebbe
in blocco “un Paese cristiano” 9 [Cfr GEORGE WEIGEL The Cube and
the Cathedral. Europe, America, and Politics Without God, Random House, New York 2004, dove, con cupo pessimismo, l’autore
prevede per gli Stati Uniti la stessa scomparsa di tutti i valori cristiani che in Europa è già visibilmente in
atto.], pensiamo ai Paesi europei: all’Italia, dove risiede il Papa; alla Francia, che si fregiava del titolo di
« figlia prediletta della Chiesa »; alla ex « cattolicissima »
Spagna; a quella che era la « Polonia fidelis »; all’Olanda, che fino a pochi decenni
fa era la nazione che forniva più sacerdoti alle missioni cattoliche. E pensiamo al diritto, che è l’immagine
più eloquente di una società: nei Paesi europei, come segno inequivoco di questa scristianizzazione, stiamo vedendo
come i rispettivi parlamenti nazionali, seguendo anche l’ispirazione delle istituzioni comunitarie di Bruxelles, si sono
messi a varare, una dopo l’altra, leggi contrarie alla morale cristiana proprio per ribadire il proprio orgoglio «
laicista ».
Lasciamo da parte, per
non cadere nel ridicolo, quella fictio iuris di Stato che è la Città del Vaticano (ma, a questo proposito,
viene inevitabilmente alla memoria la frase attribuita a Stalin: « Di quante divisioni dispone il Vaticano?
»).
E Marcello Veneziani,
replicando alla Fallaci, scrive che « fanno bene i pontefici a non cercare il conflitto. […] Con
il comunismo Giovanni Paolo II fu grande; ma anche con l’Islam scelse la strada giusta. Così Ratzinger. Distingue
tra terrorismo e resto dell’Islam, invita al dialogo e sa bene che il nemico dell’Islam non è la cristianità
o la tradizione europea ma l’Occidente miscredente, filoisraeliano e americanocentrico ». 10
[MARCELLO VENEZIANI, “No, Oriana: l’Islam buono c’è. La politica deve saper distinguere
tra terrorismo e fede”, in Libero, 15 agosto 2005, p. 2.]
Come si fa, dunque, a
parlare seriamente di « conflitto tra religioni » quando non c’è modo di individuare
in concreto i due ipotetici termini del conflitto? Il concetto di Islam come religione è del tutto eterogeneo
rispetto al concetto di cristianesimo.
Basti pensare che le
mille anime e le mille etnie di cui consta l’Islam hanno in comune solo il Libro Sacro, il Corano, ma non hanno
mai avuto e mai avranno una dottrina comune insegnata autorevolmente da un unico riconosciuto magistero, mentre il cristianesimo
cattolico (che, a differenza del Protestantesimo, è fedele alle origini apostoliche) si riconosce nella dottrina della
Chiesa, compendiata in quel meraviglioso testo che è il Catechismo della Chiesa Cattolica.
E ancora: mentre l’Islam
tende sempre a identificarsi con un regime politico e ha dato sempre origine a Stati confessionali e teocratici, il cristianesimo
ha sempre distinto il potere spirituale da quello politico, e così non si è mai identificato con lo Stato, nemmeno
quando l’Impero romano, con Costantino, ha cessato di perseguitarlo e poi, con Teodosio, lo ha riconosciuto come “religione
dello Stato”; e il processo di non-identificazione è passato attraverso le lotte medioevali tra Papato e Impero,
la Riforma protestante, lo scisma anglicano, la Rivoluzione francese, fino ad arrivare alla situazione odierna, quando ormai
nessuno Stato è più confessionalmente cattolico e l’Unione Europea insiste a non voler riconoscere la proprie
“radici cristiane”.
La bimillenaria presenza
della Chiesa nel mondo testimonia, attraverso le più diverse situazioni storiche, una sostanziale fedeltà alla
grande novità religiosa portata da Cristo, quella per cui la religione mira alla salvezza escatologica, trascendendo
gli interessi e i fini della politica: « Rendete a Cesare quello che spetta a Cesare, e a Dio quello
che spetta a Dio » (cfr Mt 22, 15-22; Mc 12, 13-17; Lc 20, 20-26). Non era questo il modo di intendere la religione
prima di Cristo, nemmeno nel popolo eletto di Israele; e non è questo il modo di intendere la religione presso le comunità
musulmane, dove il Corano è tutto: regime politico, diritto, identità nazionale.
Insomma: chi legge i
giornali e ascolta i notiziari televisivi capisce subito (se ha la testa per pensare e se la usa) che, su questo conflitto,
le autorità politiche che “esternano”, gli uomini politici che rilasciano interviste e gli opinionisti che
fanno “il punto della situazione” non si sono formati essi stessi un’idea chiara; oppure se la sono formata
ma cercano in tutti i modi di tenerla per sé.
Noi, comuni cittadini,
sappiamo bene che le autorità politiche hanno tante ragione (nobili o ignobili) per tacere o mentire o simulare o dissimulare.
Anche chi simpatizza per George Bush e per Tony Blair deve ammettere che entrambi hanno mentito (più o meno in buona
fede) circa le ragioni della guerra all’Iraq.
Ma i giornalisti, almeno
per vocazione professionale, dovrebbero aiutare i comuni cittadini a vederci chiaro, almeno finché è possibile.
In Italia non mancano giornalisti che, grazie a Dio, hanno conoscenza diretta dei fatti, adeguata capacità di analisi
e una certa indipendenza da interessi contingenti di tipo economico o partitico (a memoria, e in ordine alfabetico, potrei citare
Rino Cammilleri, Cesare Cavalleri, Renato Farina, Giuliano Ferrara, Sandro Magister, Vittorio Messori, Andrea Pamparana, Marco
Respinti, Marcello Veneziani); spesso poi, in televisione e sui giornali, intervengono studiosi seri e preparati, abituati a
pensare e capaci di farci pensare (penso a filosofi come Vittorio Mathieu, Gianfranco Morra, Vittorio Possenti e Maurizio Schoepflin,
a storici come Roberto De Mattei, a scrittori come Eugenio Corti, Luca Doninelli, Oriana Fallaci, Claudio Magris e Susanna Tamaro,
a politologi come Gianni Baget Bozzo e Alberto Pasolini Zanelli, a islamisti come Giuseppe Scattolin).
Per il resto, invece,
abbondano i sofismi di filosofi come Massimo Cacciari, Giulio Giorello, Armando Massarenti, Emanuele Severino, Gianni Vattimo,
le loro parole vuote, le loro logiche illogiche, le etichette senza contenuto, i concetti vaghi, buoni per qualsiasi formula
retorica. Vogliono, di volta in volta, disilluderci, consolarci, allarmarci, tranquillizzarci, colpevolizzarci… senza
farci capire di che cosa essi stiano parlando realmente.
In mezzo a tanta confusione
ideologica, noi cattolici facciamo fatica persino a capire il vero senso dei messaggi di Benedetto XVI. Il Santo Padre, molto
opportunamente, ha inteso spiegare il pensiero, su queste drammatiche vicende storiche, della Chiesa cattolica; ma, per arrivare
a dire che il sanguinoso conflitto in atto non è “contro il cristianesimo”, ha dovuto necessariamente usare
le parole che tutti usano oggi – « crimini contro l’umanità », «
terrorismo », « barbarie » –, parole ormai usurate e adulterate
da continui abusi linguistici, parole che agli orecchi di molti non hanno più il loro autentico senso morale e religioso,
ma solo un senso politico strumentale.
La prima cosa da fare,
pertanto, è diffidare di tutte le interpretazioni che quotidianamente vengono proposte. Poi, occorre fare uno sforzo
per capire.
Capire è innanzitutto
un dovere civico: perché il primo principio di ogni democrazia è il diritto-dovere della partecipazione, e la
partecipazione implica la consapevolezza dei valori in gioco (si ricorderà l’appello alla partecipazione informata
e responsabile in occasione del referendum sulla “procreazione assistita”); capire è inoltre un dovere religioso,
perché i valori in gioco – la pace tra le nazioni, la giustizia internazionale, l’evangelizzazione dei popoli,
il dialogo interreligioso – coinvolgono la nostra fede cristiana e il nostro impegno di cittadini che debbono promuovere
il bene comune secondo un’etica pubblica cristianamente ispirata.
Senza dimenticare che,
se vogliamo districarci in questo intrigo di nozioni, distinguendo ciò che appartiene alla sfera propriamente politica
da ciò che appartiene alla sfera propriamente religiosa, dobbiamo cercare di capire che cosa realmente avviene nella
sfera politica.
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