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SENSO COMUNE E VERITÀ / 3

Dario Sacchi (1)
Senso Comune e Verità

GENESI E TRASFIGURAZIONE
DELLA
NOZIONE DI VERITÀ.

RAZIONALISMO E IDEALISMO DI FRONTE
AL REALISMO ANTICO-MEDIOEVALE

Saggio uscito su Senso Comune e Verità. Verso un fondamento comune
alle diverse formulazioni di verità
, a cura di Roberto Di Ceglie;
saggi di Roberto Di Ceglie, Philip Larrey, Antonio Livi, Gaspare Mura, Dario Sacchi, Horst Seidl, Editrice EDIVI Edit. del Verbo Incarnato, 2004.



Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaNel giudicare negativamente il dualismo gnoseologico che, com’è noto, caratterizzò una lunga fase dello sviluppo storico della filosofia occidentale oggi sembrerebbero essere quasi tutti d’accordo: si tratta, anzi, di una delle poche valutazioni intorno alle quali i sostenitori del realismo tradizionale si trovano a concordare con tutti gli altri principali orientamenti rappresentati nell’odierno dibattito filosofico ed epistemologico. Nondimeno è al tempo stesso molto radicata e diffusa la convinzione che quella scorretta impostazione del problema gnoseologico fosse legata proprio al realismo tradizionale, notoriamente coincidente con il realismo implicito nel senso comune, e che il superamento della prima abbia avuto come conditio sine qua non il superamento del secondo; e ci pare superfluo rilevare che l’attuale successo di correnti filosofiche palesemente non immuni da elementi almeno tendenzialmente scettico-relativistici dipende in non lieve misura dal consenso, anche solo implicito, che si continua a registrare intorno a questo fondamentale giudizio storico-teoretico. Un giudizio di cui cercheremo di dimostrare l’infondatezza, prendendone in considerazione una versione particolarmente chiara ed esplicita.
Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaPrima, però, vorremmo rilevare un ulteriore aspetto della questione: e cioè che, se si ritiene possibile e anzi doveroso contrastare in tutto o in parte il senso comune, ciò può avvenire solo perché lo si confonde con la conoscenza ordinaria o con il modo di pensare prescientifico e prefilosofico, ossia perché si confonde quell’organismo di certezze spontanee e irriflesse, comuni a tutti gli uomini e incontrovertibilmente vere, che si può denominare appunto senso comune -e che in linea di principio si potrebbe denominare anche altrimenti, ma non è di questo che vorremmo discutere nel presente saggio-, con la condizione mentale di colui che, relativamente a un determinato problema od oggetto di ricerca, si trovi a non essere armato di nient’altro che di tali certezze: quasi che il riconoscimento della dimensione veritativa o epistemica di queste ultime fosse di per sé un invito a trasferire di peso nell’ambito dell’indagine scientifica e filosofica gli “stili cognitivi” e gli habitus mentali tipici dell’uomo della strada.

Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaMa poi ci si può addirittura domandare se, ancor più che di una semplice distinzione fra le due nozioni di senso comune e di conoscenza ordinaria, non sia il caso di parlare di una vera e propria opposizione fra esse, implicante sul piano storico un autentico antagonismo. In altre parole ci si può chiedere se, paradossalmente, non sia proprio il surrettizio insinuarsi nel cuore stesso della speculazione filosofica di abitudini concettuali desunte dalla conoscenza ordinaria ciò che più di ogni altra cosa può generare, e di fatto ha generato nella storia del pensiero, la falsa apparenza dell’insostenibilità di questo o quel contenuto del senso comune; e se, di conseguenza, una completa e rigorosa giustificazione delle certezze del senso comune non sia qualcosa di accessibile solo a una prospettiva filosofica così matura ed elevata, e perciò così lontana dai parametri della conoscenza ordinaria, da risultare ostica anche a non pochi pensatori di professione. Ma è facile vedere che, se questo punto di vista fosse valido, ne conseguirebbe un quadro esattamente rovesciato rispetto a quello secondo cui la più profonda e rigorosa speculazione filosofica è ciò che finalmente viene a dissolvere gli idola di un senso comune equiparato al modo di ragionare dell’uomo della strada! Le pagine che seguono saranno allora dedicate anche alla verifica di questa ipotesi.
Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaVarrà anzitutto la pena di ricordare la dottrina tradizionale (sicuramente conforme al senso comune; almeno a prima vista, la si direbbe conforme anche al “modo ordinario di pensare”) secondo cui il conoscere come tale implica una relazione che deve rimanere esterna all’oggetto conosciuto o, in altre parole, secondo cui l’essere-conosciuto si configura come una denominatio extrinseca, ossia come qualcosa che non modifica in nulla l’ente di cui si predica. Di relazioni entrando nelle quali un ente non subisce alcuna variazione (di relazioni “ideali”, insomma, contrapposte alle relazioni “reali”, che sono quelle che modificano la natura di tutti i termini, due o più, fra i quali hanno luogo) l’ontologia classica conosce solo due esempi: (1) la relazione del Creatore con la creatura e (2) la relazione del conosciuto con il conoscente (in entrambi i casi l’idealità va per così dire in un senso solo, perché per la creatura la relazione con il Creatore è addirittura la più reale in assoluto, essendo radicalmente costitutiva del suo stesso essere, e anche per il conoscente quella con il conosciuto è una relazione reale, dato che dal fatto di conoscere qualcosa si viene certamente modificati; pur se sulla natura di questo “essere modificati” si tratterà di intendersi correttamente, per evitare i nefasti equivoci dei quali la storia della filosofia ci ha offerto, soprattutto in età moderna, copiosi esempi).

Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaIl conosciuto, dunque, non viene per nulla alterato dal fatto di essere conosciuto. A ben vedere ciò è implicito nella “grammatica” stessa del termine conoscere, per usare un modo di esprimersi notoriamente caro al Wittgenstein delle Ricerche filosofiche: infatti un processo che modificasse il proprio oggetto sarebbe, per ciò stesso, un processo non conoscitivo ma pratico. La suddetta “grammatica”, a ben vedere, non è altro che il senso comune, o per lo meno si identifica con una delle dimensioni che lo costituiscono; non per questo, però, la tesi che stiamo illustrando è stata priva storicamente di avversari o di negatori. Se ciò sia dipeso da ingerenze del “modo ordinario di pensare” nell’organismo della filosofia è quanto cercheremo di appurare fra non molto. Per ora ci interessa rilevare che un asserto al quale in un certo momento storico non venga più riconosciuta l’evidenza che gli era stata attribuita precedentemente può legittimare la propria pretesa di verità solo attraverso una fondazione di tipo elenchico.
Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolica Nella fattispecie una siffatta fondazione si può raggiungere osservando che, se anche la coscienza come tale alterasse o modificasse alcune determinazioni dell’oggetto, essa sarebbe in ogni caso coscienza dell’oggetto in quanto modificato, il che significa che le modificazioni da lei prodotte rientrerebbero in ciò che essa sa: la coscienza, in tal modo, scinderebbe da sé ogni azione manipolatrice e si purificherebbe fino a non essere nulla meno che presenza o manifestazione dell’oggetto, perfetta trasparenza della realtà conosciuta senza alterazioni o travisamenti di sorta. La conoscenza alterante, in definitiva, non è conoscenza; l’autentica conoscenza dal canto suo conoscerà, senza alterare, i risultati dell’azione della pseudo-conoscenza alterante. La critica che Hegel rivolge alla concezione strumentalistica del conoscere nelle battute iniziali dell’Introduzione (Einleitung) alla Fenomenologia dello Spirito va esattamente in tale direzione. [G. W. F. HEGEL, Fenomenologia dello spirito, trad. De Negri, La Nuova Italia, Firenze 1960, vol. I, pp. 65-67.]

Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaCome dicevamo, soltanto superando una prova di questo genere un asserto può realmente certificare la propria appartenenza a quell’organismo di verità originarie che abbiamo convenuto di chiamare senso comune; ma chi si sentirebbe di sostenere che per realizzare in concreto una simile fondazione o “difesa” -la cui formulazione appare sempre limpida e semplice, una volta ottenuta, ma la cui inventio è sempre frutto di notevole acume e sottigliezza mentale- sia in generale sufficiente la cognizione delle medesime verità che richiedono di essere così fondate o difese (cioè sia in generale sufficiente la conoscenza ordinaria)? Tali verità sono, almeno implicitamente o in actu exercito, ammesse da tutti, anche da coloro che le negano esplicitamente o in actu signato e che in genere sono filosofi, sia pure assertori di sistemi filosofici intrinsecamente incoerenti e perciò erronei; i non filosofi, infatti, non negano per lo più le verità di senso comune, benché non per questo siano di regola intellettualmente superiori ai filosofi che le negano, dato che quasi mai, posti di fronte a questi ultimi, sarebbero in grado di rispondere alle loro obiezioni, di rilevare le contraddizioni presenti nei loro discorsi e pertanto di difendere criticamente la propria adesione alle suddette verità. Una tale capacità appartiene in esclusiva alla filosofia più grande, alla quale, se non altro per lo specifico punto che stiamo considerando, è apparsa riconducibile, come abbiamo visto, anche quella hegeliana.

Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaMa riprendiamo la nostra trattazione. Certo è inevitabile che quando si parla di soggetto conoscente e di oggetto conosciuto si pensi anche a due enti situati nello spazio e nel tempo (il modo ordinario di pensare, che peraltro già a questo livello così rudimentale si distingue formalmente dal senso comune, ha i suoi diritti che nessuno intende contestare), e sembra altresì del tutto legittimo pensare che la percezione sensibile, ossia la forma aurorale di conoscenza, supponga in primo luogo una qualche azione esercitata dal secondo di tali enti sul primo. Se stiamo in questa prospettiva il conoscere si presenta come una “facoltà”, cioè come un modo di essere di un ente che si trova in rerum natura accanto ad altri enti; e si deve dire che, riguardato in questa veste, il conoscere ha l’oggetto conosciuto di fronte a sé e, pertanto, fuori di sé. Ma c’è una seconda prospettiva in base alla quale, al contrario, si deve dire che l’oggetto conosciuto, e lo stesso soggetto che si configura come “portatore” (owner) del conoscere inteso nel senso precedente, sono propriamente interni al conoscere stesso, come suoi contenuti, e non già ad esso esterni e antecedenti, come sue condizioni. Se nel primo caso si parla del conoscere nella sua accezione fisica (o empirica o psicologica o soggettiva; Heidegger direbbe “ontica”), secondo la quale esso è solo un evento in mezzo a un’infinità di altri eventi, nel secondo si ha di mira il conoscere nella sua valenza intenzionale (o logica od obiettiva; in linguaggio heideggeriano “ontologica”), cioè il conoscere inteso come orizzonte trascendentale, vale a dire non come un elemento accanto ad altri ma, in certo qual modo, come il teatro nel quale la scena si svolge e nel quale pertanto è compreso tutto ciò che appare, incluso lo stesso conoscere riguardato come un elemento parziale accanto agli altri. È questa la prospettiva in base alla quale Aristotele, per esempio, ha potuto sostenere che “l’anima è in qualche modo tutte le cose”. [ARISTOTELE, De anima, III, 8, 431b21. ] In qualche modo, appunto: cioè intenzionalmente e non certo fisicamente.

Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaOvviamente ci si può e ci si deve domandare come di fatto avvenga il conoscere, ossia a quali condizioni si svolgano in natura quei processi che danno luogo alla nostra conoscenza della realtà, e in primo luogo alla nostra conoscenza della stessa realtà naturale. Senza dubbio, come già dicevamo, l’oggetto conosciuto esercita sul soggetto una qualche specie di stimolazione (le cui concrete, precise modalità sono da indagarsi accuratamente a livello di scienza empirica), alla quale il soggetto a sua volta reagisce, e l’esito di questa reazione (anch’essa da indagarsi non meno accuratamente nelle sue concrete, precise modalità) è appunto la conoscenza sensibile. Già nell’antichità (si pensi a taluni presocratici, agli epicurei…) e poi anche nella prima fase dell’epoca moderna (si ponga mente alle credenze diffuse soprattutto negli ambienti più influenzati dal cartesianesimo) ci si raffigurò, ad esempio, il processo percettivo come avente la sua origine nel trasvolare di alcune particelle corporee dall’oggetto al soggetto (è questo, ahimé, il modo in cui non pochi moderni finirono con l’intendere le species degli Scolastici). Per quanto spiegazioni del genere fossero palesemente inadeguate e anzi oggi ci appaiano decisamente ridicole, non risultarono tuttavia veramente pericolose dal punto di vista filosofico finché non pretesero di mettere in discussione lo stesso valore conoscitivo dell’evento mentale che erano chiamate a spiegare.
Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolica È qui doveroso riconoscere che in genere nemmeno le espressioni teoreticamente più grezze del pensiero antico pervennero a una confusione completa dei due piani del conoscere che sopra abbiamo distinti; una simile impresa riuscì invece alla modernità, evidentemente abbacinata e come squilibrata dal suo fortissimo interesse per le dinamiche naturali della conoscenza sensibile, un interesse maturato anche e soprattutto in relazione al sorgere della nuova scienza della natura. Accadde così che, dal fatto innegabile che nella percezione il soggetto subisce l’azione fisica dell’oggetto, si ritenne di poter trarre la conclusione che il soggetto percepisce, ossia conosce, non già l’oggetto stesso bensì, appunto, il risultato dell’azione che quest’ultimo esercita su di lui e sulla sua costituzione psico-fisiologica: con il noto corollario “scettico” in base al quale non avrebbe alcun fondamento la tranquilla fiducia che il risultato di tale azione sia una immagine o una copia fedele della res da cui l’azione stessa promana.

Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolica Non è tuttavia difficile comprendere che quest’ultimo è un esito solo apparentemente dettato da autentico spirito critico, perché in realtà può stabilirsi solo in dipendenza da una iniziale “mossa” dogmatica. Se l’oggetto che produce il suddetto influsso fisico, infatti, non è più l’oggetto intenzionalmente presente alla coscienza ma è qualcosa di ulteriore ad esso, allora uno scetticismo veramente coerente (un “sano” scetticismo, se così si potesse dire) dovrebbe problematizzare anzitutto la pura e semplice affermazione dell’esistenza di questo oggetto sconosciuto, molto prima che la credenza nella capacità delle nostre rappresentazioni di riprodurlo fedelmente; o, se si preferisce, dovrebbe cominciare con il mettere in dubbio l’opportunità di considerare come “rap-presentazione” di una realtà non manifesta ciò che in precedenza (forse meno dogmaticamente!) veniva considerato come semplice “presentazione” o manifestazione di qualcosa di reale.
Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaNaturalmente questa persuasione – in cui consiste propriamente il dualismo gnoseologico – secondo la quale la coscienza intenziona direttamente non già l’oggetto in sé ma le proprie rappresentazioni, è contraria sia al senso comune sia allo stesso modo ordinario di pensare, posto che quest’ultimo non vada oltre un’accettazione meramente passiva dei dati del senso comune e si astenga da una più o meno consapevole opera di sistematizzazione dei propri canoni e criteri. Ma le cose mutano completamente (e con questo rilievo ci accostiamo finalmente al paradosso che abbiamo prospettato all’inizio del presente saggio) quando il “comune modo di pensare”, desideroso per così dire di indossare il vestito della festa, tende a suo modo a una qualche forma di sistematicità e di coerenza interna: allora sì che nascono le velleità, e insieme si profila la pericolosità, della coscienza ordinaria sul piano filosofico e scientifico. Pericolosità, si badi, anzitutto per quell’originario livello di verità che è dato dal senso comune nella sua genuina accezione. Sotto questo profilo si può ben dire che il dualismo gnoseologico non sia nient’altro che il frutto dell’intrusione dei modi e delle forme della coscienza ordinaria entro l’organismo della riflessione filosofica sulla conoscenza.

Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaIn che cosa propriamente consistano questi modi, queste forme, questi habitus, questi canoni o criteri della coscienza ordinaria non è, a dire il vero, la cosa più agevole da chiarire, proprio perché il modo ordinario di pensare è qualcosa cui senza dubbio si addice quella variabilità storica, geografica, sociologica, culturale ecc. che tanto spesso viene attribuita, del tutto erroneamente, al senso comune. Ciononostante non sembra troppo arrischiata l’affermazione che fra i tratti rinvenibili un po’ in tutte le epoche nella coscienza ordinaria dell’uomo occidentale si possano annoverare, ad esempio, una certa istintiva tendenza a interpretare in termini spaziali contenuti o nessi che non sono di per sé di natura spaziale [Abbiamo messo in luce nel saggio Sostanza, essenza, soggetto (in AA.VV, Corpo e anima, necessità della metafisica. Annuario di filosofia 2000, Mondadori, Milano 2000) l’incidenza di questo elemento sulle variazioni storicamente subite dal concetto di sostanza entro la tradizione metafisica dell’Occidente (si vedano in particolare le pp. 335-343, ove in qualche modo si sostiene e si argomenta in riferimento alla dottrina della sostanza la medesima tesi sul rapporto filosofia-coscienza ordinaria-senso comune che qui affermiamo in rapporto al problema gnoseologico).] e poi, a un livello ancor più profondo, un’invincibile propensione a concepire ad instar entis (per usare il linguaggio della Scuola) ovvero a “reificare” o “cosalizzare” (come preferiscono esprimersi i contemporanei) qualsiasi contenuto concettuale, non esclusi quelli che per loro natura meno si prestano a un simile trattamento. Ebbene, crediamo che anche solo dalla ricostruzione estremamente sintetica che ne abbiamo delineato poc’anzi non sia per nulla difficile comprendere il ruolo fondamentale che nella genesi storica del dualismo gnoseologico hanno giocato i due suddetti elementi: configurandosi, rispettivamente, come incapacità di pensare il rapporto conoscitivo fra soggetto e oggetto senza spazializzarlo e come incapacità -situata ancora più a monte rispetto alla prima- di concepire il pensiero se non come un ente fra gli enti.

Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolica Ora, se noi consideriamo l’atteggiamento prescientifico e prefilosofico nelle sue forme per così dire più primitive e più ingenue, ci rendiamo conto agevolmente che, se per un verso esso implica il possesso della certezza di senso comune che “il pensiero conosce direttamente la realtà”, per altro verso accoglie entro di sé un elemento – la completa equiparazione del pensiero stesso a semplice ente fra gli enti – che con quella verità obiettivamente contrasta. I guai, se così si possono chiamare, cominciano quando, nel suo peraltro auspicabile processo evolutivo, la coscienza ordinaria acquisisce un grado di maturità che le è sufficiente per prendere atto di questa contraddizione che l’affligge dall’interno ma non le è ancora sufficiente per rendersi conto dell’impossibilità che il pensiero sia semplicemente un ente fra gli altri; nulla di strano, allora, che essa non veda altra via d’uscita dal suo intimo conflitto se non la rinuncia all’affermazione, ormai divenuta per lei problematica, che il pensiero conosce la realtà.
Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaIl fatto è che per poter cogliere davvero l’incontrovertibilità di quest’ultima affermazione occorre attingere quel limpido sguardo filosofico sulle cose che a tutte le visioni del mondo nascostamente modellate sui parametri della coscienza ordinaria rimarrà sempre precluso. È forse un’affermazione di “senso comune” – nell’accezione corrente, anche se impropria, di “facile” e “ovvia” – la sopra ricordata dottrina aristotelica secondo la quale l’anima è una realtà la cui natura consiste nel non avere natura? Non è per nulla un caso che la sua piena comprensione risulti sempre piuttosto ardua al giovane studente di filosofia. Né può apparire di più facile accesso, ad esempio, la dottrina della genesi a-teoretica dell’errore, che è anch’essa di diritto parte integrante del patrimonio di una corretta gnoseologia realistica, sebbene per varie ragioni il merito di averla sviluppata a fondo appartenga storicamente, più che alla Scolastica, a due pensatori di matrice non classica come Cartesio fra i moderni e Croce fra i contemporanei.

Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaQuella che abbiamo fin qui sommariamente delineata è comunque, in nuce, la situazione caratteristica della fase storica della filosofia occidentale che va approssimativamente da Cartesio a Kant e che, se si vuol fare riferimento a un celebre binomio hegeliano, può essere caratterizzata come l’epoca dell’opposizione fra certezza e verità. Secondo uno schema storiografico proposto da E. Severino [Si veda in particolare la sua Storia della filosofia moderna, Rizzoli, Milano 1984.] e volutamente ispirato a un modello che è anch’esso tipicamente hegeliano, tale epoca svolgerebbe la funzione di antitesi entro un processo dialettico la cui tesi è rappresentata da quell’identità immediata (o ingenua o dogmatica) di certezza e verità che sarebbe rinvenibile nel pensiero antico e medioevale – dunque nella metafisica classica – e la cui sintesi coincide invece con l’identità mediata degli stessi termini così come sarebbe dato ritrovarla nell’idealismo postkantiano e, sia pure in forma non sempre ugualmente esplicita, in quasi tutta la filosofia contemporanea.
Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolica L’ingenuità o dogmaticità dell’atteggiamento iniziale consisterebbe, entro lo schema severiniano, nel porre la realtà come conoscibile (affermando così l’identità di certezza e verità) pur riguardandola come altra o indipendente dal pensiero (ciò che equivarrebbe ad affermare nello stesso tempo il differire di certezza e verità). Rispetto a questo atteggiamento di fondo la filosofia moderna segnerebbe un indubbio progresso perché, continuando a concepire la realtà come altra o indipendente dal pensiero (o, in termini perfettamente equivalenti, continuando a credere nella “esistenza di un mondo esterno”), sarebbe più coerente nel porre una realtà siffatta come strutturalmente inconoscibile, portando fino alle estreme conseguenze la tesi della differenza fra certezza e verità già implicita nel presupposto ereditato dalla fase antecedente. Alla terza fase, d’altra parte, spetterebbe il merito di avere finalmente tematizzato il presupposto stesso, rendendo così possibile la messa in discussione e, in ultimo, il definitivo abbandono della credenza in una realtà altra o indipendente dal pensiero, abbandono cui è seguito l’essenziale corollario dell’affermazione di una identità di certezza e verità assolutamente inoppugnabile e in tal senso perfettamente mediata.
Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaTutto ciò si può sintetizzare come segue:

Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolica1) IDENTITÀ IMMEDIATA DI CERTEZZA E VERITÀ
Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaAurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaa) La realtà è altra dal pensiero
Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaAurea Domus - Metafisica e teologia cattolicab) Il pensiero coglie la realtà

Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolica2) OPPOSIZIONE DI CERTEZZA E VERITÀ
Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaAurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaa) La realtà è altra dal pensiero [come in 1a)]
Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaAurea Domus - Metafisica e teologia cattolicab) Il pensiero non coglie la realtà
Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaAurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaAurea Domus - Metafisica e teologia cattolica (ma solo le proprie rappresentazioni)

Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolica3) IDENTITÀ MEDIATA DI CERTEZZA E VERITÀ
Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaAurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaa) La realtà non è altra dal pensiero
Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaAurea Domus - Metafisica e teologia cattolicab) Il pensiero coglie la realtà [come in 1b)]

Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaDicevamo che il secondo momento sarebbe l’antitesi del primo e, come ogni antitesi che si rispetti, costituirebbe uno sviluppo logicamente inevitabile della sua tesi, con la quale avrebbe infatti in comune il punto a). Il terzo momento rappresenterebbe ovviamente la meta conclusiva di tutto il travaglio storico della filosofia occidentale intorno al problema della conoscenza e segnerebbe un decisivo progresso rispetto ad ambedue le posizioni precedenti.
Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaMa, come il lettore avrà già intuito dal fatto che la ricostruzione che ne abbiamo data si è svolta tutta al modo condizionale, un simile modello interpretativo non ci sembra per nulla accettabile. Possiamo riassumere il nostro punto di vista nei termini seguenti. La prima delle tre posizioni, lungi dall’essere, à la Hegel, qualcosa di intrinsecamente instabile che richiamerebbe per necessità logica la propria antitesi e quindi il proprio superamento, è tuttora (nelle sue linee generali, beninteso; ma in questa sede non intendiamo occuparci di altro che di linee generali) la migliore e più corretta posizione gnoseologica che la filosofia occidentale abbia saputo elaborare fino ad oggi.
Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolica Tutte le critiche che storicamente sono state rivolte ai suoi capisaldi sono sempre nate da meri fraintendimenti e hanno sempre fallito il bersaglio; tanto meno sono riuscite a individuare, come qui si vorrebbe, contraddizioni fra l’uno e l’altro dei suoi elementi fondamentali. L’identità di certezza e verità che essa afferma non è per nulla “immediata” in senso riduttivo, né ingenua né acritica né “naturalistica”, e comunque è assai più valida della pretesa identità “mediata” in cui consiste la terza posizione, la quale, sebbene appaia radicalmente differente dalla seconda, di fatto non è altro che una variante interna di questa.

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Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaMa procediamo con ordine. Quello che in primo luogo ci interessa mostrare, contro lo schema interpretativo che stiamo considerando, è l’assoluta mancanza di ogni connessione o continuità ideale fra la prima e la seconda posizione, come risulta dal fatto che il punto a) della prima non ha in realtà nulla a che vedere con il punto a) della seconda. L’alterità dal “pensiero” che quest’ultima attribuisce al reale si riferisce senza ombra di dubbio al pensiero inteso come orizzonte manifestativo, laddove l’alterità affermata dalla metafisica classica vale esclusivamente in rapporto al pensiero inteso in senso fisico, ossia come ente fra gli enti.
Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolica Ora, la prima specie di alterità è effettivamente inaccettabile ma, lungi dall’essere un lascito della metafisica classica (e, prima ancora, del “senso comune”) dal quale la filosofia moderna avrebbe avuto il merito di cominciare a trarre conclusioni meno “dogmatiche” e più “critiche”, è qualcosa che penetra nell’organismo della speculazione filosofica con la stessa filosofia moderna e che a questa sola appartiene. La seconda specie di alterità, per contro, è innegabile perché è qualcosa che appare all’interno della stessa identità intenzionale di essere e pensiero.
Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaTuttavia non è meno vero che, se viene raffigurata nei termini dello schema severiniano sopra riportato, con i suoi due principi fondamentali collocati proprio in quell’ordine, la filosofia antico-medioevale subisce una sottile quanto decisiva alterazione della propria struttura e, ridotta così a semplice caricatura di se medesima, finisce con il prestarsi all’operazione sopra vista: infatti, un mondo esterno la cui esistenza (punto a) sia affermata ancor prima che ne venga affermata la conoscibilità (punto b) non sarà -come è fin troppo evidente- qualcosa di cui si parla per averlo… conosciuto e dunque la sua “esternità” sarà da intendersi (anche se, certo, contraddittoriamente) in relazione al pensiero considerato nel suo aspetto logico o intenzionale.

Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolica Così si accredita davvero l’immagine di una tradizione filosofica che, anticipando quell’atteggiamento che sarà invece proprio dell’epoca moderna e che esprime la quintessenza dell’autentico “dogmatismo”, pronuncia le sue affermazioni fondamentali non sulla base di originarie evidenze ma di semplici, gratuiti presupposti. È chiaro che la corretta successione logica delle due tesi in cui Severino sintetizza la posizione della filosofia premoderna (e dello stesso “senso comune”) va in senso inverso rispetto a quella da lui delineata. Infatti ciò da cui questa filosofia ha effettivamente e validamente preso le mosse è l’inoppugnabile affermazione che il pensiero non coglie nulla di meno della realtà (o, in termini husserliani, che ciò che il pensiero coglie è il reale “in carne ed ossa” e non una sua immagine o “rappresentazione”): diciamo inoppugnabile tale affermazione, perché in prima battuta non può esserci alcuna ragione per non identificare ciò che chiamiamo realtà con ciò che è oggetto intenzionale del pensiero, e d’altra parte eventuali valide ragioni che si profilassero in seconda battuta per negare una siffatta identità l’avrebbero nei fatti già ripristinata, perché costituirebbero proprio esse quell’autentica conoscenza del reale rispetto alla quale ogni “opposizione fra certezza e verità” non potrebbe non essere declassata a momento parziale e provvisorio (si rammentino le considerazioni formulate inizialmente circa l’ipotesi di una coscienza che “modifica” i propri contenuti).
Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolica Ebbene, ciò su cui ora dobbiamo soffermarci un poco è il fatto che la realtà intenzionalmente presente alla coscienza, e in questo senso a lei identica, si dà o si manifesta al tempo stesso come “onticamente” o fisicamente altra dalla coscienza stessa, e in tal senso come da lei indipendente. Questa è la seconda tesi essenziale della filosofia antica e medioevale e, come ognuno vede, può mantenere il significato che correttamente le compete solo se viene, appunto, riconosciuta come “seconda”, ossia se viene convenientemente inquadrata nella prospettiva genuinamente trascendentale dischiusa dall’altro asserto.

Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolica È ovvio che per penetrare il significato speculativo dell’alterità e dell’indipendenza ora ricordate, e quindi per fondare una solida prospettiva realistica, non si può fare assegnamento su osservazioni del tipo “la rappresentazione di un’ellissi non è ellittica essa stessa” (M. Schlick) e su altre consimili banalità che non hanno mai ostacolato il vigoreggiare delle più svariate forme di scetticismo, di relativismo, di fenomenismo né tanto meno hanno sbarrato la strada agli esiti idealistici della problematica gnoseologica. La dualità fra essere e pensiero della quale stiamo parlando comincia invece a manifestare il suo autentico volto quando viene ricondotta all’essenza stessa del pensiero così come abbiamo cercato di delinearla all’inizio di queste pagine.
Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolica Proprio perché possa essere quella pura trasparenza o luminosità dell’ente che in effetti è, proprio perché gli sia possibile non sovrapporsi per nulla alla realtà in modo da “lasciarla essere” senza alterarla né distorcerla in nessuna maniera, il pensiero non deve avere alcuna potenza ontica sulla realtà stessa e in tal senso questa deve essere totalmente indipendente da esso.
Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolica Si scorge allora come la radicale dualità o alterità o eterogeneità che vige sul piano ontico fra pensiero e realtà non sia nulla meno che la conditio sine qua non della loro assoluta identità o intimità sul piano intenzionale. [Su questa tematica si vedano i nostri L’istinto logico del linguaggio, Marietti, Genova 1991, pp. 43 ss. e L’esperienza pura come sorgente della problematicità metafisica, « Sensus communis », I, 2000, pp. 193-202.] E si comincia altresì a capire come la persuasione che sta alla base dell’ultima delle tre posizioni contemplate dallo schema severiniano – non essere possibile l’assimilazione conoscitiva di una realtà che conservi la propria alterità fisica dal conoscere stesso – sia priva di qualsiasi fondamento e anzi testimoni il persistere del rovinoso equivoco tipico della fase precedente, che consisteva proprio nella confusione tra aspetto fisico e aspetto intenzionale del pensiero o, per meglio dire, nell’equiparazione del pensiero a qualcosa di intrinsecamente opaco e perciò, in definitiva, nella sua riduzione a una realtà di tipo materiale. Il che, sia detto fra parentesi, suona come un’ulteriore conferma della validità della nostra ipotesi: certo, l’idealismo è apparentemente la filosofia che più di ogni altra contrasta con il modo ordinario di pensare; eppure per quel tanto che si oppone propriamente al senso comune anch’esso è in ultima analisi compromesso, per così dire, con la coscienza ordinaria, della quale paradossalmente condivide proprio quei tratti che sono di indole più scopertamente materialistica!

Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaQuell’ente che si identificherebbe fisicamente e non solo intenzionalmente con il pensiero che lo pensa – sì che tutta la sua realtà consisterebbe nell’essere oggetto di pensiero, ossia nell’apparire o nel manifestarsi – ha avuto varie denominazioni nella storia del dualismo gnoseologico: idea (Cartesio e tutti i cartesiani), fantasma (Hobbes), rappresentazione (vari pensatori prima di Kant e, dopo di lui, Schopenhauer e molti altri ancora) e, la più classica di tutte, fenomeno (Kant e tutti i neokantiani). Com’è noto, la prospettiva dualistica più tipica, corrispondente alla seconda delle tre posizioni delineate da Severino nella sua Storia della filosofia, è quella che considera tutte queste figure come originariamente causate da una realtà ulteriore inconoscibile. Propriamente, esse sarebbero “poste” o prodotte dal soggetto, però questa produzione avviene in “risposta” allo “stimolo” proveniente da quella res che viene meramente presupposta al di là dell’orizzonte intenzionale o manifestativo del soggetto stesso.
Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaStando così le cose, potrebbe effettivamente sembrare che la terza prospettiva (quella idealistica), continuando a concepire l’oggetto del conoscere come un che di “posto” e non di “dato” ma al tempo stesso eliminando il presupposto dogmatico della res inconoscibile, sia non solo perfettamente sostenibile sul piano metodologico ma addirittura realizzi in sé il massimo della criticità: non solo infatti l’idealismo, alla pari della metafisica classica, sgombra il terreno dell’indagine gnoseologica da qualsiasi oggetto che non sia il medesimo oggetto conosciuto, ma poi, intendendo quest’ultimo come posto dal pensiero (verum ipsum factum!), si libera anche dal presupposto dogmatico che grava sulla stessa metafisica classica allorché quest’ultima, intendendo viceversa il contenuto del conoscere come “dato”, mostra di ammettere come immediatamente evidente l’esistenza di un mondo esterno.

Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaA ben vedere (questa è l’obiezione idealistica, che va nella direzione opposta a quanto da noi affermato poc’anzi), l’alterità fisica tra essere e pensiero implica comunque, lo si voglia o no, un’alterità che è anche di tipo intenzionale e che quindi non può essere affermata comodamente, senza mediazione. In altre parole, la tesi dell’esistenza del cosiddetto mondo esterno, ossia la tesi dell’indipendenza del reale dal suo essere sperimentato hic et nunc, necessita di una mediazione logica, perché (e qui la motivazione addotta sembra avere una forza irresistibile) non è possibile fondare sull’esperienza la persuasione che gli oggetti esistono anche quando noi non ne abbiamo esperienza. Siamo alle solite, dunque: la metafisica classica risulterebbe essere dogmatica due volte, la prima perché presuppone senza alcuna ragione una realtà indipendente dal pensiero (e ora l’obiezione sembra essersi perfezionata, perché sarebbe riuscita a mostrare che in definitiva l’esternità o indipendenza si dice sempre in rapporto al pensiero inteso come intenzionalità), la seconda perché pretende che una realtà così concepita sia conoscibile in se stessa.
Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaMa a questa argomentazione il realismo tradizionale è in grado di opporre una replica che si articola essenzialmente in due momenti. In primo luogo si tratta di far vedere che, lungi dal costituire l’alternativa più radicale al dualismo gnoseologico, l’idealismo ne rappresenta invece una semplice variante interna (come avevamo preannunciato a suo tempo). Infatti concepire il contenuto del pensiero come qualcosa la cui realtà consiste tutta e soltanto nell’essere pensato è sempre e comunque un gesto che implica “opposizione fra certezza e verità”: sempre e comunque, ossia non solo nel caso in cui si continui per altro verso a credere in una sfera oggettuale che, per essere dotata di quella autonoma consistenza che notoriamente il senso comune attribuisce alla realtà come tale, sarebbe per ciò stesso destinata a trascendere l’orizzonte intenzionale del pensiero.
Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaIl dualismo gnoseologico è operante anche (e forse ancor più!) quando il pensato viene ricondotto integralmente alla “creatività” del pensiero, per la semplice ragione che il nostro pensiero, come dicevamo in precedenza, è qualcosa che non può non riconoscersi come costitutivamente privo di ogni potenza ontica sui suoi contenuti, sì che nessuna pretesa creatività può essere inclusa fra le sue note fenomenologicamente rilevabili. Prova ne sia che l’idealismo romantico, ossia l’orientamento filosofico che ha profuso le maggiori energie nell’elaborazione di questa dottrina, ha dovuto riconoscere il carattere inconscio della “immaginazione produttiva” (autentico paradosso metodologico per una dottrina nata con lo scopo di ricondurre ogni momento della realtà all’intimità della coscienza!) e ha finito con il porre addirittura una vera e propria distinzione metafisica fra l’Io puro e un io empirico che in ultima istanza si rivela essere un “prodotto” dell’Io puro non diversamente da quanto lo è il non-io. Se dunque la filosofia da Cartesio a Kant, presentando i nostri contenuti mentali come “messaggi” inviatici dalla cosa in sé, si configura indiscutibilmente come dualismo gnoseologico a parte obiecti, ecco che l’idealismo postkantiano, con la sua paradossale celebrazione di una creatività sconosciuta allo stesso creatore, si presenta in maniera altrettanto certa come un dualismo gnoseologico a parte subiecti.

Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaMa se l’oggetto che invia messaggi non è il nostro oggetto e se il soggetto che crea i propri contenuti non siamo noi; se, in altre parole, tanto la causalità esercitata dall’oggetto quanto la creatività dell’io sono “stati di cose” estranei alla nostra effettiva esperienza, allora il soggetto che noi siamo è semplicemente un soggetto che ha presente la realtà, e quest’ultima è qualcosa che, altrettanto semplicemente, appare o è data al medesimo soggetto.
Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaBen lungi, allora, dall’ammettere l’oggetto come dato per averlo dogmaticamente concepito come “già” esistente prima del suo attuale, concreto manifestarsi, la filosofia premoderna registra in primo luogo, e in assoluta conformità al più puro e rigoroso metodo fenomenologico, la genuina datità dell’oggetto stesso e solo successivamente, dalla incontrovertibile premessa che qualcosa si dà o appare o si manifesta soltanto nella misura in cui la sua realtà non si riduce in linea di principio al suo darsi o apparire o manifestarsi (diversamente il manifestarsi si convertirebbe in un prodursi o in un venire all’essere e lo scomparire in un annullarsi o distruggersi, cioè in eventi che per loro natura rientrano in relazioni di tipo pratico e non già speculativo o teoretico), trae l’immediata conclusione che il contenuto della conoscenza trascende formalmente il suo rivelarsi hic et nunc, senza alcuna esigenza di passare per un processo deduttivo che, quando non si disconosce la datità e quindi l’oggettività del conosciuto, è del tutto superfluo e che d’altra parte, nell’unico caso in cui potrebbe apparire necessario – cioè nel caso in cui il conosciuto venga equiparato a una rappresentazione del soggetto –, non ha alcun senso (perché la sua conclusione dovrebbe risolversi nella pura e semplice negazione del punto di partenza: come può, infatti, una mia rappresentazione esistere anche quando… non me la rappresento?).

Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaQuesto è tutto ciò che la filosofia può e deve dire intorno al problema del “mondo esterno”, ed è pienamente sufficiente. Per il resto chiunque si rende conto che non può spettare ad essa stabilire, poniamo, se l’universo fisico sia o non sia vecchio di tredici miliardi d’anni, trascorsi per la massima parte nella totale assenza di qualsiasi forma di vita psichica che potesse fungere da osservatore, né se l’albero che ho visto stamani sia ancora là dove l’ho visto oppure non sia stato nel frattempo abbattuto da un boscaiolo o incenerito da un fulmine: fatta salva, com’è ovvio, la sempre possibile esistenza di casi-limite nei quali, per la coincidenza fortuita di due serie di eventi, avviene che l’istante in cui comincio a osservare qualcosa è il medesimo in cui quel qualcosa comincia a esistere o che l’istante in cui cesso di osservarlo è il medesimo in cui esso finisce di esistere.
Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaSi può allora concludere con assoluta certezza che il pensiero coglie una realtà che, come tale o in linea di principio, lo precede e gli sopravvive nel tempo, e che esiste dunque il mondo esterno come oggetto intenzionale del pensiero. Di fronte alla celebre osservazione kantiana secondo la quale è scandaloso che la filosofia non abbia ancora saputo elaborare una dimostrazione della realtà del mondo esterno, ci sembra più che mai appropriata la replica di Heidegger secondo la quale il vero scandalo è dato dal persistere della credenza che una tale dimostrazione sia necessaria.

Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaMa le considerazioni svolte fin qui, se da una parte valgono a mostrare l’intrinseca oggettività del conoscere umano contro ogni sua indebita soggettivizzazione in senso fenomenistico o relativistico, costituiscono per altro verso il fondamento più sicuro per l’edificazione di un corretto pluralismo conoscitivo, vale a dire per la messa a punto di una posizione che sia in grado di riconoscere la relatività e la storicità di ogni effettivo contatto umano con il vero senza per questo cadere nel relativismo e nello storicismo, e che sappia rendere giustizia all’innegabile intervento del soggetto nel fatto conoscitivo senza per questo declassare la conoscenza a evento meramente psicologico aprendo così la via allo scetticismo. Più precisamente potremmo dire che, se si guarda alla struttura del “dato” così com’è venuta delineandosi entro il modello gnoseologico illustrato e difeso in queste pagine, il suddetto pluralismo si presenta in una versione debole, ossia si manifesta come coesistenza di prospettive o di punti di vista complementari (destinati, come tali, a entrare in conflitto solo quando vengano indebitamente assolutizzati); se invece l’attenzione si sposta sul procedimento o sul metodo con il quale, appunto, il predetto modello è stato illustrato e difeso, allora il pluralismo cui si perviene è assunto in una versione forte, come scontro di punti di vista radicalmente incompatibili, ma non per questo è meno valido e importante, anzi forse lo è ancora di più.

Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaVediamo in breve. Particolarmente idonee alla chiarificazione del primo punto sono forse le pagine iniziali de L’essere e il nulla, là dove Sartre, com’è noto, ricorda il “notevole progresso” realizzato dal pensiero contemporaneo “col ridurre l’esistente alla serie di apparizioni che lo manifestano: si tendeva con ciò a sopprimere un certo numero di dualismi che impacciavano la filosofia”. [J. P. SARTRE, L’essere e il nulla, trad. Del Bo, Il Saggiatore, Milano 1965, p. 9.] Solo che ben presto ci si rende conto che tutti questi dualismi (interno-esterno, essere-apparire, potenza-atto) si convertono “in un nuovo dualismo: quello del finito e dell’infinito”. [Ibid, p. 11] Infatti, dopo aver osservato che ognuna delle apparizioni che manifestano l’esistente “rinvia alla serie completa” delle apparizioni stesse “e non a un reale nascosto che verrebbe ad assorbire per sé tutto l’essere dell’esistente”, [p. 9] e dopo aver parimenti sottolineato che “l’essenza come ragione della serie non è che il legame delle apparizioni, cioè essa stessa un’apparizione… così l’essere fenomenico si manifesta… e non è altro che la serie ben collegata delle sue manifestazioni”, [p. 10] il pensatore francese soggiunge che “l’esistente, in effetti, non può ridursi a una serie finita di manifestazioni, perché ciascuna di esse è in rapporto con un soggetto in perpetuo cambiamento”. [p. 11] La serie delle apparizioni è dunque infinita e ciascuna di esse rimanda a tutte le altre. “Questa nuova polarità, il finito e l’infinito, o meglio ‘l’infinito nel finito’ si sostituisce al dualismo dell’essere e dell’apparire: ciò che appare, infatti, è solamente un aspetto dell’oggetto e l’oggetto è tutto intero in questo aspetto, e tutto fuori di esso”, [Ibidem] perché la serie non apparirà mai eppure ognuna delle apparizioni rimanda a tutta la serie. “Così il fuori si oppone di nuovo al dentro, e l’essere-che-non-appare all’apparizione. Parimenti una certa ‘potenza’ ritorna ad abitare il fenomeno e a conferirgli appunto la sua trascendenza: la potenza di essere svolto in una serie di apparizioni reali o possibili”. [Ibi, p. 11-12]

Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaTutto ciò attesta a meraviglia come già nel suo campo d’applicazione apparentemente più semplice e banale, che è quello della percezione sensibile e del contatto con i più comuni oggetti d’esperienza, la tradizionale dottrina della verità come adaequatio rei et intellectus si riveli assolutamente incompatibile – se intesa in maniera coerente ai propri assunti fondamentali – con qualunque cattura razionalistica della res da parte del soggetto, e vieti dunque di porre fra conosciuto e conoscente un'unità assoluta, monolitica, ingenua. Ogni apparizione è genuina manifestazione dell’oggetto, ci è stato autorevolmente ribadito; eppure in ognuna di esse il soggetto – consciamente o no, volontariamente o no – gioca un ruolo decisivo, non foss’altro che per avere “selezionato” proprio quel particolare aspetto della res fra innumerevoli altri e quindi per aver assunto proprio quella “prospettiva” (il che significa in primo luogo quella particolare collocazione spaziale, se parliamo di conoscenza sensibile; ma poi, anche a non voler uscire immediatamente da questo ambito, significa altresì quel sistema di interessi, di esigenze, di desideri, di pregiudizi… con cui già a livello percettivo ci accostiamo alle res, su su fino alle ideologie vere e proprie, alle fedi, alle “visioni del mondo” e a tutto ciò che in un modo o nell’altro rientra in quel capitolo delicatissimo dell’antropologia filosofica che è lo studio dei condizionamenti “pratici” del pensiero).
Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaVeniamo ora al secondo e per certi versi ancor più fondamentale aspetto. Lo scopo essenziale di questo saggio è consistito, come si è visto ampiamente, nella difesa (élenchos) di una determinata evidenza dallo storico tentativo di negarla. Ora, in sé o in linea di principio è certamente vero che simili negazioni possono essere ribattute con successo – rivelandosi pertanto come meri, velleitari “tentativi” di negazione – se e solo se ciò che esse negano è qualcosa di realmente evidente, ossia qualcosa che non si limita a captare il nostro assenso a livello puramente psicologico: sì che in tal senso si può e si deve dire che la verità non ha come tale bisogno del riconoscimento degli uomini.

Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaTuttavia quoad nos non è meno vero che un determinato asserto è realmente evidente, ossia – di nuovo – non è qualcosa che sappia unicamente suscitare in noi un consenso sul piano psicologico, se e solo se riusciamo a confutarne la negazione. In sé o in linea di principio non c’è dubbio che quest’ultima viene da noi confutata perché è falsa; ciò non toglie che inizialmente o in prima battuta ci sia possibile dire solo l’inverso, ossia che è falsa perché l’abbiamo confutata. Ma questo equivale ad affermare l’essenziale dialogicità del logos (umano): il silenzio dei negatori della verità è per noi il silenzio della verità stessa, giacché se questa non si realizza come toglimento della sua negazione, per noi non si realizza affatto. Il logos è dia-logo, dialogo fra la verità e la sua negazione, al di fuori del quale la verità umanamente non vive; e l’errore può essere davvero tolto solo sforzandosi di capirlo a fondo, non già mettendolo a tacere e così rinunciando a comprendere i motivi che lo ispirano.
Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaCi troviamo qui di fronte a una dimensione del pluralismo gnoseologico che da un lato appare dotata di eccezionale rilevanza speculativa, affondando le sue radici nella costituzione stessa della ragione umana e rivelando dunque una portata autenticamente trascendentale (nel senso moderno di questa espressione), dall’altro racchiude fondamentali implicazioni antropologiche ed etiche, per di più mostrandosi suscettibile di un’immediata proiezione sul piano etico-politico. Relativamente a quest’ultimo aspetto non occorre certo ricordare la particolare sensibilità dimostrata da quella tradizione liberale alla quale non sono stati storicamente estranei, del resto, filoni non trascurabili dello stesso pensiero cattolico; qui diremo soltanto che un po’ sotto tutti i profili della questione ci sembrano particolarmente felici ed efficaci i seguenti due passi di J. S. Mill, che sono tratti dal suo noto Saggio sulla libertà e che poniamo volentieri al termine di queste nostre riflessioni.

Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolica“La perdita di un aiuto così importante all’intelligente e viva comprensione di una verità, come è quello dato dalla necessità di chiarirla o difenderla nel contraddittorio, è una conseguenza negativa non trascurabile dell’universale riconoscimento del vero, anche se non ne supera i benefici. Quando questo aiuto viene a mancare, confesso che vorrei che i maestri dell’umanità ne cercassero un surrogato – uno strumento che renda chi studia una data questione altrettanto cosciente delle sue difficoltà che se gli venissero contestate da un oppositore teso a convertirlo”. [J. S: Mill, Saggio sulla libertà, trad.Magistretti, Il Saggiatore, Milano 1997, pp. 50-51.] “E’ molto peggio che assurdo rifiutare, quando ci si offre spontaneamente, ciò che quando manca è così indispensabile eppure così difficile creare. Se ci sono persone che negano un’opinione generalmente accettata o che la negherebbero se la legge o il pubblico glielo permettessero, ringraziamole, ascoltiamole a mente aperta e rallegriamoci che qualcuno faccia per nostro conto ciò che altrimenti dovremmo fare da soli, e con fatica molto maggiore, se abbiamo un minimo di rispetto per la certezza o la vitalità delle nostre convinzioni”. [Ibi, p. 52. Dello stesso tenore osservazioni come queste: “Se si vietasse di dubitare della filosofia naturale di Newton, gli uomini non potrebbero sentirsi così certi della sua verità come lo sono”, p. 25. “(…) se una verità fondamentale non trova oppositori è indispensabile inventarli e munirli dei più validi argomenti che il più astuto avvocato del diavolo riesce a inventare”, p. 43.]

APPENDICE

Sulla libertà del volere.

Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaVale forse la pena – al termine di questa nostra indagine – di accennare, sia pure di sfuggita, a una questione che è per molti versi analoga a quella del realismo e che ugualmente si presta ad avvalorare la nostra tesi di fondo: si tratta della discussione intorno a quell’altra fondamentale verità di senso comune che è la libertà del volere umano. Se ciò di cui abbiamo parlato qui concerne strettamente la dignità e il valore della coscienza teoretica, la libertà è dal canto suo l’attributo che fonda la dignità e il valore della coscienza pratica (cioè, appunto, della volontà). E la profonda, tutt’altro che “buonsensistica”, dottrina aristotelica della a-fisicità dell’anima, così come ci garantisce la giustificazione più rigorosa del primo punto, ci offre anche la più solida base per affermare il secondo; laddove il determinismo tende spesso a richiamarsi, nella sua opposizione al senso comune, a un elemento, profondamente radicato nella coscienza ordinaria, che è in definitiva lo stesso su cui fanno leva i negatori dell’oggettività del conoscere. Forse tale elemento non è stato mai espresso in tutta la storia della filosofia con la medesima lucidità ed essenzialità con cui ha saputo esprimerlo Schopenhauer nella dissertazione sulla libertà del volere da lui elaborata in risposta a un quesito della Regia Accademia norvegese delle Scienze. Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaSi legga il brano che segue.

Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolica“Ogni existentia presuppone una essentia, cioè ogni essere deve anche essere qualcosa, avere una determinata essenza. Non può esserci e nello stesso tempo non essere niente (…) Infatti ogni essere deve avere una natura essenziale ad esso peculiare in virtù della quale è ciò che è, una natura che esso mantiene sempre e le cui manifestazioni sono provocate dalle cause o necessità, mentre questa natura stessa non è opera di quelle cause né con esse modificabile. Tutto ciò vale per l’uomo e per la sua volontà come per tutti gli altri esseri nella natura: anche lui ha oltre all’existentia una essentia, cioè fondamentali qualità essenziali che costituiscono precisamente il suo carattere e abbisognano soltanto dell’occasione esterna per manifestarsi (…) Il libero arbitrio, a guardar bene, sarebbe una existentia senza essentia, come dire che una cosa è e nello stesso tempo non è nulla, ossia non è, e questa è una contraddizione”. [A. SCHOPENHAUER, La libertà del volere umano, trad. Pocar., Laterza, Roma-Bari 2001, p. 103.]

Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolica Questa argomentazione sarebbe effettivamente inoppugnabile, se non fosse per la sopra ricordata impossibilità di vedere nella coscienza, teoretica e pratica, una semplice realtà fra le altre, chiusa nella sua determinatezza e nel suo limite esattamente come lo sono le altre realtà: si tratta di un’impossibilità della quale il pensatore di Danzica mostra di non avere il minimo sentore e che ovviamente è una cosa sola con l’impossibilità che “valga per l’uomo e per la sua volontà tutto ciò che vale per gli altri esseri nella natura”.
Aurea Domus - Metafisica e teologia cattolicaNella medesima opera si trova scritto anche che “il problema del libero arbitrio è realmente una pietra di paragone con la quale si possono distinguere le menti profonde dalle superficiali”. [Ibi, p. 105] Pienamente d’accordo: forse, però, si deve attribuire proprio a Schopenhauer la superficialità che egli crede di ravvisare nei fautori del punto di vista opposto al suo. [Per questa discussione si veda il nostro Libertà e infinito. La dimensione ereticale del logos, Studium, Roma 2002, pp. 73 ss.]

* Professore Associato di Filosofia teoretica nella Facoltà di Scienze della Formazione dell’Università Cattolica del Sacro Cuore.

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