Abbiamo visto così
[nei paragrafi precedenti] due capolavori d’arte sacra in cui la figura della Sinagoga è rimarchevole, centrale.
Sia che la sua presenza rimandi a ‘Sinagoga in quanto venerabile Chiesa dell’Antica Alleanza’, sia che divenga
invece simbolo della ‘Sinagoga in quanto Chiesa apostata infedele all’Alleanza’.
Il significato più
prepotente è il secondo, poiché l’Antica Alleanza è naturalmente amica della Chiesa; c’è
tra le due anzi un’affinità di sangue, se con questo si allude all’agnello sgozzato nel quattordicesimo giorno
del mese ‘delle spighe’ per centinaia di anni, o a quello sgozzato una sola volta sulla croce. Dove dunque c’è
amicizia non c’è combattimento. E l’amicizia parentale tra le due Alleanze, tra le due Chiese, in questa continuità
di essenze, è notoria, cosicché tutta la cristianità paleo e medioevale proprio così la figura quando
affianca le pareti di storie di Patriarchi e di Profeti ebrei alle pareti cristiane.
Giotto dipinge la sua Sinagoga
con intenti tanto decisamente diacronici quanto assolutamente adicotomici. Non più, quindi, la visibilità
dei resti di un combattimento, non più vinti e vincitori, non più alienità e cacciate: non più dicotomie.
A un tempo (cronos) di ombre e di figure segue un tempo di realtà e di verità, e certo un tempo esclude
l’altro, perché due tempi insieme non si possono dare; però i due tempi sono consentanei, amici, alleati,
come due atleti che nella corsa si passano il testimone. Il sacro Testimone è il Cristo. Le due Chiese corrono al cielo
con gli occhi della fede fissi in lui: una lo annuncia precedendolo, l’altra seguendolo.
Enrico Scrovegni, novello
Zaccheo, pentito della sua prava vita di usuraio, con il padre Reginaldo 1 [La
maggior parte dei critici ritiene che Dante preferisca gettare Reginaldo Scrovegni nell’Inferno degli usurai, riconoscendolo
nel « padovano » della XVII Cantica, vv. 64-75. Vero è che Scrovegni padre fu unito al figlio nella
pia opera dell’erezione della cappella, mentre si sa meno sulla sua partecipazione alla restituzione del maltolto.]
progetta un ritorno a Dio in grande stile: restituisce il maltolto ai depredati e fa erigere una grandiosa cappella atta poi a
custodire le ossa della famiglia, ormai riconciliata con il Re del secolo venturo.
Il suo intento quindi,
di erigere una magnifica chiesuola a gloria di Dio ‘suprema Misericordia’, è un intento largamente pacificante,
e come tale si trasfonde nelle mani dell’artista più pacifico dei dintorni, il magnifico Giotto (Biagio? Ambrogio?)
di Bondone.
Costui infatti, quanto
alla virtù soprannaturale della pace, sembra possederla in modo eminente, e tale sua essenza particolare la si può
cogliere soprattutto da questo: che i volumi delle sue figure, dei suoi contadini, dei suoi santi, dei suoi pastori e persino
dei suoi soldati sono volumi larghi, calmi, rotondi, sono immense masse di mantelli dalle pieghe morbide, pesanti, scultoree.
I colori stesi non li enumero: vanno guardati, sono densi, carichi, pastosi, assonanti tra loro e somiglianti in questo più
alle distese sonorità dell’organo che alle dolci percussioni di un clavicordo (Simone Martini) o ai pizzicati di
un’arpa (Duccio), poiché mai squillano per quanta luminosità emanino. Per dirla con due parole: colori pregni,
non vividi. 2 [Tecnicamente, la cosa veniva risolta così: «
[Per il procedimento dell’ombreggiatura, ripresa da Giotto, il pittore e teorico della pittura Cennino Cennini] afferma
che il pigmento deve essere usato alla sua massima saturazione pr le pieghe più profonde, ed essere progressivamente schiarito
con la biacca man mano che si affrontano le lumeggiature, permettendo così alle pieghe più profonde di una veste
di non essere più scure della tonalità completamente satura » (Philip Ball, Colore. Una biografia,
Rizzoli, Milano 2002, cap. V: Maestri di luci e ombre, § Controllare il colore, pagg. 115-16).]
I visi dalle guance distese come colline dalle carnagioni rosate, tutti visi seri, profondamente seri anche quando accennano
(ma raramente) a un sorriso: trasmettono sentimenti intensi di gente dal cuore stabile, calmo, riflessivo, trasformato dalla fede
nell’eternità. E quegli occhi sempre marroni e sempre allungati, così ‘giotteschi’, che non ridon
mai, sono lo specchio di intelletti cristiani, tutti sopramondani.
Queste caratteristiche
trasfondono nelle pitture del Maestro un ritmo lento, nobile, alto, e contemporaneamente anche pastorale: in ogni caso lontano
(sacro) dal mondo. La ricchissima distesa di azzurro (quella sì: ben vivace) che pervade tutta la cappella non permette
di immergersi nella realtà soprannaturale in quanto regalità, come avviene nella Madonna di Ognissanti
o nella Dormitio Virginis, ritagliate come sono esse su fondi profusi d’oro; ci si immerge bensì nel soprannaturale,
essendo l’oro il colore del re ma l’azzurro (quel particolare azzurro, certamente il più costoso: l’oltremare,
ottenibile solo dal lapis lazzulo) il colore della religione, il colore più consonante a Dio, alla sua pura deità.
Come si sa, l’immenso
e intimo ciclo di affreschi della cappella patavina è tutto incentrato sulle storie che raccontano la Buona Novella: è
dispiegata la miracolosa discesa dell’Amore tra gli uomini, per la quale è data ai naufraghi riconciliati col Pietoso
la soprannaturale speranza di risalire alla Vita. Per quanto grandi siano stati i loro peccati, per quanto questi abbiano gridato
vendetta dinanzi a Dio, per quanto si siano induriti i loro cuori. L’azzurro profondo dei cieli si sparge per tutto il creato,
è l’azzurro di pace sopramondana di cui gli uomini hanno bisogno per sollevare le pietre che hanno nei petti. Enrico
Scrovegni, tornato alla Chiesa dopo il benefico rovesciamento spirituale, offre alla Vergine l’azzurra cappella dove, come
in un sacrario, ha posato il suo cuore emulsionato e dove vengono narrate le gesta della Misericordia per Maria concesse.
Le Storie di Gioachino
e Anna, dal cui porto salperà l’Arca della Nuova Alleanza, in alto sulla parete di destra sciolgono i cieli nel
primo effluvio d’amore, in vista della nascita dal seme di Adamo della perla della creazione, l’Immacolata Concezione,
colei per la quale Dio Padre permette, vuole, e dispone che i sacri sponsali tra il suo Santissimo Spirito e la sua amata
(oh quanto amata!) creatura, si compiano, e da essi fiorisca il Salvatore, il Pacificatore, il Pastore sommo delle pecore. 3
[« Secondo il Protovangelo, Gioachino era un uomo molto ricco e pio della tribù di David;
un giorno, recatosi per fare le sue offerte al Tempio, fu respinto dal sommo sacerdote perché non aveva figliuoli. Afflit-to,
si ritirò nel deserto, finché, per mezzo di un angelo ch’era apparso anche alla moglie Anna, non ebbe l’assicurazione
che il suo desiderio di paternità non era stato esaudito [dopo aver fatto voto di offrire al Si-gnore, cioè
al Tempio, la creatura che fosse nata da loro]. Ritornò infatti a casa, ed ebbe una bambina che chiamò Maria
» (Enciclopedia Cattolica, voce Gioachino, santo, vol. VI, col. 403).]
Che la salvazione del genere
umano sia la mira di Dio colta in flagrante da Giotto lo si vede precipuamente nella distesa immane del Giudizio escatologico
sulla parete di controfacciata, dimostrativo della ristabilita unità tra cieli e terra. Che il Messia sia re della Pace
è illustrato dal pittore in tutte le scene di quell’eccelsa vita, passata a pacificare Dio con l’uomo con il
perdono dei peccati, la natura con l’uomo con i miracoli risanatori, l’uomo con l’uomo con la sua conduzione
al supplizio. Pastori e pecorelle, per finire, sono poi qui in ogni dove, connaturali quasi e al pittore, e al dipinto, e al pittato.
Tutto questo prolegomeno
per dire che lo spazio intenzionale in cui si inserisce la figura della Sinagoga è stavolta lo spazio largo e caldo degli
affecta. Quindi una dimensione ortogonale rispetto a quelli di Parma e Strasburgo, attenti entrambi, piuttosto, ai più
razionali e distaccati iudicia.
A Parma Benedetto Antelami
scolpisce il mondo nei due estremi, diviso nell’avere (o non avere) speranza che quel cadavere sia il Messia, quindi se
riporre (o non riporre) la propria vita, unico tesoro dell’uomo, in quel morto là: i figli della luce sono condotti
dinanzi alla Pietra giudiziale (il corpo inerte del Cristo) dalla Chiesa vincitrice; quelli delle tenebre dalla Sinagoga inchinata:
extra Ecclesiam nulla salus. Viene compiuto un giudizio e viene mostrato il momento esatto in cui tutti gli uomini di tutto
il mondo devono compiere il proprio giudizio: giudico di avere fede nella “Pietra scartata dai costruttori”,
4 [Vedi Matth., XXI, 42b: « Non avete mai letto nelle Scritture:
‘La pietra rigettata dai costruttori è quella che è diventata pietra angolare; dal Signore è stato
fatto questo ed è cosa meravigliosa ai nostri occhi’? ».] nel Cadavere esimio da deporre nella pietra
tombale e ormai Pietra tra le pietre, giudico di non averla. O Chiesa, o Sinagoga.
A Strasburgo, al centro
dell’Europa, l’anonimo borgognone stabilisce i quattro punti cardinali dell’impero universale del Giusto, per
il quale, uno: si dà una giustizia umana retta poiché, due: essa è in vista di una Giustizia
suprema e definitiva dalla quale riceve la misura a causa, tre: della fede petrina della Chiesa vincitrice sulle ingiustizie
e, quattro: dalla quale, nella Sinagoga bendata, è misurata e trovata scadente per l’enumerazione di inutili
meriti accecanti la fede.
A Padova, viceversa, lo
Spirito d’Intelligenza risponde ai buoni sentimenti da lui stesso suscitati, che non hanno trovato nei cuori degli uomini
recessi o anfratti in cui incagliarsi, e risponde infondendo quest’altro modo di Dio di giudicare il mondo che è
il giudizio di misericordia e di perdono. Forse che esso confligge col primo? Niente affatto. I due giudizi, emulsivo o
rigoroso, sono in Dio fratelli e, anzi, non si può dire nemmeno che siano due facce di uno stesso divino Cratere,
poiché ancora si farebbe un torto, con questa espressione inadeguata, all’intima congruenza che rigore e pietà
trovano in Dio. Come se una fosse conca e nido, di rimando, all’altra.
Questo per sottolineare
il continuum semantico tra Parma/ Strasburgo/Padova.
Lo Scrovegni quindi, considerando
la sua ascesi verso un’immeritata ma provvidenziale e tempestiva salvezza, spinge Giotto, e i teologi da cui i due sono
attorniati, a dispiegare, di Dio, l’illustrazione più estensiva della sua magnifica magnanimità.
È in questo quadro
che va vista la presenza della donna velata, misteriosa creatura anche coloristicamente fuori del tempo e della città,
testimone del sacro abbraccio di Gioachino e Anna davanti alla Porta d’Oro di Ierusalem.
Per Giotto questo
è il preciso momento in cui decàde il dominio del Patto di ombre e di figure, il Primo Patto compromissorio della
bontà di Dio, questo è il preciso momento in cui finalmente esultano i cieli e la terra per il passaggio dalle ombre
alla luce, dalla carne allo spirito, dalla figurazione alla verità. Giotto, con i suoi sapienti teologi, forza audacemente
all’indietro il tempo del Rogito, intuendo che la cessazione della chiusura delle Porte celesti sulle eterne dolcezze del
sacro Hortus conclusus, e l’inizio della loro sesquipedale apertura (alla Porta d’Oro), si ha precisamente
nel momento del santo concepimento della Vergine delle Vergini, la profetizzata madre dell’Emanuele.
La retrodatazione del decisivo
evento deve sottolineare l’aspetto misericordioso del Giusto Giudice: deve sottolineare l’ardore del desiderio di
Dio, per la cui arsione furono anticipati i tempi della misericordia. E’ un segno che, nella Cappella della misericordia,
non può non essere evidenziato. Ecco spiegata l’estensione smodata delle storie di Gioacchino e di Anna, i casti
genitori della Sposa del gran Re.
Certo il pittore non poteva
illustrare il momento sacrale del concepimento della Semprevergine: per questo, simbolicamente, evoca l’incontro dei due
sposi, il dolce e casto abbraccio, l’amoroso e pudico bacio, davanti alla porta fulgida di Ierusalem in una cuspide
al cui Termine divino la distesa triangolazione delle due figure misticamente rimanda. La porta della città santa, simbolo
aulico della condiscendenza di Dio, sancisce l’avvenuta unione; il suo oro riflette la regalità del concepimento;
il suo arco la sacralità sacerdotale cui prelude; l’uscita per esso delle vergini la ricezione pubblica, allargata
a tutta la città, dell’avvenuta arcana novità; l’attonito pastore la divulgazione della lieta Notizia
ai poveri e ai semplici di tutta la terra.
La dottrina dell’Immacolata
Concezione fu sancita solennemente con una definizione dogmatica da Pio IX l’8 dicembre 1854, 5
[« La santissima Vergine nel primo istante del suo concepimento, per singolare grazia e privilegio
di Dio Onnipotente, in previsione dei meriti di GESÙ Cristo, Salvatore del genere umano, fu preservata immune da ogni macchia
di peccato originale » (Pii IX Pontificis Maximi Acta, Roma 1854, I, p. 616, Bolla Ineffabilis Deus).]
ma, come si vede anche in questa cappella, essa era presente alla cristianità di ogni tempo. E di questo ne fa segnale
potente proprio la presenza della donna in viola, della venerabile Sinagoga.
Sarà proprio la
Bolla Ineffabilis Deus, cinque secoli e mezzo più tardi, a suggellare il partito (francescano) preso da Giotto e
dai religiosi suoi consiglieri per la spirituale ‘maculatezza’ di Maria. Questa santificazione previa ha la particolarità
di esaltare in grado superlativo la magnanimità del Creatore offeso verso la creatura offendente. Il peccatore Enrico Scrovegni,
presentando umilmente alla Vergine il proprio cuore/cappella il 25 marzo del 1305, intese venerarla particolarmente ed esprimerle
la propria fede in tutti i fatti narrati negli Evangelia, così come erano tramandati dalla santa Tradizione.
Questo è un punto
finissimo da riconoscere anche oggi, anche cioè in un tempo in cui, probabilmente per timore delle reazioni delle sette
protestanti, gli uomini di Chiesa preposti a farlo non danno alla Tradizione il valore sorgivo di Rivelazione che il dogma le
attribuisce accanto alla Scrittura. Ma la frescatura di pareti e pareti con le narrazioni delle sacre Storie non è mero
atto artistico, non acquieta solo il sentimentalismo delle genti. Al contrario, le va riconosciuta la valenza di testimonianza
in senso forte, da parte di tutta la cristianità, sui punti dottrinali fondamentali, non solo a titolo di universale Biblia
pauperum, ma anche a quello, di cui a torto mai si parla, di Traditio Fidei pauperum, icastica testimonianza di un
Magistero universale della Chiesa ben sedimentato nei cuori dei popoli.
È un fatto che gran
parte dei quadri parietali patavini proviene da letture di Apocrifi. Ma proprio qui sta il punto: che tali letture si dimostrano
prudenti, ben consigliate, anzi tanto probanti da indurre un Papa, Benedetto XI, a promulgare un’indulgenza per tutti coloro
che in spirito di umiltà li avessero visitati. Biblia e Traditio incontrano nell’universale
consenso popolare (ma non solo) il sigillo della fede.
Della Sinagoga si intravede
a mala pena un poco della bianca carnagione. L’ampio mantello violaceo, scurissimo, pesante, come un sarcofago nasconde
la forma muliebre. Ma tanto basta alla venerabile, eccezionale Testimone, per dire e poter far dire che l’Antica Alleanza
è lì, in quel mezzo sguardo: è lì e ha suggellato il fatto, è lì e ha presenziato allo
storico evento che esaurisce la sua santa funzione. 6 [Infatti, che Gioachino fosse
allontanato dal Tempio perché, con Anna, senza progenie, stava a significare che la sterilità della coppia era nocumento
alla santa Nazione, alla venerabile Sinagoga, quando questa santa Nazione sentiva il carico soprannaturale di dover fornire
all’umanità il suo Redentore. La venerabile Sinagoga, concependo in Anna la Vergine Maria, Madre di Dio, assolveva
al sopramondano compito affidato da Dio al santo patriarca Abramo.] Quasi che, incamminati i due sposi aureolati verso
la città che li attende, la Donna antica che fin là li ha portati possa tutta ricoprirsi e di nuovo interrarsi col
mantello, scomparire nei recessi che Dio le ha serbato, a penitenza di tutte le colpe che da secoli la gravano.
Perché colpe? perché
penitenza? L’Antica Legge ha dei meriti altissimi, unici, incomparabili: tra i marosi dei popoli pagani, essa costituisce
la sola arca di adorazione al vero Dio. Perché allora quel viola? perché allora la pena?
Lo spiega la Scrittura:
tutti i libri dell’Antica Alleanza dicono che il popolo che la sottoscrisse mancò ad essa in ogni momento, e che
causa di tutte le mancanze fu sempre e solo la caduta della fede di quel popolo nel suo Dio. La Chiesa ebraica era Chiesa proiettata
a Cristo, non realizzata in Cristo. L’immacolatezza della Chiesa vera, quella nata dal costato di Cristo,
dipende tutta dall’essere, appunto, misticamente (e non solo moralmente, ma ontologicamente) scaturita dal
Cristo: l’apertura del costato è l’apertura dei cieli, è l’apertura dei sacri giardini. Prima
di quella ferita le porte dei giardini celesti erano chiuse, e la Chiesa sinagogale peccabile.
Questo è il punto
semantico forte della presenza della Sinagoga abbrunata dinanzi alla Porta d’Oro di Ierusalem. Giotto, a rigor di
termini, avrebbe dovuto porla sotto la croce, qui realizzandosi il momento dello scadere della Vecchia Alleanza definito dai teologi,
subentrando la Nuova. Infatti, fino a che la passione di Cristo non avviene, non avvengono i suoi effetti. La Chiesa nasce dal
costato ferito, non prima e non da altro. Allora perché Giotto sposta la Sinagoga dalla croce alla Porta, ovvero a esattamente
mezzo secolo avanti? Lo si è visto: perché i Padri della Chiesa, e poi un pronunciamento ex cathedra, definiscono
essere, la concezione di Maria, immacolata, purissima. Giotto, da questo, arguisce che Maria, Nuova Arca di Dio, appartiene come
limpido embolo al Nuovo Patto, quello suggellato dal sangue di suo Figlio. Invece Gioacchino, Anna e tutti i loro speranzosi contemporanei
appartengono ancora all’Antica Legge.
Obiezione: però
anch’essi sono aureolati d’oro. Vero, e molto pertinentemente. Qui siamo giunti al centro del dilemma: i sacramenti
dell’Antica Legge, ovvero la circoncisione, santificano o non santificano l’uomo? causano o non causano la grazia?
Il quesito divise molto
i teologi, e lo stesso san Tommaso ammise candidamente di aver sostenuto nella maturità un pensiero inverso al giovanile.
La questione, bisogna aggiungere, è rilevante, poiché intorno ad essa si stabilisce, simpliciter et maxime,
se il Cristo, la sua passione, la sua dolorosissima morte, siano servite a qualcosa. Riteniamo, ancora una volta, che la posizione
dell’Angelico sia la più calibrata, superiore a quella di tutti i suoi contemporanei in quanto, tra tutte le posizioni
teologiche che scorrono all’interno dell’esteso del dogma, la sua sia la posizione maggiormente protettiva del carattere
ultramondano ed extrameritorio della grazia.
Per questo studio bisognerà
limitarsi a citare, sull’argomento, solo i suoi due luoghi più significativi. Prima domanda: Se i sacramenti dell’antica
legge causassero la grazia. Nel ad. 3 7 [ ‘Ad 3’,
ovvero ‘ad Tertium dicendum’, cioè nella risposta alla terza obiezione dell’articolo.]
dell’articolo, l’Aquinate, in fine, nota: « È meglio dire dunque che la circoncisione, come gli altri
sacramenti dell’antica legge, era solo un segno esterno della fede giustificante; infatti l’Apostolo afferma che “Abramo
ricevette il segno della circoncisione, quale segno della giustizia della fede”. 8 [Ad
Rom., IV, 11.] Ecco perché nella circoncisione, quale segno della futura passione di Cristo, veniva conferita
la grazia, come vedremo in seguito » (Summa Theol., III, q. 62, a. 6).
E il seguito è questo.
Alla domanda: Se la circoncisione conferisse la grazia santificante, il Dottore risponde: « Perciò si deve
concludere che nella circoncisione veniva conferita la grazia rispetto a tutti gli effetti di essa, ma in modo diverso che nel
battesimo. Infatti nel battesimo la grazia è concessa in virtù dello stesso sacramento, virtù che il battesimo
ha in quanto strumento della passione di Cristo già compiuta.
« La circoncisione
invece conferiva la grazia in quanto era simbolo della fede nella passione futura di Cristo, nel senso che l’uomo ricevendo
la circoncisione dichiarava di abbracciare tale fede; o direttamente, come facevano gli adulti, o per mezzo di altri, nel caso
dei bambini. Per questo anche l’Apostolo dice che “Abramo ricevette il segno della circoncisione come segno della
giustizia della fede”, 9 [Ibidem] appunto perché la giustizia
si dice che veniva dalla fede significata, non dalla circoncisione significante.
« E quindi, poiché
il battesimo, a differenza della circoncisione, opera strumentalmente in virtù della passione di Cristo, il battesimo imprime
il carattere che incorpora l’uomo a Cristo e conferisce più grazia della circoncisione: maggiore è infatti
l’effetto di una realtà già presente che quella della sua speranza » (Summa Theol., III,
q. 70, a. 4).
La Sinagoga velata è
la “circoncisione significante”; invece la Chiesa, la Città santa turrita, nuova Ierusalem, è
la “fede significata”; la Porta d’Oro è la nuova grazia della fede, anzi è lo stesso Cristo,
unica porta d’accesso al Padre: 10 [Confronta con Ioan., X, 7: «
GESÙ dunque disse loro di nuovo: “In verità, in verità vi dico: Io sono la porta delle pecore”.
».] aurea per la natura divina di lui. La donna violacea è in piedi proprio accanto al suo stipite,
quasi a significare di essere arrivata fino all’ingresso della città dell’Apocalypsis, la rivelata Città
celeste, ma di non poter oltrepassare quell’arcano.
C’è un particolare,
però, che chiarisce definitivamente [...].
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