Fonte
primigenia della bellezza è il Dio trinitario. Partendo da questa certezza è possibile discernere i contenuti profondi
di molti secoli di arte sacra, la quale rimane uno dei più nobili strumenti di conoscenza del divino.
La tematica è stata
approfondita in modo sistematico da Enrico Maria Radaelli, docente di Filoofia dell’Estetica e Filosofia della Conoscenza
presso la Pontificia Università Lateranense e direttore del Dipartimentodi Estetica dell’Associazione Internazionale
“Sensus Communis” di Roma.
Il professor Radaelli è
autore di numerosi volumi sull’argomento, in particolare Ingresso
alla Bellezza. Fondamenti a un’Estetica trinitaria (fedecultura,
Verona, 2007) e di una biografia su Romano Amerio: Romano
Amerio. Della verità e dell’amore
(Marco Editore, Lungro di Cosenza, 2005).
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L’estetica
secondo i pagani e secondo i cristiani: quale novità apportarono i Padri della Chiesa in questo ramo della filosofia?
Qui, per capire le cose,
bisogna alzarsi subito come aquile. Infatti dobbiamo renderci conto che il Figlio di Dio governa i secoli dall’alto sia
prima che dopo la sua incarnazione nel Cristo, sicché già in Platone e Aristotele il suo amore prepara gli uomini
ad avvicinare verità a bellezza, giacché, posto che una luce risplende nella sua propria luce, già per i
pagani Dio è massimamente vero tanto quanto è massimamente bello.
Le novità portate
dai Padri e in specie da san Tommaso sono molte. La prima è che Dio non solo è la Pulchritudo, ma, col Cristo,
è anche il suo portatore, è ‘Pulcriforo’: Egli insieme alla Verità porta agli uomini la gloria
della propria Bellezza.
In Gesù l’invisibile
diventa visibile: il « Chi vede me vede il Padre » di Gv 14,9 è il mistico asse dell’immenso
arcobaleno che la bellezza apre sul mondo: arcobaleno preparatorio e velato nei secoli scuri che si aprono al Cristo, arcobaleno
fulgido e conclusivo nei nostri ripieni di Cristo.
Cosa si intende per ‘estetica
trinitaria’?
Vede, per contrastare lo
scetticismo, il relativismo e il fideismo del pensiero contemporaneo il cristiano ha nella ss. Trinità uno strumento formidabile:
ha il Verbo, la Ragione che nasce dalla Mente del Padre. L’
‘estetica trinitaria’ è quel pensiero che guarda la faccia luminosa e bella del Verbo, della Ragione, e, così
guardandola, scopre che lo splendore è quello di uno Specchio che riflette pienamente la Mente genitrice, come affermano
le Scritture: « Il quale [Figlio] è l’immagine dell’invisibile Dio [Padre] » (Col.
1,15); « Il quale [GESÙ] è l’immagine di Dio [Padre] » (II Cor. 4,4); «
Il quale [Figlio], splendore della gloria e figura della sostanza sua [di Dio]…» (Ebr. 1,3),
etc.
Nel suo volume “Ingresso
alla bellezza” Lei cita i concetti di “logos” e “imago”. Ci può spiegare la
dialettica che intercorre tra i due?
Ma certo: ecco le altre
prorompenti novità. San Tommaso, trasformate quelle parole in teologia, nella sua Summa mostra che il Figlio Unigenito
possiede, oltre il Nome già noto di Verbum, anche quello di Imago.
A mia volta ora io faccio
notare due fatti: primo, che il fiume della bellezza dunque non solo nasce in Dio, ma nasce solo in Dio Trinità:
nel Figlio, che è lo Splendore del Padre; secondo, che questi suoi due Nomi non possono fare a meno uno dell’altro:
come farebbe infatti il Verbum, il Pensiero, a presentarsi alla stessa Mente del Padre da cui nasce se non risplendesse
nell’Imago, nel Volto di questo Pensiero?
Difatti il Padre si bea
della propria potenza nella somma beltà del Figlio, che lo rispecchia tutto e magnificamente, come l’affresco della
Visione dei Cieli rispecchia la volta della cupola della Chiesa del Gesù a Roma, da cui quasi è emanato: il nesso
tra Verbum e Specchio, o Imago, è inscindibile, perché un pensiero deve essere sempre rappresentato,
e, simmetricamente – ecco la forte dialettica tra i due –, un’immagine deve sempre racchiudere un pensiero.
Ed ecco che così
ci garantiamo una volta di più che la ragione conosce: il suo stesso fondamento è conoscere, poiché la ragione
stessa da se stessa si rappresenta a sé, cioè si conosce; la ragione ha la propria immagine in cui si rispecchia
e si conosce (e, così conoscendosi, si ama).
Questo è un argomento
formidabile contro lo scetticismo di Cartesio e dei suoi più recenti epigoni, immersi nel gorgo del relativismo dove a
loro sembra che non si veda nulla, voragine infinita che insistono a chiamare di insensatezza e di incomprensibilità.
Ma
la ragione si conosce e da ciò si ama.
Cosa distingue l’arte
sacra dall’arte profana?
La filosofia estetica trinitaria,
che, come visto, è un approccio fatto apposta per conoscere, e conoscere lietamente, può affermare che sacra è
quell’arte che aiuta a conoscere Dio – la Trinità – attraverso il Volto di Cristo, che lo illustra in
tutta la volta dello spazio e del tempo: la Storia Sacra è il Volto di Cristo che si manifesta da Abramo all’acme
della croce, e che nell’Eucaristia sarà nascosto sacramento; la storia universale è il campo a cui Cristo
si svela e che Cristo via via raccoglie nella sua salvezza se la risposta è di buona volontà.
L’arte profana invece
scosta, contrasta e persino rigetta la conoscenza del Volto di Cristo, della Ragione, e lo fa con mille sotterfugi, da quelli
iniziati con le falsamente giulive allegorie profane del ’700 a quelli più apertamente aberranti, quali sempre più
spesso si trovano nell’arte di crisi che noi diciamo contemporanea, frutto marcio di un’accolita di professionisti
della provocazione che hanno rotto con la realtà, con la bellezza e con la gente.
Al giorno d’oggi
c’è ancora spazio per un’arte sacra, sostenuta da un’estetica genuinamente cristiana?
Oggi si è acuita
la contrapposizione frontale tra arte sacra e arte profana, il combattimento tra Arte-di-conoscenza e Arte-di-sconoscenza,
tra l’Angelo dalle ali d’oro della Bellezza e l’Angelo rattrappito della Bruttezza.
Quest’ultimo, avvolto
in un manto senza occhi, e percorsa la terra seminando relativismo, scetticismo e fideismo con orrori di ogni genere, ha fatto
irruzione anche nel Tempio di Dio, nel Luogo principe della Conoscenza, nella Rocca dove il Mistero della fede viene da secoli
illustrato attraverso le scene viste e conosciute dalla ragione, dagli occhi dei credenti in Cristo.
Per ricacciare Arte-di-sconoscenza
e i suoi sgorbi insensati, gli artisti e i teologi da cui sono guidati debbono riprendere la lezione trinitaria data dalla Chiesa
e culminata con Caravaggio, che “conoscere si può”, e che anzi solo col cristianesimo possono spargersi i riflessi
d’oro dell’Angelo della conoscenza.
Qual è il suo
giudizio sull’architettura ecclesiastica moderna contrapposta a quella tradizionale?
Le mille forme delle mille
tradizioni che hanno germogliato nei secoli cattedrali e cappelle di bellezza indescrivibile sono tutte fondate sul comune denominatore
dato dal nesso tra Imago e Verbum: quel nesso stabilisce che “conoscere Dio si può”, e si può
– anzi si deve – proprio guardando il Volto di Cristo.
Ma l’architettura
ecclesiastica moderna rompe questo sodalizio, alza le chiese non come fossero, per esempio, la croce in cui quasi entra ogni fedele,
ma come edifici simili in tutto a quelli civili, di modo che i fedeli entrano in chiesa come si entra nei centri commerciali,
negli uffici, negli stadi, nei cinema, così da non più entrare nella dimensione soprannaturale, non più salire
ai Cieli, come vi salivano entrando in cappelle o in cattedrali cruciformi innalzate intorno all’Ostia consacrata.
Chi non crede più
alla Presenza reale di Dio nella Consacrazione non alza più, per cingerla adeguatamente, edifici che somiglino al Cielo,
dove è Dio.
Quali differenze intercorrono,
anche sul piano estetico, tra la Messa tridentina e le celebrazioni secondo il ‘Novus Ordo’?
Dove nasce la Pulchritudo?
Nasce dal Nome Imago, dunque dalla Trinità e dalla celeste Liturgia che si compie nei Cieli. Questa Liturgia poi
discende nell’Incarnazione e nella Croce sulla terra: l’Imago si fa carne e si offre al Padre.
La Messa, anche la più
recente e odierna, dev’essere immagine sempre somigliante in tutto alla Prima, quasi una con essa, come lo è fino
alla Tridentina, e come invece nelle liturgie fabbricate a partire dal Novus Ordo non è affatto, per almeno tre
motivi: uno, che l’immagine della Prima liturgia è una Croce (un Sacrificio), mentre quelle del Novus Ordo
pretendono di essere invece quelle di una Pasqua (di una Cena); due, che oggetto della Prima è Cristo, e oggetto di quelle
è invece una comunità, la loro comunità; tre, che l’Ordine del sacerdozio è snervato nel sacerdozio
comune proprio a tutti i fedeli. Dunque la differenza fondamentale è che, perdendo le principali caratteristiche per somigliare
alla Prima, col Novus Ordo si è persa l’unità.
Il fideismo poi, uno dei
mostri più fieramente avversi al Figlio, perché strappa gli argomenti di ragione alla fede, si annida facilmente
nel Novus Ordo, intorno al quale sono state innalzate migliaia di chiese dove si è persa anche la minima intenzione
di decorare pareti, soffittature e volte con le realistiche storie dei santi e le pressanti Visioni dei Cieli, ossia mostrando
il Volto di Cristo nascosto nel Sacramento.
Dove inizia e dove
finisce la libertà di espressione dell’artista?
L’artista non è
un uomo più libero degli altri. Tutti gli artisti dovrebbero tendere a far conoscere la ss. Trinità, e ogni arte
è ordinata, nella sua specie e nel suo ordine – come ogni altra cosa del creato – a far risplendere agli uomini
questa conoscenza. L’artista è in qualche modo un insegnante, e la sua arte – il suo insegnamento – deve
essere, oltretutto, convincente.
La sua libertà d’espressione
dunque comincia dove cominciano il suo insegnamento e la sua capacità retorica (la sua poetica) per convincere l’osservatore
della verità insegnata, la quale verità, in pittura, scultura o architettura che sia, non può sfuggire alle
esigenze del Logos, a quell’imperio o governo del Logos da cui abbiamo iniziato e a cui nessun uomo di buona
volontà deve voler sottrarsi, perché solo uniformando sé e le proprie opere alla sua divina Imago,
al suo Volto irradiante bellezza e amore, potrà salvarsi e anche altri salvare.
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(Pagina protetta dai diritti editoriali.)
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