III.
(Segue da p. 1) Così ho letto il libro di Radaelli, e con questa lettura mi sono sembrate
convincenti tante sue argomentazioni, e mi sono sembrate opportune tante sue riflessioni; mi sono sembrate sostanzialmente giuste –
al di là delle espressioni verbali, forse talvolta irriguardose nei confronti dei legittimi Pastori – anche le sue osservazioni
sull’opportunità di gestire i rapporti con le altre religioni in un modo che rischia di ingenerare nell’opinione
pubblica cattolica quel relativismo dogmatico di cui parlavo; sono sicuro che queste osservazioni non intendono assolutamente alimentare
quella critica faziosa di persone e istituzioni che tanto male ha sempre fatto (e oggi più che mai fa) alla vita ecclesiale,
ma vogliono essere semplicemente un richiamo a interpretare bene ciò che avviene all’interno della Chiesa, senza scandalizzarsi
di alcunché ma senza nemmeno ignorare i problemi, assuefarsi all’errore o addirittura contribuire a diffonderlo.
La Chiesa, infatti, è quel campo seminato del quale parla Gesù: Dio creatore e redentore vi ha seminato il buon grano,
ma il Nemico vi ha poi seminato anche la zizzania, approfittando del fatto che « gli uomini dormivano » (Matth.,
XIII, 25); ora (nel tempo che va dalla fondazione della Chiesa fino alla Parusia) il grano cresce assieme alla zizzania, e la zizzania
non la si può estirpare, perché occorre attendere la fine dei tempi, quando Dio interverrà a purificare interamente
e a santificare definitivamente la sua Chiesa.
Nel frattempo, se qualcuno di noi, accorgendosi del pericolo di appartenere a quanti “dormono”, fa tesoro del dono della
fede viva e della buona dottrina per avvertire del pericolo della zizzania, non può che fare opera meritoria.
Questo è appunto, ai miei occhi, l’aspetto positivo – in quanto costruttivo – del lavoro di Radaelli.
IV. LE
RAGIONI DELLA FEDE.
Mi sembra giusto, peraltro, spendere qualche parola per chiarire il senso del mio intervento in questo lavoro.
Io non pretendo certamente di
garantire, su una base di una specifica e riconosciuta autorevolezza ecclesiologica, la correttezza del discorso che Radaelli fa in
questo libro, sia sul piano della teologia dogmatica (Trinità e Chiesa) che sul piano della pastorale (catechesi per i fedeli
e dialogo interreligioso); io intendo piuttosto avvalermi della mia competenza gnoseologica per segnalare quest’opera sulla fede
cristiana per l’eccezionale rigore logico che ne garantisce l’intrinseca coerenza, e pertanto la plausibilità.
Si tratta di un pregio solo
apparentemente formale (in una riflessione scientifica sulla dottrina della fede, quale è la teologia, il rigore logico tocca
direttamente i contenuti, ossia l’intellectus fidei), che io ho apprezzato come filosofo, specialista appunto di logica
aletica, ma che ho apprezzato soprattutto perché in questo caso la plausibilità dell’argomentazione è al
servizio di una migliore comprensione della verità di fede, anzi è l’unico modo con cui si può fare teologia
come servizio ecclesiale.
Dovrebbe essere evidente, peraltro,
che l’intervento di un filosofo cristiano in un dibattito sulla fede cristiana non è abusivo. Il fatto che la questione
affrontata sia squisitamente teologica non toglie che anche un filosofo – soprattutto se interessato, come lo sono io, alla logica
della fede 1 [Cfr Antonio Livi, Razionalità della fede.
Un’analisi filosofica alla luce della logica aletica, Leonardo da Vinci, Roma 2002.] – abbia qualcosa di importante da dire in merito.
V. IL “DIO
DEI FILOSOFI” E IL “DIO DI ABRAMO, DI ISACCO,
DI GIACOBBE E DI GESU’ CRISTO”.
La cosa importante da dire
– a mio avviso – è che la filosofia cristiana ha sempre dimostrato con argomenti razionali che la ragione umana
non può in alcun modo penetrare il mistero di Dio, la cui esistenza peraltro è assolutamente certa anche al livello del
senso comune: 2 [Cfr Antonio Livi, La ricerca della verità. Dal senso comune alla dialettica, Leonardo da Vinci, Roma 2001.] noi uomini sappiamo molto bene che Dio è, che tutto dipende da Lui; ma non possiamo arrivare
a capire Chi Egli sia, perché la sua essenza trascende infinitamente le possibilità della nostra conoscenza (come diceva
Tommaso d’Aquino: « Quod Deus sit certe novimus; quis Deus sit penitus ignoramus »).
In teologia, la conseguenza
di questa verità filosofica è che il Dio che per grazia conosciamo nella fede (e la fede è vera conoscenza, sia
pure “come in uno specchio e nel mistero”) è il Dio che si è rivelato in Gesù Cristo, il Dio che noi
cristiani conosciamo come Trinità di Persone nell’unità dell’essenza. 3 [Vedi in proposito: Yves-Marie Congar, Il monoteismo politico dell’antichità e il Dio-Trinità, trad. it., in Concilium,
16 (1981) 3, pp. 56-65; André Manaranche, Il monoteismo cristiano, trad. it., Queriniana, Brescia 1988.]
In questo senso – in un
senso gnoseologico – ha perfettamente ragione Radaelli nel dire che non c’è altro Dio che il Dio cristiano (ossia,
Dio conosciuto dai cristiani per Rivelazione di Dio stesso), e che il Dio immaginato come lo immaginano le cosiddette “altre
due religioni monoteistiche”, in quanto rifiutano di credere alla Rivelazione di Cristo, non è il vero Dio.
Si comprenda: non è il
vero Dio che si è dato a conoscere nella vera Rivelazione soprannaturale, ma è tutt’al più il Dio dei filosofi,
ossia il Mistero ineffabile che – senza la Rivelazione – non consente alcun discorso propriamente religioso su Dio. Ma
ebraismo e Islam si presentano invece come religioni, e il loro parlare di Dio vuole essere un discorso religioso (la volontà
di Dio, i suoi disegni di salvezza, la sua legge), ed è qui che occorre avvertire con energia che non si tratta più di
una “nozione comune” ma di una nozione vera che si contrappone insanabilmente a due nozioni false.
[...] (Segue a p. 3 di 4)
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