[...] Sembra
avvenire oggi nella Chiesa quello che avviene nel mondo, ma con più veemenza: teologi, vescovi e Papi innovatori (specifichiamo:
forse non tutti con intenzioni maliziose, come si è visto, ma con intenzioni dovute forse piuttosto a quelle attrazioni
culturali che noi chiamiamo con giusta accezione materiali, carnali) non hanno il riguardo dovuto e necessario per
l’eredità dei loro Padri, per la Vigna; ossia non hanno il riguardo soprannaturale per l’Idea messianica e
per quello che essa è, in verità, così come è stata rivelata, e che dovrebbe essere sacra nel rispetto
dei minimi particolari, non manomessa, non alterata, non avvilita con limitazioni umane.
Possiamo così vedere
realizzarsi, a noi sembra, una tragica analogia: i fatti cruenti descritti in III Reg., XXI – ladrocinio, falsificante
giudizio e successivo assassinio dell’innocente Naboth, reo solo di essere stato fedele ai propri Padri, come prescriveva
la Legge – fatti che già prefiguravano l’empietà degli atti compiuti poi sul Cristo, non esauriscono
nel Cristo la loro profeticità.
Come già abbiamo
anticipato, quegli stessi fatti si perpetrano oggi per la terza volta ai danni della Chiesa, nelle cui membra misticamente si
deve compiere, come spiega san Tommaso nella Summa (I, q. 1, a. 10), ciò che avvenne nel suo capo, Cristo GESÙ.
Ecco la mistica vita della
Sposa di Cristo: nei primi tempi perseguitata come il Cristo; poi entrata lungo i secoli trionfalmente ma umilmente nel mondo
come il Cristo in Ierusalem; quindi, più da presso a noi, agonizzante Chiesa quando i Padri del Vaticano II abbandonano
il dogma, così come gli apostoli abbandonarono il Cristo nell’orto degli ulivi; infine processata nelle sue convinzioni,
oggi, dal mondo, come il Cristo ieri da Pilato.
Ma ancor più, e
qui sta la vertigine dell’abisso: come ieri il Cristo da Caifas e dai prìncipi dei sacerdoti, così oggi questa
nostra Chiesa, agnella innocente, viene accusata reiteratamente di inesistenti colpe dai suoi stessi Pontefici e vescovi.
Tutta la “Chiesa
prima del concilio” (duemila anni di vita caritativa) è messa sotto accusa, e trovata mancante, da una “Chiesa
dopo il concilio” (pochi decenni di ecumenismo vano): accusata di millenaria anticarità verso le “tradizioni
religiose” dei popoli, di scorrettezza esegetica e dottrinale verso i giudei, di ignorante cecità pedagogica nella
conduzione delle nazioni. Non a caso, solo oggi si trovano, per la prima volta nella storia di tutta la Chiesa, dottrine da «
eliminare », sacre Scritture da « correggere », atti di cui « chiedere
perdono ».
Come il re Achab travolse
il rispetto che Naboth nutriva verso la Legge e verso i suoi Padri, e come poi Caifas e i farisei travolsero nel rinnegamento
i propri padri: Abramo, Mosè e i Profeti, in favore del diavolo, così oggi più e meno alte autorità
ecclesiastiche tacciono, revisionano, rinnegano e stravolgono gli insegnamenti dei Padri e dei Dottori della Chiesa in nome di
una totalitaria dottrina umanistica che divora e travolge ogni altra dottrina, tranne il monstrum dell’ecumenismo, di cui
è la vera mallevatrice.
Si può ben dire
purtroppo che la Chiesa di ieri è giudicata, irrisa, perseguitata da una Chiesa di oggi. Si è così persa
anche la nota di universalità propria della Chiesa. E nessuno osa dire che qui vi sia un vallo profondo –
nella fede e nella carità – tra Chiesa di ieri e Chiesa di oggi, né ciò potrebbe mai darsi compiutamente:
vi è bensì un vallo (quasi uno scisma), dovuto alla vasta ma criptica apostasia di alcuni uomini della Chiesa di
oggi, il cui pensiero sembra essere estraneo alla cattolicità malgrado essi siano all’interno della cattolicità,
anzi siano i conduttori della cattolicità.
Pensiamo a un vallo, piuttosto
che a uno strappo che non può darsi assolutamente, per due motivi: il primo, che certamente sono presenti e latenti nella
Chiesa gli analoghi di quei settemila profeti che, pur nascosti a Elia, erano presenti al Signore; il secondo, che in effetti
vi fu, nel ’76, un vescovo che denunciò il grave accadimento, ma il suo nome sembrerebbe oggi più irriso e
disprezzato di quello di un Ario o di un Lutero.
Però forse, a questo
punto, potrebbe giungere anche non infondata la richiesta di un riesame delle vicende iniziate nel ’76. Come si sa, quelle
vicende portarono a scomunicare per motivi mere disciplinari l’unico vescovo che, in stretta difesa del dogma consegnatogli
dalla Tradizione, arrischiava contrastare le decisioni pastorali delle più alte autorità. Diciamo ‘non infondata’,
perché, forse, la Chiesa di domani potrebbe scoprire di avere un debito proprio con Pastori verso i quali oggi sostiene
di avanzare un credito.
Per esempio: poniamo di
trovarci oggi, anno Domini 352, in piena tempesta ariana. Il patriarca Atanasio è stato da poco scomunicato da Liberio,
Papa su noi regnante, il quale anzi gli ingiunge di presentarsi a Roma per sottomettersi alle decisioni del concilio riunito dal
Sacro Soglio. Atanasio rifiuta, e preferisce l’esilio e la scomunica piuttosto che la rinuncia alla fermezza dottrinale:
santa intransigenza che oggi verrebbe probabilmente censurata come posizione ‘fondamentalista’ e antiecumenica. 1
[In realtà, con il suo De Synodis, Atanasio si dimostrò magnanimo e geniale anche come
riconciliatore: ancora in esilio, egli mostrò di saper ben anteporre le necessità della Chiesa alle proprie sventure.
Papa Liberio, che dopo averlo scomunicato si ricredette, ritirò l’interdetto e accumulò poi meriti sufficienti
per la Chiesa da essere proclamato santo a sua volta] Le vicende successive dimostrarono ampiamente quanto bene portò
alla Chiesa la superiore e disinteressata costanza del santo patriarca di Alessandria d’Egitto.
Ma, ci si domanda: a chi
dovevano obbedire i poveri fedeli di allora (e i presbiteri, e i vescovi): al Pastore che teneva per la verità o a quello
che teneva per il trono e che lo comandava? Noi lasciamo il quesito sulla sospensiva, stavolta, limitandoci ad annotare che, passata
alquanto la tempesta, il Trono stesso ordinò che quel suo fedele Servo fosse mostrato a tutta la cristianità come
magnifico esempio di fedeltà, e, come si vedrà, lo volle come uno dei quattro fulgidi vescovi che reggono nei secoli
la Cattedra del sommo giudizio.
Quindi, se in un domani
venisse riesaminata la posizione di un vescovo che sotto vari aspetti presenta patenti analogie con accadimenti pregressi, 2
[Proponiamo qui anche la considerazione che il vecchio Papa (san) Liberio – ma solo in quella circostanza
– fu debole, certo, di fronte alle pressioni dei nemici della Chiesa; però bisogna anche riconoscergli notevoli attenuanti
per le vessazioni umilianti e spregiudicate cui fu sottoposto: anch’egli infatti fu esiliato, perseguitato, pressato, imprigionato.
Il futuro potrebbe far sperare in un ulteriore rafforzamento dell’analogia da noi fatta tra le due vicende, per il coraggio
che egli mostrò nella sùbita riappropriazione che fece del Dogma e nella conseguente riconciliazione con il vescovo
verso il quale precedentemente aveva usato un ingiusto, riprovevole rigore.] ciò potrebbe esser dovuto anche all’attenzione
posta dal Sacro Soglio allo sbandamento dei fedeli: come avvenne nelle prime tempeste della Chiesa, anche oggi, sotto l’infuriare
della temperie ecumenista, non mancano i motivi per ragionevolmente pensare che quella scomunica (se pure canonicamente
ineccepibile) fu forse comminata per non permettere che la Dottrina ‘antica’ e cattolica venisse pariteticamente valutata
contro la dottrina nuova ed ecumenica, e che il Rito Romano ‘antico’ (ma perenne) venisse paragonato dalle
folle al Novus Ordo Missæ. Questo timore fu espresso addirittura da quello stesso Papa che ordinò il nuovo
Rito: per questo fu preferito togliere ogni dignità e voce a quel vescovo con la sua scomunica, piuttosto che permettere
che le folle cattoliche soppesassero i due Riti, si inginocchiassero di fronte al perenne e voltassero le spalle all’ambiguo.
Si potrebbe con consiglio
e prudenza, in un domani, concludere che un Papa, appoggiandosi a una scomunica comminata per motivi disciplinari, mise a tacere
tutta quella Chiesa ‘paolinamente’ resistente che compie il proprio santo dovere di rendere il culto a Dio senza dover
giurare agli uomini, come il culto perenne sistematizzato da san Pio V richiede e pretende.
E non solo mise a tacere
quest’Atanasio con gli stessi strumenti canonici con cui si tentò di fermare l’altro Atanasio, ma mise a tacere
anche tutta quella moltitudine sommersa che, per timore di incorrere anch’essa nei fulmini, restò da allora silenziosa
nella preghiera e nel lavoro persuasivo ‘dall’interno’, non meno efficace di quello scoperto se fatto con rettitudine
di intenzioni. Cristo sa che i timorosi e i lapsi sono da compatire in tutti i tempi, e se ne serve benevolmente: santo,
certo, fu Stefano martire, che per giungere al Cristo ne percorse il giorno, ma santo fu poi anche Nicodemo, che ne percorse la
notte ma infine anch’egli uscì al giorno. 3 [Cfr. Psal., XVIII,
2, nella traduzione della CEI per l’Ufficio divino: « Il giorno al giorno ne affida il messaggio e la notte alla
notte ne trasmette notizia ».]
Vi è un ultimo fondato
motivo che ci fa pensare che lo strappo non sia ancora del tutto consumato: che, come si è visto fin dalla nostra Prefazione,
il Trono stesso della Chiesa fece da tempo proprie le più vive apprensioni che salgono dai banchi della Chiesa.
La grande apostasia
di oggi comincia da questo: dalle Fonti della Dottrina, dall’esegesi biblica. Lo sostengono gli ‘specialisti’
della nuova ‘BJ’ (Bibbia Jerusalem): il pensiero dell’uomo « elimina ciò
che [anche se di origine divina] poteva essere interpretato come una “teologia della sostituzione” », cioè
elimina ciò che l’uomo (anche ecclesiastico) ha deciso, in un certo momento della sua storia, di interpretare diversamente.
Lo sostengono la Commissio Biblica e il Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, cardinale Ratzinger, 4
[Il libro Il Mistero della Sinagoga bendata è stato pubblicato nel 2003] quando trovano
« perfettamente logica », e quindi cattolica, la tesi di un protestante come il von Harnack,
« per la quale i testi del passato possono avere di volta in volta solo quel senso che volevano dar loro
i rispettivi autori nel loro momento storico ».
La predetta sua Prefazione
recita: « Alla moderna coscienza storica però appare più che inverosimile che gli autori
dei secoli prima di Cristo, che si esprimono nei libri dell’Antico Testamento, intendessero alludere anticipatamente a Cristo
e alla fede del Nuovo Testamento ». Quindi le Scritture non alluderebbero al Cristo. E il Cristo, che invece afferma
la loro viva e totale allusione, avrebbe compiuto un’interpretazione delle Scritture valida solo per il suo tempo. Per cui
oggi le circostanze impegnano l’interpretazione biblica più a favore dei giudei, colpiti dallo sterminio. Domani
poi – i giudei si mettano in pace – la correzione sarà a favore di qualche altra necessità e di qualche
altro sentimento materiale, ‘carnale’, vano. Però determinante.
[...].
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(Pagina protetta dai diritti editoriali.)
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