[...] Se
in tutte le pagine di questa ricerca [l’Autore parla de Il Mistero della Sinagoga bendata, di cui qui è riportato
il § 41] ci si è premurati di esporre ogni cosa fermamente ma anche con riguardo e prudenza, tanto più lo si
farà in questo delicatissimo paragrafo cui non si può sfuggire per toccare, anche sotto questo particolare aspetto,
il cuore del problema dell’uomo – come entrare nella casa della vita – senza causare in lui ribellione, ma liberante
assenso. Perché « due cose desidera principalmente l’uomo: in primo luogo quella conoscenza della verità
che è propria della sua natura. In secondo luogo la permanenza nell’essere, proprietà questa comune a tutte
le cose. In Cristo si trova l’una e l’altra. Egli è la via per arrivare alla conoscenza della verità
[…]. Similmente egli è la via per giungere alla vita, anzi, egli stesso è la vita »
(Tommaso d’Aquino, Super Ioannem expositio, n. 1868).
Sicché cogliamo
l’occasione, qui non peregrina, per suggerire che forse, di questa parola ‘olocausto’, se ne fa un uso oggi
per molti versi piuttosto improprio, stando a ciò che il termine biblico vuole significare nella sua accezione più
pertinente, che è l’accezione soprannaturale.
Premessa infatti a ogni
buon uso dei concetti espressi nelle sacre Scritture è riconoscere che, avendo queste ultime un’origine squisitamente
sopramondana, esprimono e vogliono esprimere concetti in primo luogo sopramondani, dati i quali ogni significato letterale, storico,
carnale, ad essi rimanda immediatamente e connaturalmente. Questi significati ultramondani poi, a loro volta, vanno ascritti e
stretti precisamente al Cristo, per cui si può e si deve dire, con il Cristo, che tutte le Scritture parlano di lui o,
come egli dice, che « esse rendono testimonianza a ME » (Ioan., V, 39b).
Detto in altri termini:
se Cristo non fosse, non sarebbero a fortiori le Scritture. Le Scritture sono uno dei tanti volani di trasmissione (il
più assolutamente esimio, essendo divino) della altrimenti ‘ineffabile parola’ di cui Dio si serve per comunicare
all’uomo il Cristo, la Trinità, quindi la possibilità redentiva. Ma, come si sottolineava nella conclusio
della nostra tesi, non si è ancora scoperta appieno la centralità del Cristo nell’economia della comunicazione
tra un Dio che vuole comunicare con la creatura sua amata.
Nel termine ‘olocausto’
è significato un sacrificio, ovvero un’oblazione a Dio, totale della vittima (greco hòlos: tutto
intero, kaustikòs: bruciante; ebraico: ‘ôlâh): carnalmente, vuol dire prima di tutto «
‘dono’ e ‘offerta’ dei propri beni a Dio in segno di riconoscenza e di ringraziamento »;
1 [Così padre Angelo Penna, in Dizionario Biblico, diretto da mons.
Francesco Spadafora, voce Sacrificio] in secondo luogo l’olocausto, in quanto distruzione completa dell’animale,
rappresenta « l’offerta integrale con cui l’uomo intendeva mostrare la sua completa dedizione a Dio (Levit.,
I, 3) », 2 [Ibidem. Cfr. anche Enciclopedia
Cattolica, voce Sacrificio, III. Il S. nel V. Testamento, coll. 1593-97.] per cui il corpo della vittima
deve bruciare con la combustione anche delle viscere.
Spiritualmente, quindi
sostanzialmente, la profonda verità espressa dalla perifrasi ‘sacrificio di olocausto’ consiste nel fatto che
la vittima rappresenta, essendo come abbiamo detto l’animale mera figura delle disposizioni interiori dell’uomo, il
sacrificio dell’uomo stesso, l’offerta di sé a Dio. Quindi la vittima deve in primo luogo offrirsi esplicitamente
e consapevolmente come dono e offerta a Dio; in secondo luogo, nell’offerta la vittima deve estinguere di sé tutto,
fin la più viscerale e riposta personale volontà.
Nell’arsione caustica,
la vittima compie la più totale e annientante offerta di sé: del proprio intelletto, della propria volontà,
della propria dignità, della propria libertà. In una parola: del proprio essere uomo. Così, chiarissime,
le Scritture: « Come è di un olocausto di arieti e di tori, come di agnelli pingui a migliaia, così sia
del nostro sacrificio nel tuo cospetto oggi e riesca a piacerti; perché non c’è confusione per quelli che
confidano in te » (Dan., III, 40). 3 [Per
una più completa comprensione del Testo, ovviamente, consigliamo la lettura di tutta la Preghiera di Azaria (vv. 24-45),
proferita dal giovane all’interno della fornace ardente ove era stato posto, insieme ai suoi compagni ebrei, dal re assiro
Nabucodonosor. Segnala il Ricciotti: " Una nota di S. Girolamo nella Vulgata avverte che il tratto [che comprende i presenti
versetti] manca nei libri ebraici, e un’altra nota dopo il v. 90 avverte che il tratto è stato desunto dalla versione
greca di Teodozione » (Giuseppe Ricciotti, op. cit., pag. 1205, nota 1). Purtroppo quindi, se questi
versetti, pur precedentemente presenti anche nella versione ebraica delle Scritture, non fossero stati espunti, forse avrebbero
potuto offrire ai giudei per primi dei paralleli tra l’episodio profetico e la loro recente tragica situazione vissuta sotto
la pagana, bestiale dittatura nazista. ]
In questo olocausto
di oblazione, descritto in punto di morte dal giovane Azaria, prigioniero ebreo alla corte di Nabucodonosor, come atto volontario
mite e assoluto cui egli per primo eroicamente si esemplava, sono presenti: il perdono preventivo e totale dei nemici, la disponibilità
aprioristica a porgere mitemente l’altra guancia, la remissione a Dio di ogni ‘vendetta’, che altro non sarà
se non aver ragione dei propri nemici strappandoli dalle concupiscenze e dalle superstizioni cui sono tragicamente aggrappati.
Ecco il motivo profondo
e solenne per cui si dice che il sacrificio di olocausto, molto più che gli altri due tipi di sacrificio richiesti da Dio
nel Primo Testamento, figura, prepara e rimanda al vero sacrificio eterno e unico compiuto da GESÙ Cristo sulla croce e
rinnovato da lui nella quotidiana Eucaristia. 4 [Così anche Papa Leone
XIII nell’Enciclica Caritatis studium ai vescovi della Scozia, 25 luglio 1898, Denz., 3339: « Già
molto tempo prima che Cristo nascesse, i sacrifici usati nell’Antico Testamento preannunciavano il sacrificio compiuto sulla
croce ».] E’ solo alla luce di siffatte considerazioni che si può rendere perspicuo il significato
profondo emergente dal termine ‘olocausto’.
Noi siamo annichiliti da
questa singolarità provvidenziale: che, per meglio indicare il carattere del più eccellente dei tre tipi di sacrificio
del culto ebraico, Dio abbia fatto parlare Azaria, uno dei tre compagni di Daniele, ebrei prediletti da Dio per la limpidezza
del loro cuore, e lo abbia fatto parlare, anzi, cantare, proprio dall’interno di una fornace ardente, egli stesso
quindi predestinata e consapevole vittima di olocausto, offerta innocente a Dio e, come si sa, tanto accettata da Dio da ricevere
da lui la grazia della liberazione personale e, in sovrappiù, della liberazione di tutto il popolo dalle catene del dominatore
straniero. (La similarità della situazione con i più recenti avvenimenti, nella sovracosmica visione di Dio è,
come poi gradualmente risulterà, più che ottusa coincidenza.)
Per analogia, si possono
e debbono fare simili considerazioni anche per tutti gli altri concetti biblici, come abbiamo detto, per esempio quello primario
contenuto nel termine ‘Messia’ (ebraico: Mâsîah, Unto). Oggi, come si è più volte
accennato, vi è la tendenza da parte di molti giudei a riconoscere ‘Messia’ non un singolo individuo ancora
da venire ma tutto il popolo d’Israele nel suo insieme (cunctus), quasi esso rappresenti la figura eminente in cui
si realizzerebbe il ponte tra l’umanità e Dio. Questa dottrina sarebbe imperniata sulla potenza della nazione ebraica,
presa nel suo complesso plurimillenario, potenza capace di assoggettare i popoli gentili, ad essa “per natura” subalterni,
per via di quella che sarebbe la sua (orgogliosamente sostengono) superiorità intellettiva, morale, economica e, al fondo,
religiosa. 5 [Cfr. Israel Shahak, Jewish History Jewish Religion, the weight
of three thousand years, con Prefazione di Gore Vidal, Pluto Press Limited, New York 1994.] In forza di questa
carismatica potenza tutto il popolo d’Israele sarebbe ‘sacerdote e re’ tale da presentare un giorno a Dio tutti
i popoli della Terra prima a sé assoggettati.
All’affermazione
storica di questa accezione di ‘Messia’ non sarebbe estranea la previa affermazione del concetto di ‘olocausto’
riferito, come è avvenuto nei tempi più recenti, all’efferato sterminio perpetrato dall’ateismo nazista.
Però bisognerebbe obiettare che a questo concetto di ‘olocausto’ manca fondamentalmente la determinazione di
fare di sé un sacrificio, un’offerta a Dio, con tutte le disposizioni spirituali sopra viste che ne conseguono, determinazione
che fu invece presente ai tre innocenti ebrei buttati da Nabucodonosor nella fornace. Azaria, a nome dei compagni (e probabilmente
di tutto il popolo esiliato a Babilonia), alza al Signore una preghiera pura, altissima, esemplare: egli vede che, in quelle tragiche
condizioni in cui l’esilio li costringe, milioni di ebrei sono messi nella condizione di non poter offrire all’Altissimo
tutti i sacrifici che gli sarebbero dovuti. Eleva allora a Dio un’offerta forte, atletica, frutto di un altrettanto straordinario
sillogismo: “Noi ti dovremmo fare, o Dio, migliaia di sacrifici con arieti e agnelli grassi e tori ma, essendo in cattività
lontani dall’unico tempio dove ci è permesso sacrificare, e volendo peraltro in ogni caso offrirti dei sacrifici
di impetrazione, di ringraziamento per l’esistenza che ci dai, di olocausto per significarti che tutto ti è dovuto,
ecco che ti offriamo le nostre stesse miserevoli e piangenti persone, speranzosi solo che tu non disdegni questo dono, per quanto
incommensurabile esso sia, ovvero infinitesimo, nei confronti della tua Maestà eccelsa”.
Questa preghiera fu gradita
a Dio, e il motivo di questo gradimento risiede, come si può desumere da tutto quanto è stato detto fin qui, nella
disposizione di umiltà dei tre giovani perseguitati. Essi non solo si rifiutavano di sacrificare alla statua d’oro
e agli dèi di Nabucodonosor, ma si rendevano essi stessi, con i loro cuori roventi di Dio, purissimo sacrificio di olocausto
al loro vero Dio.
Azaria si fa eminente figura
del Cristo che, non trovando tempio, vittima, sacerdote, culto, altare adeguati alla Maestà di Dio, offrirà se stesso
come unica vittima atta a placare la Maestà di Dio offesa dal peccato del mondo, come spiegato dallo Spirito Santo in san
Paolo, particolarmente nella sacerdotale Epistula ad Hebraeos.
In questa prospettiva soprannaturale,
anzi, specificatamente, cristologica, risulta quindi assolutamente incompleta la materiale strage anche persino della metà
di un popolo per parlare propriamente di ‘olocausto’. Non tanto perché materialmente non vi sia stato annientamento,
quanto perché è lo spirito che, ribellandosi al proprio patire, non perdonando il proprio persecutore, non raccogliendo
in sé come Azaria e compagni raccolsero tutti questi sentimenti cui Dio li aveva addestrati, non offre a Dio il proprio
martirio, non realizza il requisito di incondizionato e ardente sacrificio. 6 [Qui,
come logico, ci si ferma al giudizio ad extra, quello desumibile dal comportamento esterno e oggettivo compiuto dall’insieme
del popolo. Resta imperscrutabile il cuore di ciascuna di quelle vittime che, nella persecuzione feroce e brutale, può
senz’altro aver espresso verso Dio i sentimenti migliori di fiduciosa offerta esemplati dal comportamento che abbiamo visto
del grande Azaria o da quello delle due sante sorelle Edith e Rosa Stein: veri, consapevoli e volontari olocausti di Cristo, il
primo, prefigurativo, in Babilonia; le seconde, sue copie, in Auschwitz-Birkenau.] Requisito che invece Cristo compì
perfettamente, e non altri compie se non chi con lui condivide misticamente nei secoli la sua offerta: tutti i ben oltre
70 milioni di martiri che prima e dopo di lui sono morti in vista della sua risurrezione, a partire dai ‘santi innocenti’,
piccoli ebrei di Betleem di Giuda. 7 [Vedi Matth., II, 16-18. ]
Qui c’è Olocausto, non là.
‘Olocausto’
è concetto non umano, non quindi ‘ebraico’, ma [...].
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