(Pagine
316-336 del libro, § 9, la seconda delle tre parti in cui è divisa qui la Lectio XIX.) Dove si accenna alla
recente dissoluzione dell’arte di adorazione del sacro trinitario in un irenico sacro religioso; dove
si considera il distacco dalla Ragione dell’arte ateizzata: arte come scandalo anticristico, arte come politica, arte come
oscenità; dove si considera la ‘Quæstio Æsthetica’ nel confronto tra Missale Romanum
e Novus Ordo Missæ; conclusioni metafisiche [Per la prima parte della Lectio, sull’arte di adorazione
dal I secolo a Caravaggio, vedere la pag. 1, per la terza
parte, di conclusioni metafisiche, vedere la pag. 3].
* * *
Certo, la Ierusalem celeste sospinge più immediatamente l’uomo
verso l’infinito verticale di quanto non facciano in Caravaggio i tagli lucenti sugli inchiostri dei neri, ma il linguaggio
sacro è fedele all’evoluzione del pensiero teologico, quand’anche non lo precorra, almeno fintanto non sia
involutivo.
9. LA DISSOLUZIONE DEL SACRO VOLTO COME POSSIBILITÀ STORICA.
Oggi questo rischio si fa reale sotto gli occhi di tutti. La koinè,
sistema linguistico universale intrecciato con doppio legame – ascendente cioè e discendente –
con le lingue storiche delle civiltà che non gli si rivoltano, sembra aver perso in qualche modo il collegamento di ragione
con la natura culminato con Michelangelo Merisi. La nostra non è una disamina storica, ma filosofica, per cui appresso
all’analisi della cuspide positiva dell’estetica sarà utile portarsi sùbito a quella del suo sprofondo
più basso e scuro: che fin’ora parrebbe proprio l’epoca nostra.
In questa epoca nostra la koiné pare tenda a dissolversi e disgregarsi
in mille frazioni di linguaggio, così come in mille frazioni di teologia oggi sembra perdersi il Magistero, per cui ciò
che a un vescovo parrebbe dogma (la “dottrina della sostituzione”, l'unicità della Chiesa come “sacramento
di salvezza”, etc), a un altro pare mera opinione, essendosi consolidato un tacito dileguamento della verità
in una personale libertà, sotto una coltre del tutto fittizia di conformità al Papa del tutto fittizia. Lo si può
vedere da diversi indizi, che interessano svariati aspetti sia del sacro che dell’arte del sacro.
Iniziamo da qui, iniziamo anzi, in particolare, dall’architettura:
gli strettissimi legami dell’architettura col sacro ci forzeranno a passare per la liturgia (fare liturgìa
è svolgere in tutto il suo arco l’æsthetica), per poi concludere nei territori della metafisica.
Il rifiuto in architettura di un canone stilistico di riferimento cui ricondurre
e inserire le ingegneresche necessità funzionali e costruttive restringe tali necessità in se stesse, e a mostrare
se stesse, le strutture – le strutture p. es. del Beaubourg di Piano e Rogers –, al vivo, quasi fossero esse
di per sé, invece che viscere, la propria forma; il che è un vero arbitrio: al vivo, quasi fossero esse di
per sé, invece che viscere, la forma, il che è un vero arbitrio: senza canoni esterni a sé (l’idealità)
esse fanno a sé canone, mentre sono solo una funzione di necessità, un mezzo costruttivo. E il mezzo
è quella tal cosa che la forma estetica, con la sua retorica, la sua accortezza poetica, il suo inganno, la sua, insomma,
capacità di significare, deve certo saper indicare, ma deve anche saper velare, come si vede bene
a Pæstum, ma anche a Ronchamp.
Altre volte poi la caduta di un canone stilistico di riferimento è
data perché si utilizza al massimo la libertà offerta dai nuovi materiali elastici: cemento armato, tondino, metalli
e leghe ultraleggere. Il superamento delle rigide leggi della statica imposte dalla pietra butta all’aria in un sol colpo
tutti i canoni, gli ordini, le regole costruttive che avevano governato universalmente, e da sempre, l’innalzamento di qualsivoglia
costruzione.
Con la libertà data dall’elasticità materiale viene guadagnata
l’elasticità espressiva: cessata l’esigenza di indebitarsi con il modulo aureo si crede di poter affrancare
l’architettura dalla propria quiddità e tramutarla impunemente in scultura, peggio: in pubblicitario e grafico ‘segno
forte’, sicché, se oggi imperversano le del tutto arbitrarie, esibizioniste e generaliste poetiche alla Calatrava,
alla Hadid, alla Liebeskind, alla Gehry, alla Fuksas, lo si deve in primo luogo all’arbitrio di aver portato l’elastico
su scala architettonica buttando via le ormai inutili pietre. Qualche progetto sarà anche affascinante, ma si è
visto che altro è fare fascino, altro bellezza: il fascino, privo di canone, di misura, di simmetria, facilmente
sfiorisce in bruttezza; non imbrigliato dalla regola aurea, il barbaro resta nelle sue grida.
La dislocazione dell’essenziale architettonico in [...].
[Seguono le conclusioni, a pagina
3; l’inizio della XIX Lectio (§ 8, su Caravaggio e la filosofia dell’æsthetica) è
a pagina 1]
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(Pagina protetta dai diritti editoriali.)
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