(Pagine
224-233 del libro.) Dove si propongono i primi tre indizi per una Teoria generale del lin-guaggio umano, metafora della realtà
naturale: il primo si desume dalla nascita delle parole, astratte dalla sostanza delle cose; il secondo dalla nascita
dei segni scritturali, astratti dalla loro forma; il terzo dalla melodia con cui viene espresso un discorso, quasi un percorso
in un paesaggio, o esso stesso paesaggio.
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In Dio la relazione unitiva tra il pensiero (verbum) e la sua rappresentazione
(imago), ovvero tra il significato interiore e il suo volto, è stabilita una volta per tutte, come visto, dai due
sacri Nomi propri dell’Intelletto stesso, cioè di Dio Figlio. 1 [Sempre
che per Dio si intenda l’unica vera realtà che è la ss. Trinità; in caso diverso, questa infrangibile
ma anche ineludibile, primaria relazione, non potrà mai addebitarsi ad alcuna causa metafisica. ]
E nel creato? cosa vi è nel creato che mostri l’unità
tra pensiero ed espressione? sarebbe come dire tra il pensiero umano, e la sua umana espressione, che è poi la realtà
artificiale?
L’unione di cui parlo lega non due generi, e nemmeno due specie,
ma due regni, quindi – per intendersi – non ha nulla a che vedere con l’accostamento diretto e naturale
del genere maschile con il femminile, né con l’accostamento della specie umana con quelle di altri
animali; ma è analogo piuttosto al legame del regno animale al vegetale. Si dirà: sembra vi siano organismi
che appartengano per loro natura a entrambi i regni. Ciò è da escludere: i confini sono sottili, ed effettivamente
esistono specie animali dalle molte caratteristiche in comune con alcune specie vegetali, che a loro volta offrono caratteri tipici
del regno animale. La moderna biologia però è tornata ad avallare le ripartizioni stabilite da Aristotele, in due
regni ben divisi, pur riconoscendo che in alcuni casi si trovano caratteri che, per poterli inserire con giudizio in uno dei due
insiemi, vanno prima analizzati minuziosamente.
Resta il fatto che, per tornare alla metafora dei due regni, quello del linguaggio
va avvicinato al regno della natura, osando compiere l’operazione proibita. Di questa operazione va colto bene l’intreccio,
pur essendo un intreccio la cui costituzione va riconosciuta con particolare riguardo, con grande prudenza, poiché, contemporaneamente
al suo riconoscimento, è necessario tenere i due regni tra loro fermamente, decisamente distinti. Ecco che a questo proposito
ci giunge in soccorso quella figura retorica, o logica, studiata con speciale attenzione nella V
LECTIO: l’analogia, cioè quella particolare metafora doppia e indiretta per la quale si possono
avvicinare tra loro anche due enti non appartenenti allo stesso genere, o famiglia, come richiede invece il semplice sillogismo
aristotelico.
Con la metafora analogica si compie un sillogismo, ovvero un calcolo, un raziocinio,
su due nozioni inaccostabili, in virtù della capacità della mente umana di trascendere (proiettare) l’ente,
passando dalla sua figura alla sua essenza, intuendo (= vedendo dentro) l’essenza attraverso
il suo aspetto. È come se quelle proporzioni che per un semplice sillogismo vengono compiute come su una singola retta,
qui venissero compiute invece su due rette ortogonali: sulla prima (x) vengono poste le misure di un regno e sulla seconda (y)
quelle dell’altro: si capisce subito che per passare da un asse all’altro è necessario compiere delle proiezioni.
Ora, questi assi, da ortogonali che erano, possono presentarsi anche sfasati, come visto sopra, dando così luogo a misurazioni
complesse, in cui l’analogia si può moltiplicare in inversioni, in curve esponenziali o altro; ciò nondimeno,
si tratta sempre di operazioni che possono essere esatte: la verifica della loro esattezza dipende dall’attenzione dell’operatore.
Sono queste le figure che danno luogo all’arte, alla poesia, al gioco, al fascino, al sublime, al mistero.
All’uomo, operatore cui per natura sfugge [...].
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