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Enrico Maria Radaelli *

Ingresso alla bellezza. Fondamenti a un’Estetica trinitaria:

LECTIO VI.
I
NTER pULCHRITUDINEM
V
ERITATEMQUE SIMILITUDINES.

Analogie tra Bellezza e Verità.

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(Pagine 101-117 del libro.) Dove si mostrano i doppi nessi tra bellezza e verità nell’indagine conclusiva della divina Persona del Figlio: armonia, integrità e splendore sono i tre parametri di entrambe perché sono tre doti fondamentali della persona: essendolo in Dio lo sono analogamente nell’uomo. Dove si mostra l’utilità della loro tensione a Dio; dove si vede che la proporzione armonica tra arte e natura, se la natura non viene considerata – come dev’essere – in relazione a Dio, conduce l’arte al relativismo naturalistico; Caravaggio, Velasquez e il tomismo, ovvero i pregi del difetto nell’arte; ancora distinzione tra bellezza e fascino; dove si mostra che arte e linguaggio nascono e dipendono solo dal Figlio: la supersimmetria (o ultrasimmetria) dei due Nomi dell’Intelletto divino si estende al creato; dunque se si perde la Trinità si perde tutto.

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Dall’indagine compiuta finora, il legamento metafisico tra pulchrum e verum esce rafforzato, rilevando che, su qualsiasi termine il punto di fuga si ponga per una nuova prospettiva, il quadro disegnato resta sempre il medesimo: una perfetta simmetria tra nous e species, tra verbo e immagine, tra parola mentale e voce, tra pensiero e pensato, tra idea e res, e ora possiamo anche dire, per sineddoche dall’aurea proportio, tra sillogismo e arte.
Si può anche dire, ribaltando la prospettiva, che ora essa è divenuta perfettamente bioculare, come si conviene per avere un’impeccabile tridimensionalità, un centro essendo sull’occhio della pulchritudo, che vede la species, l’aspetto, il volto, la poesia o incanto o fascino della cosa; e l’altro centro essendo sull’occhio del verum, che vede il nous, il verbo predicato, l’interno della sostanza, la quiddità e l’arcano di essa.
Nelle ultime due Lectiones ci eravamo soffermati a scandire uno per uno i termini più coinvolti nella questione del bello, in particolare quelli riguardanti i tre assi che lo determinano, stando alla tradizione aristotelica e specialmente alla Scolastica tomista che in parte se ne appropria. Armonia, integrità, splendore, dunque, e poi, da qui, analogia, proporzione, luce, gloria.

Dico anche luce, colta in obliquo nella V LECTIO facendo l’analisi di splendore e di gloria. Sicché ora possiamo riprendere il percorso dove l’avevamo lasciato, ossia in quel luogo dove san Tommaso indica la triade delle prerogative del pulchrum: il luogo è nientemeno che il De Trinitate della sua Summa, un suo luogo topico: l’enumerazione dei Nomi del Figlio.
Enumerando infatti il sacro nome Imago, vediamo che a un’immagine è pertinente la prerogativa di essere più o meno bella, e che la saturazione di tale bellezza si ha solo quando vengono colmate contemporaneamente le valenze di tutti e tre gli assi che ne danno la plenitudo, sempre che sia possibile, come dire?, saturare tre possibilità infinite.
San Tommaso giunge alla definizione di pulchrum attraverso specificamente uno dei tre assi di qualità, l’armonia. Ma bisognerà che a questo requisito venga riconosciuta la massima estensione, la sua più profonda sostanza, affinché si possa poi cogliere l’importanza del suo specifico contributo nel nostro discorso sul bello, che è un discorso sul mondo.

La prerogativa armonica era già richiesta a fare bello il vero nella Pars Prima della Summa: « Il bello consiste nella debita proporzione [o armonia]; poiché i nostri sensi si dilettano delle cose ben proporzionate, come in qualche cosa di simile a loro; il senso infatti, come ogni altra facoltà conoscitiva, è una specie di proporzione ». 1 [TOMMASO D’AQUINO, Summa Theol., I, q. 5, a. 4.]
La proporzione di cui parla san Tommaso, ratio nell’originale, è propriamente la relazione che corre tra realtà esterna e senso interno, « poiché – come spiega in nota padre Marcolino Daffara – le facoltà conoscitive tendono per loro natura ad assimilarsi alle cose da conoscersi. [Non a caso] il loro essere è INTENZIONALE, tende alle cose ». In altre parole, conoscere è tendere a, andare verso. Questa tensione si estrinseca in una proporzione, si sviluppa cioè nel portarsi dei sensi alla cosa conosciuta e adeguarsi a essa, almeno fino a che la sua percezione resta nei limiti imposti dalla natura ai diversi sensori: se eccede – ferendoli per troppa luce, rumore, calore, o altro – la proporzione viene franta. Dunque l’armonia è richiesta dai sensi come misura vitale, poiché, a mano a mano che l’oggetto se ne allontana, si avvicina il pericolo di un ferimento del senso.
[...].

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(Pagina protetta dai diritti editoriali.)

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