(Pagine
74-85 del libro.) I trascendentali: cosa sono e quali; verifica del trascendentale pulchrum in relazione alla santissima
Trinità e ai due Nomi propri del Figlio, Verbum e Imago; verifica dei tre parametri tomisti della bellezza,
integrità, armonia e splendore, calcati direttamente dalle qualità personali del Figlio; distinzione,
in derivata da splendore, tra bellezza e fascino; ancora confronto tra pulchritudo e veritas.
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Con questa Lectio terremo un’ideale continuità con la
precedente, la quale ci ha dato modo di intuire che la bellezza, il pulchrum, è un trascendentale, posto il fatto
sommo che essa riguarda l’aspetto, la species, la faccia del pensiero, dell’idea, del verbum,
e che quest’ultimo è nome, definizione, proprietà e potenza della seconda Persona della santissima Trinità,
del Figlio divino, dunque del Cristo. Per cui, come è trascendentale una delle due proprietà del Figlio, così
dovrà esserlo anche l’altra: sic verum, sic pulchrum. E, se ciò non bastasse, bisognerà riconoscere
trascendentale pulchrum almeno per il fatto che è solo attraverso l’aspetto, la species, la faccia,
l’immagine, che un ente si presenta e si apprende. Dunque l’imago (e pulchrum, in particolare, che è
la sua prima connotazione: il parametro per misurarne l’efficacia) dovrà esibire un’estensione non minore di
quella dell’ente e della sua intellezione.
Dopo aver chiarito il valore di essere, di forma, di immagine,
secondo i parametri che ci insegna il tomismo, conviene al nostro itinerario addentrarsi nella Filosofia dell’estetica attraverso
il valore del concetto di trascendentale, per disbrigarne poi la confacenza a riguardo precisamente del pulchrum.
Trascendentale: dal latino transcendens, trans scando: salgo sopra.
Trascendentali sono per san Tommaso le qualità proprie a quella ‘superforma’
intensiva dell’essere da lui individuata nell’Esse subsistens, che abbiamo riconosciuto essere la Trinità.
L’Esse subsistens trinitarius, e in quanto esse subsistens e in quanto trinitarius, è l’analogante
principale, pertanto misura di tutto ciò che per partecipazione al suo essere e alla sua conformazione è ente,
in una quasi infinita gradazione di esseri (enti) e di forme.
I trascendentali hanno dunque la loro causa in Dio, e non solo in Dio come
dall’ente causa di tutti gli enti, ma da Dio nella forma propria – nel ‘costitutivo metafisico’ che ci
è stato rivelato – di Dio. Essi sono determinati da una res, o quiddità, e da una ratio, o ragione
di fine. Essi accompagnano l’ente sempre e dovunque, e non solo per il fatto che, come l’ente, si estendono a tutti
gli enti e non soltanto a singoli loro settori, ma perché si estendono a tutti i modi o determinazioni anche individuali
di quel soggetto di cui si predicano.
Che pulchrum quindi sia o non sia considerato trascendentale
è capitale, poiché se lo è, esso certifica che ogni ente, per quanto povero di pulchritudo,
partecipando all’essere diletta la ragione e la riposa (ma solo nella misura in cui la povertà di sé
partecipa all’essere); se invece non lo è, permetterebbe di diritto uno scarto tra enti che dilettano e non,
enti che riposano e non, in assiologie di valori del tutto arbitrarie, relativizzanti, in rigetto dell’oggettività.
In secondo luogo, nella fattispecie dell’ente di ragione, cioè dell’idea, se trascendentale lo è,
esso si pone come generalissimo e però anche individuabilissimo ente portatore di significato, cioè di un essere;
al contrario: se non, fa perdere all’idea ogni stabilità e certezza di riconoscimento.
In altre parole, è necessario individuare quel criterio generalissimo
e omnicomprensivo – quale il trascendentale – che permetta di affermare sia che è dilettevole l’apprensione
di Dio, sia che in qualche modo lo è anche l’apprensione dell’ente più inerte e inessente, come l’Inferno,
o come lo sgorbio su di un muro, giacché anch’essi, Inferno e sgorbio su un muro, oltre a partecipare alle categorie
poste dagli altri trascendentali, partecipano a quella categoria specifica dell’aspetto chiamata pulchrum;
in secondo luogo poi – che è di gran lunga il più rilevante –, quel criterio è il fondamento
per giungere a dimostrare scientificamente la correlazione analogica data dal linguaggio nel suo senso più lato e generale,
per la quale esso non solo ha tra le sue forme retoriche anche la figura della metafora, ma esso stesso è una metafora,
poiché la metafora è la forma del linguaggio.
[...].
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