(§ 19, p. 60-1). SUL PARTICOLARE E SPECIFICO
PLURALE MAIESTATIS PAPALE.
Il plurale maiestatis, va ricordato, è quella figura retorica introdotta nella prassi del governo ecclesiastico nel IV secolo da quell’accorto Pastore che fu Papa san Damaso I (366-84), attraverso la quale un Sommo Pontefice ricorda (a se stesso, oltre che all’universo di fedeli cui si rivolge) che la propria locuzione di Dottore della Chiesa universale non germina unicamente dal proprio cuore, ma lo fa in unione intenzionale con il Dottore e Maestro soprannaturale della Chiesa, il Signore nostro Gesù Cristo, di cui egli è per sua grazia Vicario, così da dover necessariamente pronunciare un “Noi” che raccoglie misticamente, cioè realmente pur se non fisicamente, due Io: l’Io proprio e l’Io di Cristo, cioè di Dio.
Non solo: ma, rappresentando ed essendo la propria vicarietà in continuità temporale ininterrotta, tale da garantire la continuità di insegnamento veritativo come fosse un solo e unico insegnamento malgrado la sua estensione nei secoli e nei millenni, la sua locuzione ha per soggetto un “Noi” che raccoglie, oltre l’Io di Cristo e l’Io proprio, anche gli “Io” di tutti i Papi che quel singolo Io hanno preceduto e seguiranno, così da raccogliere la somma Autorità dei cento e cento Papi in un solo “Noi” puntiforme, che fa e che dà unità di voce all’universo intero in unione al suo Creatore.
In altri termini, quella piccola parola “Noi” del plurale maiestatis, così come pensato dalla Chiesa, non solo raccoglie il magistero di secoli e millenni in un singolo e minimo vocabolo, che è già molto, ma, nella semantica leggibile in quel minimo lemma, unisce tali secoli e millenni all’eternità, e questo è il soprannaturale “tutto” che va sottolineato nel “Noi”.
Il plurale maiestatico papale si distanzia dunque essenzialmente da ogni altro plurale della retorica, quali il plurale didattico, il plurale narrativo, il plurale impersonale eccetera, tutte figure necessitate da fini pratici e umani, al contrario della nostra, mossa da obiettivi sostanziali e soprannaturali: legare la parola umana alla divina; o meglio: ricordare che una certa parola umana – quella di un Papa – è a volte, in qualche modo tutto mistico, particolarmente legata alla parola divina.
Il pregio dell’uso del plurale maiestatis papale, come si può intuire, è infondere al documento che ne origina un’autore-volezza altrimenti impossibile, come visto, e, in secondo, una altrettanto impossibile – peraltro ancora ben intuibile – oggettività: tanto come l’“Io” afferma la soggettività di un pensiero, il “Noi”, allargando il soggetto come qui si è visto, e coinvolgendo in esso persino Dio, afferma la più fredda e distante oggettività, con ciò portando la più forte garanzia di verità, necessaria a convincere i cuori dell’immensa intenzione di bene, e di bene sicuro, che si ha nei loro confronti.
(§ 20, p. 62-5).
CONTRO LA “BONOMIA” ESERCITATA DA PAPA GIOVANNI XXIII:
NATURA EXTRAGIURIDICA, ANZI: FORTEMENTE AMOREVOLE,
DEL LINGUAGGIO ASSEVERATIVO E GIURIDICO DELLA CHIESA.
Perché questo è il paradosso da scoprire in ciò che si sta dicendo intorno al “Noi” e alla sua carica formale di autorità e di oggettività: che, dietro l’apparenza glaciale, cool, si direbbe oggi, distaccata e “terribile”, di un pronome tanto potente da rappresentare persino, nel suo piccolo sé, il Padre soprannaturale di ogni verità, si cela un sentimento che più caldo, più tenero, più palpitante non si può, essendo esso il più accorato amore, la più vibrante e sentita preoccupazione, di dare le più ampie garanzie ai propri fedeli, alle proprie pecorelle, che tutto ciò che discende da quel “Noi” è sicuro, è vero, è buono, è garantito, perché è affermato all’unisono, in consonanza, in armonia, col Padre stesso della Verità.
Non si dirà e non si ribadirà mai abbastanza che il discorso formale, nella Chiesa, più riveste le forme giuridiche, algide e legali, più in realtà si arroventa d’amore, perché il linguaggio della Chiesa ha più di ogni altro l’incombenza di garantire che ciò che si sta dicendo è la pura verità, è tutta la verità ed è solo la verità, e tale estrema garanzia la Chiesa può darla solo cucendo la propria parola sulla veste più asseverativa, ferma e rigorosa offerta dal linguaggio.
Ciò va detto, in specie, contro la cosiddetta bonomia e la falsa benignità impresse al magistero della Chiesa da Papa Giovanni XXIII a partire dalla Gaudet Mater Ecclesia, atteggiamenti, questi, sulla cui indubbia problematicità ci si soffermerà, come necessario, più avanti (§§ 35-6), perché si sa che certe affermazioni, se proprio ci si sente in dovere di farle, come qui il caso, vanno giustificate e spiegate quanto meglio possibile, e con la più religiosa e ossequiente cura.
Tornando a noi, l’amore sotteso dal linguaggio giuridico della forma dogmatica è amore vero, denso, forte, ardente, non inficiato da secondi fini di nessun tipo, quali il desiderio di non turbare nessuno, di non scuotere nessuno, di mostrare a tutti, anzi, la bontà sorridente e disarmata con cui la verità di nostro Signore e della Chiesa si avvicina alle anime.
È stato già visto – e ancor più si vedrà – quanto tale machiavellica sub-intenzione sia nociva, deleteria, gravemente lesiva della forma della Chiesa, originalmente e insopprimibilmente dogmatica, e della stessa salus animarum cui essa è chiamata, e, specialmente, della giustizia sublime di Dio.
Sul plurale maiestatis ci sarebbero ancora molte altre cose da dire, ma qui si vuole solo evidenziare che la sua assenza infirma notevolmente il tono generale di una Lettera enciclica, privandola ab origine, almeno sul piano della percezione, di un requisito che parrebbe peraltro utile, se non sostanziale, al magistero papale, allorché esso voglia porsi su un livello significativo, non ordinario, per quanto esso voglia stendersi unicamente su un piano pastorale, dunque non vincolante, non irreformabile, non infallibile, ma solo sollecitativo e suggestivo di sante e universali indicazioni.
Si consideri una qualsiasi delle Lettere encicliche papali fino a Paolo VI compreso (la sua Humanæ vitæ è ancora in plurale maiestatis, non lo è invece già nessuna di quelle scritte da Giovanni Paolo II). Si prenda per esempio la Mystici Corporis, firmata da Pio XII, pubblicata il 29-6-1943. Anche sotto questo punto di vista, essa è davvero esemplare, giacché dalla sua lettura si percepisce subito, fin dalle prime parole, quanto la firma al plurale abbia influenzato e direi determinato tutto il suo costrutto: vi si respira immediatamente una serietà d’intenti, un rigore – religioso prima che intellettuale –, una determinazione alla verità e al realismo, infine una schiettezza pastorale, che infondono nel lettore la consapevolezza di star cogliendo, di toccare quasi con mano, nelle preziose parole da lì salenti, qualcosa di importante, di vitale, di risolutivo proprio per lui.
Il “Noi”, quel “Noi” lì, dice presto al lettore – insieme ad altri strumenti linguistici ben più presenti nella forma asseverativa del linguaggio germinante da quella peculiare fonte data dal plurale maiestatis papale – che i concetti espressi che si stanno via via cogliendo sono realtà da prendere ben sul serio: indubitabili, decisive. Al contrario, nella Lumen Fidei, il lettore-fedele si accorgerà invece che, in assenza del “Noi”, l’augusto Autore può gettare sulla bilancia del giudizio, oltre a luminose e semplici belle verità, malauguratamente anche l’indicazione di altrettanti ben precisi e pericolosi errori.
Ma se tutto ciò è vero, se tutto ciò ha quella rispondenza con la realtà che giustamente ci si aspetta allorché si parla al tempo presente di fatti angolari, netti, “pesanti”, ciò vuol dire che questo famoso “Noi” dovrebbe essere definito, oltre che plurale maiestatis, anche e ancor più plurale caritatis, plurale amoris: plurale di carità donativa e di altruistico amore, ossia plurale determinato dalla e finalizzato alla carità.
Perché è la carità il nerbo essenziale, il cuore del linguaggio asseverativo, come d’altronde sanno bene tutti i portatori sani d’amore: i padri e le madri, p. es., che insegnano con infinita attenzione i rudimenti della vita ai loro figlioletti, e gli innamorati, che al dunque, al di là di ogni linguaggio poetico, al di là di ogni segnale fascinoso più o meno portatore di simboli amorosi trasversali e di leggiadre figure evocative, chiuso il proscenio delle danze, delle musiche e dei canti, possono comunicarsi qualcosa di certo e di definitivo sul loro amore solo se si dicono, molto semplicemente e senza mezzi termini: “Io ti amo”, con annesso anathema: “Non dovrà esserci nessun altro che te lo dica in eterno”: se non usano queste formule basiche e asseverative non avranno mai nel cuore la certezza del loro sentimento, che è la prima, fondamentale e decisiva cosa da sapere intorno al loro legame.
Certo, se non vogliono comunicarla, questa certezza, è altro discorso. Ma se lo vogliono, se vogliono vicendevolmente essere sicuri del loro amore, altro linguaggio, più sicuro, deciso e indubitabile di questo, non c’è. Ecco perché dico (si veda il mio Il domani…, Radaelli 2013, pp. 113-7) che il linguaggio asseverativo, “dogmatico”, del presente indicativo e dalle affermazioni inequivocabili, è il linguaggio per eccellenza dell’amore, tanto che il Profeta esclama: « Quando le tue parole mi vennero incontro, le divorai con avidità: la tua parola fu la gioia e la letizia del mio cuore » (Ger 15,16), perché è una parola che annuncia l’evento, e la gioia che circonda un evento può essere descritta solo da parole (altro è il sorriso, o la luminosità degli occhi ridenti: essi “dicono” la gioia, ma la sua descrizione la dà solo la parola).
Come si può notare, è sufficiente la lettura “linguistica” di una Enciclica per entrarvi e carpirne tutta la sostanza.
(§ 21, p. 65-8). ASIMMETRIA TEOLOGICA TRA LA SCELTA
DI PAPA SAN DAMASO – UTILIZZARE IL PLURALE MAIESTATIS –
E QUELLA DI PAPA GIOVANNI PAOLO I – ABBANDONARLO –.
La scelta di suggellare con firma singolare invece che plurale i propri atti di magistero e di governo, stante le considerazioni fatte sulla semantica del plurale maiestatis in uso presso tutti i Sommi Pontefici dal IV al XX secolo, in calce a quei loro documenti e atti di magistero di particolare valore, come sono le Lettere encicliche (gr. enkyklos, “in giro”, “in circolo”, cioè universali), uso che si era presto esteso anche agli atti di magistero privato e persino agli atti personali, è scelta che offre forti e ragionevoli motivi di perplessità sia sulla certezza veritativa del contenuto di un magistero così miserevolmente, così “umanamente” suggellato, sia sulla reale portata di ‘amore di dedizione’, di caritas, instillato da quei Pontefici in quei loro documenti: saranno o non saranno essi ancora ripieni di quella sostanza veritativa soprannaturale invece tanto più chiaramente e quasi arditamente esposta, quasi a “metterci la faccia” dell’Altissima e Divinissima Trinità, data dall’aureola (= piccola aura) del pronome di prima persona plurale formulato col “Noi”? e se tale scelta, al contrario, come sostengono i suoi fautori, in nulla infirma tale certezza veritativa, perché mai il magistero bimillenario di Santa Romana Chiesa per secoli ritenne bene adottare tale aurico costume, includendo nel suo numinoso carisma non solo gli atti di magistero, ma la persona stessa del Papa, tutto ciò motivando, appunto, con gli argomenti riportati?
C’è da considerare, infatti, che, teologicamente parlando, la decisione presa nel IV secolo da Papa san Damaso – accendere l’aureola del plurale maiestatis – non è affatto simmetrica a quella del tutto opposta presa nel XX da Papa Giovanni Paolo I, poi mantenuta e avvalorata dai Papi successivi – spegnere l’aureola del plurale maiestatis –: la prima, infatti, non faceva altro che esplicitare un concetto fondante del magistero – la “Logoscrazia” che regna sulla storia di cui parlo in Radaelli 2008 –, per il quale, esprimendosi esso, in specifiche situazioni, a nome (orizzontalmente) dell’univer-salità dottorale della Chiesa – ossia di tutti i vescovi del mondo – e parlando (verticalmente) a nome di Dio, l’Io di quel-l’uomo eletto Vicario di Cristo, chiunque fosse, nella successione Apostolica petrina veniva a trovarsi in quell’intima relazione con l’Io collegiale della Chiesa e con l’Io divino, tale da poter essere espressa solo dall’aura di un “Noi” anche in quei secoli in cui – dal I al IV – era stata di fatto espressa solo da un “Io”: nel quale “Io” la raggiera del “Noi” già irradiava però la sua luce tutta implicitamente sfolgorante.
La seconda decisione invece, quella di Papa Luciani, che rigettava il “Noi” e riprendeva l’uso dell’“Io” singolare, con ciò stornava proprio quel concetto di unione mistica (che non vuol dire irreale, ma, per quanto unione sommamente reale, vuol dire, per il carattere soprannaturale di uno dei due componenti, “misterica”), di legame ideale e intenzionale (o-rizzontale e verticale), sì da ridurre, rattrappire l’augusto Par-lante alla singola persona di quel Papa lì, slegandolo e rendendolo avulso dal contesto ecclesiale e divino che si è detto avrebbe dovuto invece come un’aureola sempre circondarlo, quasi facendolo parlare anzi, se così si può dire, per suo tramite. Ma così facendo ha svuotato la Logoscrazia di se stessa.
Dunque la decisione presa da Papa san Damaso I dopo il 366 (anno della sua elezione), non faceva altro che raccogliere ed esplicitare la consapevolezza, la coscienza della realtà divina delle cose, realtà divina fino ad allora comunque presente egualmente alla mente di tutti, fossero stati san Pietro o il più umile dei fedeli, ma non ancora espressa apertis verbis, non ancora manifestata con la bocca in ciò che era nel cuore. È adombrato qui il classico principio di Lérins, che dà a una dottrina un valore di credibilità magisteriale vicino al dogma: « Quod semper, quod ubique, quod ab omnibus creditum est », “[Noi crediamo solo a] ciò che sempre, in ogni luogo e da tutti è stato creduto”: prima implicitamente, ora esplicitamente. La decisione di Papa Giovanni Paolo I e successori invece, proprio per la sua natura negativa, per la sua natura autoprivativa, non può più essere letta come implicante quella realtà divina, quella Logoscrazia, ora tralasciata, ma come un suo chiaro se pur non esplicitato rigetto, forse persino come una sua silente smentita.
Con ciò non si vuol dire che questa fosse l’intenzione di chi fece quella scelta, giacché i motivi potrebbero essere anche altri, per esempio la ricerca di una certa semplicità, o di una qualche umiltà di esposizione, tale da togliersi di dosso, in qualche modo, quelli che si vollero ritenere, se pur inopinatamente e certo erroneamente, paludamenti inutili – persino dannosi! – alla verità con cui presentare la Chiesa.
Resta il fatto che la scelta fu fatta, e fu fatta e approvata in successione e da uno, e da due, e da tre, e da quattro Pontefici. E se qualcuno ritiene che essa fosse motivata al fondo da motivi non strettamente religiosi, cioè teologici, ma “ideologici”, “di convenienza comportamentale”, ossia, come dice Livi in Vera e falsa teologia, attraverso filosofie falsificate, come le succitate, da machiavellismo utilitaristico (v. Livi 2012, p. 118), resta ben possibile che questo qualcuno avesse ben ragione a crederlo, giacché essa va di pari passo con altre scelte analoghe, che si vedranno in seguito.
Fu una scelta de-dogmatizzante? Certo contribuì a smussare l’auctoritas, ad allontanare la potestas del dogma dalla personalitas del Papa: la figura del Papa-Dogma iniziava anche con ciò a essere scalfita, e il ferreo, cristico, soprannaturale chiavistello veritativo che serra i polsi al Mistero d’iniquità certo subiva qui una prima significativa limatura (vistosa, sì, ma, in apparenza, teologicamente non davvero rilevante).
* * *
INDICE.
Prefazione di Antonio Livi. ...........................................p. I
1. Orientamenti emersi dal dibattito in Rete......................pag. III
2. Quando il dibattito sale di livello
e tocca e principi dell’ecclesiologia..............................pag. XIII
3. Per quale riforma?.......................................................pag. XVIII
Prima Parte.
Il magistero di Papa Francesco.............................................p. 13
1. Il magistero veloce (e spiazzante) di Papa Francesco.....pag. 13
2. Ipotesi di un magistero “infuturente”.............................pag. 15
3. Quella in atto è la “Guerra delle Forme”. Sì:
ancora una volta Chiesa contro Chiesa, come a Nicea,
come a Costanza. Stavolta, però, nella sua forma...........pag. 17
4. Se la Sede Apostolica possa essere giudicata:
possibilità, condizioni e limiti.........................................pag. 18
5. La grazia, il principio di non-contraddizione,
le forme di magistero e le sue possibili mancanze
(colpe? peccati?) verso lo Spirito Santo.........................pag. 22
6. Il concilio ecumenico Vaticano II, davanti
ai gravi errori che correvano nella Chiesa,
avrebbe dovuto essere proclamato dogmatico................pag. 25
7. La grazia dello Spirito Santo e Papa Francesco..............pag. 27
8. “Diversamente Francesco” e “diversamente Papa”....pag. 29
9. Il “diversamente Francesco” come matrice
di una struttura magisteriale papale parallela,
nascosta, informale, di controllo su quella ufficiale........pag. 34
10. Il “magistero sistema” di Papa Francesco:
non più solo parole, ma gesti, simboli, mimesis, silenzi..pag. 35
11. Il magistero di Papa Francesco: di spirito o di carne?.....pag. 40
12. « Non contro Roma, né senza Roma, ma con Roma e
in Roma »: se e come si possa cannonneggiare la Chiesa
dall’interno stesso delle sue mura (dogmatiche)...............pag. 42
13. Se la forma “pastorale” del Vaticano II sia un abuso,
e come tale possa costituire un pericoloso precedente....pag. 44
14. « Non contro l’amore, né senza amore, ma con
l’amore e nell’amore »: è l’inizio della « dislocazione
della divina Monotriade »............................................pag. 46
15. Le cinque componenti strategiche che delineano
l’obiettivo finale del magistero di Papa Francesco..........pag. 49
16. Perché il tanto apprezzato antirelativista
Papa Benedetto XVI è un antirelativista dimezzato........pag. 52
* Un incontro. Assolutamente necessario...........................pag. 52
Seconda Parte.
Filosofia e teologia estetica della Lumen Fidei...................p. 57
17. Sulla Lettera enciclica Lumen Fidei.
Considerazioni filosofiche a uno scritto teologico..........pag. 57
18. Sulla tonalità generale dello scritto.................................pag. 58
19. Sul particolare e specifico plurale maiestatis papale......pag. 60
20. Contro la “bonomia” voluta da Papa Giovanni XXIII:
natura extragiuridica, anzi: fortemente amorevole,
del linguaggio asseverativo e giuridico della Chiesa.......pag. 62
21. Asimmetria teologica tra la scelta di Papa san Damaso
– utilizzare il plurale maiestatis – e la scelta
di Papa Giovanni Paolo I – abbandonarlo –...................pag. 65
22. Il linguaggio della Lumen Fidei come frutto ratzingeriano
del mutamento di linguaggio avvenuto col Vaticano II..pag. 68
23. La vera, ma equivoca, e mai considerata ermeneutica,
in cui va inquadrato il concilio ecumenico Vaticano II...pag. 70
24. La verità non si impone con violenza sulla coscienza. Ma
la coscienza ha l’obbligo – e la libertà – di obbedirle....pag. 71
25. I quattro punti che dirimono la questione decisiva
e centrale del rapporto tra verità e libertà.......................pag. 74
26. Anche tutto il Nuovo Testamento conferma
il carattere imperativo della verità sull’uomo
e quello obbedienziale dell’uomo verso la verità............pag. 79
27. Se costituire il Vangelo (o la Fede) come ‘Incontro
con una Persona’ e non come ‘verità’, così da
occultare la sua asimmetria con l’uomo, possa
essere un’eresia............................................................pag. 81
28. Questo è il dogma che lega tra loro fede e amore:
« La fede è il principio, l’amore il fine ».....................pag. 85
29. Fides ex auditu, aut fides ex visione?
Cioè: la fede nasce dall’ascolto o dalla visione?.............pag. 92
30. La “teologia della Visione”, portando il Paradiso
in terra, scardina ab imis la conoscenza per fede............pag. 94
31. L’argilla del sentimento posto dalla “teologia
dell’Incontro” sostituisce il basalto del giudizio
posto dalla “teologia dell’Annuncio”..............................pag. 98
32. Storia di ‘Dogma’, il cane pastore
lasciato morire dal proprio padrone..............................pag. 101
33. La teologia dei canti e delle cetre,
dell’amore e del diletto................................................pag. 106
34. La grave questione della teodicea nella Spe salvi.........pag. 110
35. La falsa bonomia, subdola traviatrice della Chiesa.......pag. 112
36. La falsa bonomia e il beato Papa Giovanni XXIII........pag. 115
37. La “teologia dell’Incontro” e la concezione di teodicea
e di Novissimi nei Papi Ratzinger e Bergoglio.............pag. 119
38. L’indipendenza dell’uomo. Questo è il punto
che la “teologia dell’Incontro” utilizzata
dalla Lumen Fidei permette di non toccare..................pag. 124
39. Falsità e correttezza dell’espressione che dice:
“La verità si impone in forza della stessa verità”..........pag. 126
* Riflessioni a tu per tu....................................................pag. 131
Terza Parte.
Se lex minus credendi,
allora anche lex minus orandi...........................................p. 133
40. Lex minus credendi, lex minus orandi.
La Chiesa, forzata da cinquant’anni a fare meno
verità, fa anche meno bellezza e meno adorazione.......pag. 133
41. Cause e sviluppo dell’avvitamento de-dogmatico
e de-adorativo della storia recente della Chiesa............pag. 135
42. Vaticano II e Novus Ordo Missæ come effetti ultimi
della glaciazione liturgica iniziata negli anni Venti.......pag. 140
43. Diritto di ‘celebrazione perenne’ del Rito Romano
(o Tridentino, o Gregoriano), senza restrizione alcuna,
in ogni momento, ingiunta da chicchessia,
fosse pure il Papa........................................................pag. 143
44. Due i giuramenti di Cristo che garantiscono
la Chiesa non poter mai andare “oltre se stessa”...........pag. 149
45. Perché il diritto di ‘celebrazione perenne’ del Rito Romano
non può essere abrogato neppure da un Papa? Perché
neppure un Papa può cambiare la Realtà divina.........pag. 150
46. È dovere d’obbedienza alla realtà divina resistere
all’ordine ingiusto di un Superiore, fosse pure il Papa..pag. 153
47. Nella Chiesa, se a Dio (alla Realtà) non obbediscono
i Superiori, debbono obbedirgli almeno gli inferiori.....pag. 156
* Incontrarsi...................................................................pag. 159
48. Se Dio sia disinteressato a che nella Chiesa Superiori
e inferiori non obbediscano pienamente alla realtàdivina
(non lo adorino cioè in pienezza di culto)....................pag. 161
Quarta Parte.
I primi nove mesi di Magistero di Papa Francesco............p. 247
49. Il metodo magisteriale delle “finestre sbatacchiate” in cui si
inseriscono le interviste di Papa Francesco....................pag. 165
49a. Intervista a Civiltà Cattolica. Primo punto:
cosa vuol dire « Avere Cristo al centro ».....................pag. 169
49b. Intervista a Civiltà Cattolica. Secondo punto:
la Chiesa come « ospedale da campo ».......................pag. 173
49c. Intervista a Civiltà Cattolica. Terzo punto:
la Chiesa e i « feriti sociali ».......................................pag. 176
49d. Intervista a Civiltà Cattolica. Quarto punto:
la Chiesa e i « restaurazionisti ».................................pag. 188
50. Due lievi farfallette volano felici di fiore in fiore:
la non-intervista di Papa Bergoglio a Papa Scalfari.......pag. 197
50a. La non-intervista a Papa Scalfari. Primo punto: « Il più
grave problema che la Chiesa ha di fronte a sé »........pag. 201
50b. La non-intervista a Papa Scalfari. Secondo punto:
« Ciascuno ha una sua idea del Bene e del Male »......pag. 206
50c. La non-intervista a Papa Scalfari. Terzo punto:
« Aprire alla cultura moderna »..................................pag. 212
50d. La non-intervista a Papa Scalfari. Quarto punto:
« Non esiste un Dio cattolico. Esiste Dio »..................pag. 215
51a. Evangelii gaudium.
Primo punto: Ma il dogma non dovrebbe essere
per la Chiesa un bene su cui investire?.........................pag. 219
51b. Evangelii gaudium. Secondo punto:
Ancora sul povero e vilipeso monolite del dogma.........pag. 224
51c. Evangelii gaudium. Terzo punto: dottrina “aperta”,
di Chiesa “aperta” per Sacramenti “aperti”....................pag. 233
51d. Evangelii gaudium.
Quarto punto: il “dialogo ecumenico”...........................pag. 242
51e. Evangelii gaudium. Quinto punto: la Chiesa e i due
monoteismi “secchi”: Ebraismo talmudico e Islam.......pag. 246
* Prima di tirare le fila......................................................pag. 252
Quinta Parte.
Alcune considerazioni finali e Conclusione......................pag. 254
52. Prima considerazione. Papa Francesco, de-dogmatizzando
e dislocando teologie di per sé vere – e ciò facendo
per pura vanagloria –, non ‘aggiunge’, ma sottrae
verità e amore (amore!) alla Chiesa..............................pag. 254
53. Seconda considerazione. Col magistero attuale le catene
che trattengono l’Anticristo sono sempre più lasche,
ma la Chiesa ha l’obbligo di rinserrarle, anche se così
allontana la sua venuta, e, con essa, la propria vittoria..pag. 259
54. Terza considerazione. Il Dogma, santo Katéchon
degli “Ultimi Tempi”, svolge due sublimi compiti,
o ‘funzioni di verità’.....................................................pag. 267
55. Quarta considerazione. La funzione terribile
e contraria, orribilmente falsificatoria,
del finto katéchon degli “Ultimi Tempi”.......................pag. 270
55a. Apologo “dei Cinque Sì nei cieli di Milano”...............pag. 275
56. Quinta considerazione. Veritarismo vs Liberalismo:
non basta il Cristocentrismo, ci vuole la Logoscrazia..pag. 280
57. Conclusione. Se Papa Francesco innaffierà
la Vigna del Signore con i canti e con le cetre,
essa appassirà. Se la curerà con i sassi e con le pietre,
essa rifiorirà.................................................................pag. 284
* Finale commiato non-commiato da te, Papa mio santo.pag. 293
** Proposta strategica. Filosoficamente proponendo.........pag. 300
Indice dei Nomi delle Persone e dei Luoghi........................p. 304
Referenze bibliografiche......................................................p. 314
* * *
(Pagina protetta dai diritti editoriali.)
* * *
|