Scheda: Romano Amerio. Della verità e dell’amore,
Marco Editore, Lungro di Cosenza 2005, pagg. 360. € 25.
Introduzione di Mons. Prof. Antonio Livi: Le
disavventure di un filosofo cristiano.
Interventi di don Divo Barsotti, * di
S. E. Mons. Mario Oliveri, vescovo di Albenga e Imperia, e di S. E. Mons. Antonio Santucci, vescovo di Trivento.
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In
una drammatica lettera ad Amerio, il filosofo Augusto Del Noce si univa all’amico che lo interpellava nell’individuare
e circoscrivere la fonte della crisi di religione e di civiltà, nello stravolgimento operato indebitamente dall’uomo
« sull’ordine delle essenze divine ». 1 [Augusto Del Noce, Lettera a Romano
Amerio, 25-9-85. Vedi § 14: Il filosofo e il filosofo.]
La lettera, autografa
e inedita, in non molte righe precorre così la tesi centrale di questo nostro studio, e indica con parole cristalline quale
sia la verità che qui si vorrebbe ascoltata.
Essa mostra che quello
che si riteneva un solitario « visionario », un « profeta di sventure » 2 [Franco Molinari, Recensione a Iota unum. Vedi § 16a: Le recensioni a Iota unum.] cui non prestare la minima attenzione, era accompagnato invece, e felicemente, da un altro grande (e solitario) amatore della
Chiesa, della religione, di Dio e dell’uomo. Sicché questi, con la sua acuta, esperta e svelta intelligenza, offre
oggi l’estro per squarciare dall’alto in basso l’ostracismo imposto all’uomo. Amerio, dal canto suo, di
quella lettera non fece niente. Ma ora si può invece a buon diritto reputare che possa costituire un invito a seguirne
l’esempio. Questa è la nostra veemente peroratio.
Infatti, grandi pensatori
e sinceri amatori del dogma oggi come ieri vivificano la terra, da Roma alla più lontana provincia della cattolicità,
perché con Del Noce è morto solo Del Noce. Le moltiplicate accademie del pensiero cattolico non nascondono agli
spiriti più attenti la presenza di filosofi e teologi robusti e fecondi di dottrina perenne, per quanto i loro lavori siano
spesso di non teatrale e compiacente proscenio, ma nascosti nel lavorio di un quotidiano ma assiduo insegnamento.
Queste pagine vogliono
fornire alcuni elementi oggettivi, scientifici, affinché essi possano stabilire se il filosofo cattolico Romano Amerio
possa o non possa annoverarsi nella loro alta compagine, e tra di essi possa o non possa emergere, come dire, un et et,
un’amicizia di idee fondative più forte e profonda di ogni più accidentale stacco, su tracce che una lettera,
si vuole credere, non ha lasciato nell’acqua.
Praticano essi forse la
dura filosofia per irrobustire gli uomini nel pratico? Anche lui. Sollecitano essi forse gli uomini a pensare la verità
per salvarsi la vita? Anche lui. Hanno essi ispessito la loro sapienza nella disciplina dell’umiltà e dell’obbedienza,
al prospetto del Verbo signoreggiante la storia? Anche lui. Hanno essi individuato una crisi di religione e di civiltà
nel mondo contemporaneo, e le sue cause metafisiche? Se ci si consente benignamente lo scoperto ricalco, lui « ben di
più ». Nell’invaso delle accademie cattoliche andrebbe allora cercato e ricercato un più giusto
punto d’equilibrio tra obbedienti e dissenzienti, tra amatori della Sophia intrepidi e ancora altri
amatori della Sophia, ma trepidi.
E facciamo questa considerazione:
quale il fedele o il pastore che non si inchina alla profondità del sentire cattolico di Dante? Di più: quale il
cattolico che non cerca in Dante un’ancor maggior forza alla propria fede, e nelle sue cantiche ali larghe per meglio salire
a quei cieli che lo chiamano, in cui lui già quasi è stato? Eppure il Poeta ardì mettere Papi, e alquanti,
all’Inferno. Ecco, si vorrebbe proprio questo: che, pur con le debite proporzioni, Romano Amerio venisse un giorno riconosciuto
quel filosofo del Logos divino che meglio difese il Papa, e dal Papa persino, giacché difese strenue il Logos divino.
Con questa nostra opera
proveremo a fornire, in particolare, alcune notizie intorno a Iota unum. Studio delle variazioni della Chiesa cattolica nel
secolo XX, 3 [ Romano Amerio, Iota unum. Studio delle variazioni della Chiesa cattolica nel secolo XX, Riccardo Ricciardi, Milano-Napoli,
1985.] giustamente considerata, di tutte, la più notevole, conosciuta e discussa
opera di Romano Amerio. Sarà l’occasione per non mancare di offrire una più attenta conoscenza del suo autore.
Romano Amerio e il ferimento
del Verbo di Dio. Con questo sottotitolo sono proposti due punti cardinali. Il primo: che Amerio, nei costanti e reiterati
attentati di una certa filosofia alla dogmatica vede « un accanimento in ultimo contro il Verbo », 4 [Così in Stat veritas. Sèguito a Iota unum, Riccardo Ricciardi, Milano-Napoli, 1997.] in particolare con il tentativo di usurpazione del trono tenuto dall’idea da parte dell’atto. Questa
usurpazione egli la individua, come riconosciuto e suffragato da Del Noce, proprio a partire da Cartesio, il venerato padre della
filosofia moderna, e, oggi, persino di molta moderna teologia.
Ferimento terribile, quello
sul Verbo, ma che diremmo anche incompossibile, per significare con termine scolastico che, pur di forte incompenetrabilità
concettuale, un ferimento morale e spirituale sul Cristo (in ogni caso) è reale, e per due motivi:
perché inferto sulla Chiesa, Corpo mistico il cui Capo è Cristo, cioè è l’unica Persona in cui
si danno due nature: di uomo e, nel Verbo, di Dio; poi perché si colpisce la dogmaticità stessa nel suo rivelarsi,
dunque ancora il Verbo.
Nelle parole del sottotitolo
si desidera esaltare inoltre la natura del legame tra l’uomo di pensiero Amerio e il Logos, causa e termine di tutto
il suo pensato. Legame che noi mostreremo non comune, ma di rettezza verticale.
Si raggiungerà un
primo fine già facendo volgere l’attenzione a quegli attrezzi di ragione naturali e soprannaturali, filosofia e fede,
originati entrambi dal Logos, necessari, veritatem facientes, a compiere la vita che prepara all’altra. Ma
soddisfazione ultima è far riconoscere degno, robusto e sicuro bordone proprio il pensiero di Amerio, per poter svolgere
oggi, tempo anomalo, equivoco, quasi antitempo, quel difficile cammino.
Tale traguardo si potrà
ottenere solo con l’umiliazione della presente tirannide culturale, asfissiante il pensiero dentro e fuori la Chiesa: una
concezione univoca e orientata, relativista, agnostica e irenica, pareggia oggi la cultura religiosa all’irreligiosa, in
una prospettiva solo in apparenza pacificante, con cui si tenta la disfatta della teoretica, della dogmatica, mirando nascostamente
all’abbattimento del Logos. In quest’epoca di guerre non dichiarate questa non ne è l’ultima,
ma la prima.
Quando in altri secoli
si discuteva apertamente di eresie, si faceva opera di grande merito anche nel metodo, poiché parlavano, dicevano, discutevano, distinguendo apertamente il vero dal falso, e tutte le variazioni che fiorivano tra questo e quello. Il merito
era anche, con tali discussioni, di ossequiare quel Logos che dà ai disputandi la dignità , al di là
della bontà degli argomenti, di persone intellettualmente fertili, cioè comunque ricercatrici della verità
delle cose.
Ora invece il metodo –
dissolto il dogma, ne è dissolta la dialettica con l’errore e pure l’errore – è quello dell’imposizione
del silenzio: ma ciò non è metodo conveniente né riguardo alla verità, né alla cultura come
alveo e casa della verità, né agli uomini coinvolti in queste grandi questioni.
L’attesa nostra più
riposta sarebbe che, anche con l’ausilio di queste minimissime e certo inadeguate considerazioni, il lettore possa vedere,
in ciò che a nostro avviso si presenta come un vero cippo miliare nella lunga storia del pensiero sul dogma, tutta l’utilità
di lettura: ne esca con sentimenti fortificati di riverenza totale e di superamore per la Chiesa: corroborando il senso d’obbedienza
giacente al fondo di tali sentimenti si può prospettare un riannodo al sistema di valori tenuto da sempre per indefettibile
dal Cristianesimo.
Si implichi, così,
il passato; sdegnandone tuttavia un impossibile ritorno come assolutamente antistorico: con Amerio, noi riteniamo la Tradizione
essere di secolo in secolo in azione: Traditio in progressu. Per ciò l’albero della Chiesa non può
indietreggiare né alla sacra ghianda che l’ha generato né all’arbusto della sua età di mezzo.
Queste retrocessioni paiono, a noi come all’Autore, in disordinato compimento: « Tale compimento terrestre è
incompatibile – scrive – con la veduta sopramondana che domina l’Opera ». 5 [Romano Amerio, Iota unum... cit., Epilogo.]
In questa molto realistica
e vivace prospettiva, caricata di decisa speranza soprannaturale, ci pare che poi la Chiesa avrebbe modo di riprendere a rintuzzare,
con i mezzi tradizionali ad essa ben manifesti, le potenti novità anticelesti che dal suo esterno, come ondate di vento
di follia, o come gelate immobilizzanti e ammutolenti, la investono oggi e ancora domani l’investiranno.
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(Pagina protetta dai diritti editoriali.)
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