[Segue
dalla pagina 1] Già dalla radice del suo concepimento
l’aforisma del Guitton è quindi assolutamente antitomista: difatti Tommaso d’Aquino, come tutti i teologi santi,
non ha mai tentato di ammaestrare per le vie vanagloriose del parossismo, ma sempre e solo per quelle piane della silloge, del
confronto delle cose tra le cose.
Rispetto poi al contenuto,
quanto l’asserzione sia inconsistente e sviante è presto detto. Innanzi tutto: “cosa è il dubbio”.
« Dubbio è lo stato della mente che, tra due proposizioni contradditorie, non vede ragioni per aderire più
all’una che all’altra. Quindi col dubbio avviene una sospensione del giudizio » (Dizionario di Teologia
morale, Palazzini, voce dubbio).
Che cosa è invece
la fede? Tomisticamente, la definizione di fede aderisce alla sacra Scrittura, che la descrive come « sostanza di cose
sperate e argomento delle non parventi » (Summa Theol., II-II, q.4, a.1). Vedremo come la virtù della
fede, prima tra tutte le virtù e di tutte generativa, debba essere certa, viva, indefettibile, incrollabile. E vedremo
come, per contro, mancando una di queste note, essa dallo stato supernaturale che le è proprio, scada nel limo di un’opinione
psicologica, di uno stato d’animo.
Percorriamo insieme gli
articoli della Summa: « “Argomento delle verità non parventi”. Argomento sta per ferma
adesione dell’intelletto alle verità di fede inevidenti, oppure sta per convincimento: poiché l’intelletto
del credente viene convinto ad accettare le cose che non vede dall’autorità di Dio » (Pas. cit.).
Quindi si deve desumere
che a causa di questa autorità notevolissima, a lui superiore, l’uomo debba raccogliere il dovere di aderire a ciò
che gli si dice anche se non vede direttamente l’evidenza dell’essere di ciò che gli si dice. Se l’autorità
fosse inferiore all’uomo, non avrebbe senso che l’uomo le si pieghi. Ma, se gli è superiore, in che cosa si
sviluppa la sua superiorità se l’uomo davanti alle sue affermazioni non le si piega? Come un fisico raccoglie conclusioni
matematiche da un matematico, senza perlustrarne e verificarne i termini sillogizzanti, ma solo aderendo alle realtà mostrate
dal matematico nelle conclusioni.
Così anche l’uomo.
« La fede è
un abito intellettivo col quale si inizia in noi la vita eterna ». Ora, non può la vita eterna in noi iniziare,
e anche non iniziare. Non può coesistere la fede con il dubbio, l’incredulità: certo, può formarsi,
e (soggettivamente) essa può essere più grande e più piccola (« Signore, - si implora - aumenta
la nostra fede! »), ma non può convivere con la sua negazione: « Fa parte del concetto stesso di
fede, che l'uomo sia assolutamente sicuro delle cose che ritiene per fede. Questo perché la certezza costituisce la
perfezione dell’intelletto, nel quale codesto dono risiede. Perciò chiunque abbia la fede, è certo di averla
» (Summa Theol., I-II, q.112, a.5, ad 2).
Tutte le definizioni di
fede si stringono a questa sua caratteristica intrinseca, di possedere l’essere in grado elevato, indiscusso. Il Damasceno:
« La fede è consenso indiscusso ». Altri: « La fede è certezza dell’animo su cose
lontane, superiore all’opinione e inferiore alla scienza ». Qui si vede come chi aveva chiare quelle idee che
debbono esser chiare, sapeva dare a ciascuna il posto legittimo: tenere l’opinione di qualcosa, per esempio, non è
la stessa cosa che avere fede, perché l’opinione è un giudizio la cui certezza è minorata dalla mancanza
di argomenti evidenti, che ne suffraghino tutti gli elementi, cosa invece che si ha quando l’argomento è la parola
divina, il giuramento di Dio stesso.
A riguardo della perfezione
della fede, cioè dell’intrinseca sua necessità di tendere alla propria perfezione, vediamo che « si
richiede: primo, il tendere infallibile dell’intelligenza verso il proprio oggetto, che è la verità; secondo,
l’ordinazione infallibile verso l’ultimo fine, che spinge la volontà ad accettare la verità (escludendo
la malizia del concupiscibile). Infatti è nella natura stessa della fede che l'intelletto tenda esclusivamente alla
verità. Invece non è una virtù la fede informe, perché l’atto della fede informe (dubitativa,
non viva) pur avendo la debita perfezione dal lato dell’intelletto, non la possiede dal lato della volontà »
(ibidem, a.5).
Da questo notevole passo
si evincono almeno due cose. Primo, che la volontà è distolta dalla verità solo se alberga la malizia del
concupiscibile. I dubitosi debbono quindi soppesare bene le origini dei loro dubbi, specie se tali dubbi sono persistenti. I maestri
del dubbio sistematico poi, quali i cardinali e i filosofi di oggigiorno, ancor più debbono valutare se le persistenze
che consigliano corrispondano o meno alla forma della virtù insegnata da Dottori di rilievo della Chiesa di cui fanno
parte, quali per esempio san Tommaso.
Secondo, si evince che
appunto la fede dubitativa è fede ma non è virtuosa: è cioè passaggio (nemmeno necessario) alla fede
formata, ma non suo fine. Pertanto l’invito a tenere accanto alla fede i dubbi sulla fede, sia pure per acquistare ogni
giorno meriti davanti a Dio con il vincerli, è un invito da non seguire, da rigettare. Tanto più che la fede è
costituita su una roccia solo intorno alla quale si sviluppano tutte le altre virtù, e non c’è virtù,
nemmeno di carità, che non si sviluppi sul primo puntello, che è questo della fede. Anche per questa caratteristica,
di essere il primo fondamento per costruire la propria salvezza, l’uomo è tenuto a riguardare la fede, proteggerla,
preservarla in ogni modo.
Per concludere, torniamo
a quanto ci insegna il Cardinale Palazzini con il suo già citato Dizionario di Teologia Morale. Alla voce eresia
leggiamo che « eretico non è soltanto chi assolutamente nega una verità rivelata, ma anche chi ostinatamente
ne dubita: cioè chi, dopo aver riconosciuta una verità come insegnata dalla Chiesa quale rivelata, continua a dubitarne;
non si tratta qui dunque di quei dubbi che sono piuttosto una sospensione momentanea del giudizio in caso di tentazioni contro
la fede ».
E’ bene meditare
il Salmo, che recita: « Quelli che vanno per sentieri tortuosi, il Signore li accomuni alla sorte dei malvagi. Pace su
Israele » (Psal., 124, 10). Pace: quella pace che sopravviene quando il tarlo del dubbio è sconfitto
alla sua radice, il desiderio di averlo e di coltivarlo.
BREVE FLORILEGIO
CRITICO
DEL PENSIERO TEOLOGICO DI JEAN GUITTON.
Abbiamo
raccolto dall’ultimo libro del filosofo una breve antologia delle sue affermazioni più
avventate. Questo libro 1 consiste in una lunga intervista che gli viene fatta da, cui il
Guitton risponde riassumendo i pensieri di tutta una vita. Ci pare particolarmente indicativo
per farsi un’idea oggettiva della sua filosofia, visto che è lo stesso Guitton
a riassumere se stesso.
Questo
florilegio non farà che avvalorare i timori che noi abbiamo espresso sulla sua ortodossia
date le premesse.
Nel
metodo abbiamo ritenuto conveniente seguire passo passo le pagine dell’intervista. Se
questo comporta una evidente disorganicità, risulta però più filologica,
nel senso che gli argomenti sono nell’ordine in cui escono dalla bocca dello stesso
autore.
Sul peccato. «
Ho sempre avuto orrore della confessione e mi sono confessato il meno possibile. [...] Adesso, alla mia età, non posso
più ammazzare nessuno, nemmeno posso più peccare, (di “quel” peccato? e perché no?) non
amo quindi confessarmi perché non ho niente da dire » (pag.14). L’Apostolo ricorda invece che « se
diciamo che siamo senza peccato, inganniamo noi stessi, e la verità non è in noi » (I Ioan.,I,
8).
Le amicizie. «
Senza dubbio, sono [i filosofi] che professano l’ateismo quelli che mi hanno dato di più » (pag. 17).
Da dove ha raccolto il suo sapere il tomista Guitton? Lo afferma egli stesso: da Maurice Blondel, da Theilard de Chardin, da Martin
Heidegger. Si circondava volentieri di modernisti, e per questo subito fu frequentato da Roncalli e da Montini, ancora poco più
che studenti, che in lui vedevano la possibilità di ammantare sapientemente le loro avventate teologie (siamo negli anni
‘40). Ma di queste cattive frequentazioni, di queste vanesie amicizie, cosa avrebbe detto il Papa e Padre regnante, Pio
XII, se ne fosse stato informato?
Sugli atei. «
[Spinoza] a mio avviso non era ateo, ma ebbro di Dio. Era un ateo mistico, proprio per questo mi interessa » (pag.18).
Annientare lo spavento della contraddizione, a costo di risultare vanamente parossistici, è il primo obbiettivo di ogni
buon modernista.
Sulla missione cristiana.
« Se io andassi a trovare un amico morente, non gli parlerei di Dio, tacerei, prendendogli le mani. E a un certo momento,
lo bacerei sulla fronte senza più dire nulla » (pag. 19). Tale e quale, crediamo, a ciò che farebbe il suo
alter ego Jean Paul Sartre, quello che ha scritto L’essere e il nulla.
Il peccato di fede.
Domanda: « Colui che non crede in Dio è colpevole? ». « Assolutamente no » (pag.
19). Non colpevole quindi né Spinoza né, in tutti i casi, l’alter ego di Guitton di quel peccato che san Tommaso
considera secondo solo all’odio per Dio.
Sulla religiosità.
« Il mondo attuale è molto meno osservante di quello di un tempo, ma il sentimento religioso è più
vivo. Paolo VI mi diceva: “Non ci ascoltano più, ma ci capiscono di più” » (pag. 21).Come
si fa a essere meno osservanti quando il sentimento è più vivo, lo sa solo il Guitton. Come si fa poi a capire chi
nemmeno si ascolta, lo sa solo Paolo VI, appunto, o forse ancora il Guitton. Beato quindi chi che capisce i paradossi dei modernisti.
Come considerare Dio.
Domanda: « La fede ci salva dalla barbarie? ». « La fede cattolica è una fede nella persona
umana, in Dio considerato come persona, cosa che non è compatibile con la barbarie, che è un delirio »
(pag. 24). Pur lasciandola nel suo contesto, questa affermazione chiarisce ogni dubbio: è Dio che riflette la persona umana,
non è la persona umana che riflette Dio.
L’antropocentrismo
della Chiesa. « Per lungo tempo la Chiesa ha pensato che l’uomo fosse al centro del mondo » (pag.
28). No, amico Guitton: tutt’al contrario, mai la Chiesa ha messo l’uomo al centro del mondo, perché al centro
del mondo ci può essere solo il suo Creatore, come ricorda il primo Comandamento. Solo ora al centro del mondo è
messo l’uomo da tutti quei modernisti che, anche altissime autorità essendo, sovvertono l’assiologia che la
Chiesa ha perennemente tenuto. Come notò anche il tuo amico e Papa Paolo VI, « questa è la civiltà
dell’uomo », e non se ne sottrasse. Vai alla pagina
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